L’allestimento di Madama Butterfly firmato da Moshe Leiser e Patrice Caurier nel 2003 per la Royal Opera House è sopravvissuto indenne a diverse riprese, l’ultima nel 2017 con Ermonela Jaho nel ruolo del titolo. La ripresa del 2022 (la sesta per la precisione) è stata affidata alla supervisione di Dan Dooner e ancor prima di arrivare in scena, ha fatto notizia per un comunicato stampa che spiegava un nuovo approccio (politicamente corretto) all’opera di Puccini, volto a rimuovere gli elementi più stereotipati e potenzialmente razzisti nel modo di ritrarre i personaggi giapponesi. La cancel culture che sta mietendo titolo dopo titolo da un po’ di anni a questa parte ha rischiato quindi di fare un’altra vittima, ma per fortuna in questo caso non c’è stato nessun stravolgimento. Un grande clamore (forse anche a scopo commerciale) che si è risolto con alcune modifiche ai movimenti, ai costumi e al trucco – alcune più visibili, altre quasi impercettibili – all’insegna di una caratterizzazione storicamente informata che non turbasse la sensibilità alcuna.
Nel comunicato si leggeva: “Per questo revival, la Royal Opera ha intrapreso una consultazione durata un anno, ascoltando nuove voci per presentare una messa in scena che riflettesse le intenzioni originali del regista, ma che rispettasse anche la cultura giapponese”. ll sovrintendente operistico della Royal Opera Oliver Mears ha dichiarato: “Piuttosto che cancellare l’intero spettacolo, abbiamo veramente voluto dialogare con esso”. Ha poi continuato: “L’opera di Puccini è un capolavoro. Tuttavia, è anche un prodotto del suo tempo. Per questa ripresa della produzione classica di Moshe Leiser e Patrice Caurier, abbiamo voluto interrogare la rappresentazione della cultura giapponese nella messa in scena di questo lavoro e coinvolgere professionisti e accademici giapponesi per aiutarci a lavorare verso una Madama Butterfly, sia fedele allo spirito dell’originale, che autentica nella sua rappresentazione del Giappone”.
La consultazione durata un anno ha coinvolto accademici, professionisti, artisti e performer asiatici. Il processo è stato focalizzato sui dettagli piuttosto che su uno stravolgimento radicale e ha ispirato cambiamenti discreti ma importanti a diversi aspetti della messa in scena esistente, inclusi trucco, parrucche, costumi e movimento.
La consulente del movimento Sonoko Kamimura, che ha aiutato a rivedere i movimenti, ha dichiarato: “Per questa produzione, ci siamo concentrati sul perfezionamento della postura e sulla regolazione del posizionamento in particolare, assicurandoci, ad esempio, che la mano sinistra di Suzuki si posi sempre sopra la sua destra; o che i gesti di Cio-Cio-San riflettano l’educazione del personaggio. Apportando piccoli cambiamenti ai modi in cui i cantanti esprimono le proprie emozioni attraverso la musica, possiamo creare qualcosa di più autentico, meno soggetto a stereotipi e più in sintonia con il contesto storico della vicenda”.
È lecito supporre che Moshe Leiser e Patrice Caurier non abbiano preso bene tutta questa intromissione nel processo creativo, senza la loro supervisione diretta. In effetti a questo punto avrebbe forse avuto più senso lanciare una nuova produzione. Vari cambiamenti sono stati apportati ai costumi originari di Agostino Cavalca, ad esempio per riflettere con accuratezza il colore e il tipo di abiti nuziali indossati all’epoca, o le differenze di lunghezza delle vesti a seconda dello status sociale. Interventi anche sul trucco, dove sono state rimosse le facce bianche a numerosi personaggi mentre un leggero trucco bianco è stato lasciato solo per le geisha Cio-cio san.
Sono state mantenute intatte invece le scene di Christian Fenouillat, incentrate sulla struttura di una casa giapponese con dei pannelli scorrevoli che alzandosi verso l’alto svelano fondali dipinti di alberi di ciliegio in fiore, un fondale fotografico d’epoca della baia di Nagasaki, un cielo stellato e un vero albero che perde fiori dopo che Cio-Cio san si uccide con il pugnale (questo il momento più forte visivamente parlando).
Si sarebbe scandalizzato Puccini, che il Giappone non lo visitò mai in vita, a vedere il coinvolgimento di esperti giapponesi nel 2022 al fine di rendere la sua opera un’autentica rappresentazione del Giappone? Difficile dirlo, ma probabilmente no. Al tempo Puccini proclamò le sue intenzioni di rappresentare il vero Giappone, un Paese che da poco si era affacciato alla ribalta della politica internazionale suscitando fascino sul mondo dell’arte europea. A tal fine il compositore assistette alle performance dell’attrice giapponese Sadayakko a Milano, seguendo i suoi consigli per la recitazione, mentre per le usanze e l’aspetto decorativo, ricorse ai suggerimenti della moglie dell’ambasciatore giapponese.
Certo è che l’esercizio fatto dalla ROH ha dei limiti evidenti nel senso che, disquisire di autenticità nell’opera, dove abbondano situazioni improbabili e stereotipi, è chiaramente una forzatura. In questo caso ne è venuto fuori un risultato di buon gusto e dalla giusta sensibilità nel rispetto di una cultura; in altri casi come sappiamo si riscrive in maniera strumentale.
Nel ruolo del titolo era impegnato il soprano lirico-spinto armeno Lianna Haroutounian, di cui abbiamo apprezzato un registro acuto penetrante che ha valorizzato i momenti più tragici. La sua è stata una performance vocalmente in crescendo, pienamente a fuoco nel secondo atto con una bella resa di “Un bel dì vedremo” e di “Tu, tu, piccolo iddio”. La comparsa in scena nel primo atto cantando “Spira sul mare e sulla terra” non è stata particolarmente efficace anche perché l’entrata della processione dal lato a fondo scena, parzialmente celata dalle scene ne ha inficiato la resa acustica.
Pinkerton era interpretato da Freddie De Tommaso. Chi scrive ha spento parole lusinghiere in precedenza nel recensire il suo trionfo come Cavaradossi lo scorso dicembre e il suo recente recital di canto al Barbican Centre. In questa occasione il trionfo non si è ripetuto. Il cantante è apparso in difficoltà nel bucare in sala nei momenti d’assieme o cercando di sovrastare l’orchestra, che a dire la verità è stata spesso spinta a livelli di volume eccessivi. Al netto della direzione musicale sfavorevole, potrebbe essere un segnale che il giovane tenore non sia ancora pronto per tutti i ruoli che in questa prima fase della sua carriera sono stati scelti per lui. Tuttavia, confermiamo i commenti positivi sull’attrattività del timbro, la dizione chiara (al netto di una erre un po’ moscia che sarebbe da correggere), la naturale musicalità e l’eleganza nel porgere la frase musicale. Tutte doti evidenti nella resa di “Vieni, amore mio!”, “Bimba, bimba, non piangere” e “Addio fiorito asil”, quest’ultima resa con il giusto rimpianto. Il suo è un Pinkerton non maligno ma superficialmente ingenuo e naive, salvo poi finire in preda di un rimorso forse eccessivo per un personaggio fondamentalmente cinico.
Buona la prestazione di Lucas Meachem come Sharpless che ha cantato e interpretato molto bene. La sua voce ampia, calda e omogenea si è ben udita in sala. Teatralmente comico quando, interrogato sulle abitudini di accoppiamento dei pettirossi in America, risponde “Non ho studiato ornitologia” il che ha scatenato diverse risate tra il pubblico.
La Suzuki di Kseniia Nikolaieva ha una buona presenza vocale e anche un velluto intenso in alcuni momenti, anche se alcuni suoni sono apparsi eccessivamente gonfiati. Il Goro di Alexander Kravets è efficace scenicamente ma vocalmente il canto è pressoché confuso in termini di articolazione e poco udibile come volume. Corretto lo Yamadori di Alan Pingarrón, mentre è apparso poco vocalmente centrato anche se scenicamente credibile lo zio Bonzo di Jeremy White. Una menzione merita anche il piccolo Leo Stokkland-Baker nei panni di Dolore.
In buca Dan Ettinger ha diretto con piglio energico senza troppo sentimentalismo, prediligendo volumi densi ed enfatizzando contrasti dinamici e repentini cambi di agogica che hanno creato un’impressione di nervosismo e mancanza di coesione in alcuni momenti. Il rapporto tra la buca e il palcoscenico è stato complessivamente discontinuo; molti momenti di insieme del primo atto erano non troppo ben incastrati e fluidi e i cantanti sono spesso stati coperti dall’orchestra. Anche l’intermezzo del terzo atto è stato all’insegna di un volume deflagrante con ottoni di wagneriana potenza. Detto questo, le arie principali sono state valorizzate nell’ampiezza del fraseggio e nel sostegno dei respiri dei cantanti. Nel complesso si sarebbe apprezzata una maggiore finezza di resa, anche se il tipo di direzione ha sicuramente facilitato la tensione drammatica.
Il coro è intervenuto in maniera funzionale nelle scene del primo atto mentre il coro a bocca chiusa è stato eseguito fuori scena come un flebile eco lontano.
Al termine, applausi scroscianti e numerose standing ovation hanno accolto Lianna Haroutounian e tutto il cast. Da notare però, e non capita spesso alla ROH, che si sono uditi tra gli applausi anche dissensi e qualche velato boo all’inglese per Freddie De Tommaso, giungere dalla galleria alta del teatro, a cui il tenore ha reagito in maniera sportiva aprendo le mani in segno di distensione che infatti ha placato i dissensi e fatto prevalere gli applausi.
Royal Opera House – Stagione 2021/22
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San Lianna Haroutounian
Suzuki Kseniia Nikolaieva
Kate Pinkerton Rachael Lloyd
F. B. Pinkerton Freddie De Tommaso
Sharpless Lucas Meachem
Goro Alexander Kravets
Il principe Yamadori Alan Pingarrón
Lo zio Bonzo Jeremy White
Il commissario imperiale Dawid Kimberg
L’ufficiale del registro Nigel Cliffe
Yakusidé Andrew O’ Connor
Dolore Leo Stokkland-Baker
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Dan Ettinger
Maestro del coro William Spaulding
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier ripresa da Daniel Dooner
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Produzione della Royal Opera House
Londra, 24 giugno 2022