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Londra, Royal Opera House – Le nozze di Figaro

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La Royal Opera House ha ripreso la produzione de Le nozze di Figaro firmata da David McVicar nel 2006 in occasione del 250° anniversario della nascita di Mozart e divenuta da quel momento uno dei classici del teatro londinese. Il regista stesso ha curato e supervisionato scrupolosamente questa ottava ripresa, accolta nella sua serata di apertura da un tripudio di applausi da una sala nuovamente gremita, come ai tempi pre-pandemici. Alla base del successo troviamo sicuramente la direzione musicale eccellente di Antonio Pappano ma anche un cast complessivamente ben assortito, dove ha brillato una preponderante presenza italiana – in larga parte giovane e di talento.

La forza propulsiva e il collante musicale della giornata “di capricci e follia” è stato il maestro Pappano che dal fortepiano ha fatto sì che il ritmo teatrale procedesse spedito, garantendo l’immediatezza degli elementi comici e la scorrevolezza dei recitativi, ma anche ritagliando le opportune oasi di intimismo e abbandono lirico. Evitando tempi meccanicamente ultrarapidi, Pappano ha pur sempre garantito con il suo piglio energico, la giusta carica vitale della partitura e sotto la sua bacchetta l’organico dell’orchestra della ROH ha raggiunto un ottimo equilibrio tra leggerezza, compattezza degli scatti più drammatici e musicalità degli interventi solistici. A parte qualche sbilanciamento di volume nella scena iniziale del primo atto, il rapporto tra buca e cantanti è stato strettissimo in tutte le arie e negli ensemble; anche i silenzi opportunamente voluti per enfatizzare alcuni recitativi o esclamazioni comiche erano incastrati alla perfezione. Ben eseguite anche le danze al termine del terzo atto.

Come detto, l’altro ingrediente del successo è stato un cast che, se non fosse stato per un paio di scelte subottimali, sarebbe stato quasi perfetto. Tutti, anche quelli meno solidi vocalmente, hanno recitato egregiamente ed è passata l’impressione di uno spettacolo studiato e lavorato nei minimi dettagli. L’elemento rilevante, comunque, è stata la presenza di ben sei italiani nel cast (sarebbero dovuti essere sette originariamente, ma un indisposto Davide Luciano è stato rimpiazzato a qualche settimana dal debutto della produzione). Ecco, la rappresentanza italiana si è fatta valere alla grandissima. Della serie, chi meglio degli italiani per valorizzare il testo di Da Ponte: sotto la guida di Pappano gli artisti del Belpaese hanno dato vita a dei recitativi sempre pieni di mordente e sfumature. È singolare anche constatare come una piazza estera importante come quella della ROH abbia scelto così tanti interpreti italiani, in gran parte giovani e di talento guarda caso tutti già richiestissimi all’estero. Senza chiamare delle superstar, quindi, si è ottenuto uno spettacolo di qualità elevatissima facendo leva sul talento delle giovani leve di casa nostra. E chi ha orecchie da intendere intenda.

A capitanare il team degli italiani il basso cantante Riccardo Fassi, al suo ritorno al Covent Garden dopo il debutto anticipato la scorsa estate in Don Giovanni. Spigliatissimo, sempre a suo agio sulla scena, complice anche una prestanza fisica che aiuta, Fassi fornisce una prova ottima per vocalità e misura interpretativa. Il suo Figaro è senza filtri, naturalmente impulsivo, cocciuto e irruente, ma mai sopra le righe. Il cantante milanese dà vita a un personaggio positivo con cui è facile simpatizzare. La fonazione rimane sempre omogenea in ogni frangente con dei centri e gravi ben timbrati e rotondi. La dizione è chiara e i recitativi risultano sempre accattivanti. È molto musicale in tutto ciò che canta, usa correttamente gli accenti e articola molto bene, come in “Aprite un po’ quegli occhi”.
Federica Lombardi, al suo debutto alla ROH, è una Contessa di lusso, la cui corporatura imponente dalla postura aristocratica va di passo con un canto elegante che coglie l’altezza morale del personaggio. “Porgi amor” è nostalgica e speranzosa mentre l’applauditissima “Dove sono i bei momenti” viene cantata divinamente con un misto di malinconia e determinazione, la seconda delle quali viene colta con degli sfoghi in acuto che rivelano la ricchezza di armonici e la sonorità di uno strumento notevole (proiezione e facilità in acuto sono peraltro evidenti anche nei momenti d’insieme). Come unica nota, più legata alla formazione del cast, la differenza di statura significativa tra la Contessa e Susanna rende lo scambio di identità nel quarto atto poco credibile, il che però finisce per aggiungere comicità alla scena.
Giulia Semenzato è una Susanna sveglia, sbarazzina e trasparente nelle emozioni, sempre corretta sia per aderenza al ruolo che per precisione dei suoi interventi. In “Deh vieni non tardar” plasma una linea di canto curatissima con delle mezzevoci e pianissimi ben sostenuti. Semenzato è poi molto sicura nei pochi passi di agilità previsti, anche grazie alla sua familiarità con il repertorio di musica barocco e mozartiano. A fronte di un volume di voce non debordante (ma comunque ben proiettato) per una sala grande come quella del Covent Garden, il giovane soprano ha il grande pregio di rimanere fedele al suo strumento senza mai spingere, è intonata e canta con grande gusto. Si armonizza bene con Lombardi in “Che soave zeffiretto” e interpretativamente è ferrata nel dimostrare solidarietà femminile alla Contessa o palesare il senso di ingiustizia e disgusto verso i comportamenti da bullo del Conte. Molto riuscita anche la scena in cui scopre che Figaro è figlio di Marcellina e Bartolo.
Gianluca Buratto, come Bartolo, si fa notare per l’ottima risonanza del suo strumento fin dalla sua entrata in scena. Sempre incisivo e naturalmente comico anche senza troppa enfasi, rende in modo egregio la sua unica aria “La vendetta” dove il volume della voce straripa in teatro, più di ogni altro dei suoi colleghi. Monica Bacelli mette a frutto le sue doti di artista di lunga data per interpretare Marcellina; è abile sulla scena e strappa più di una risata quando interagisce con Bartolo o con Figaro. Più che vocalmente, Bacelli emerge per l’ilarità quasi grottesca della caratterizzazione. Con Buratto dà vita a una coppia esilarante.
Il ruolo del Conte è affidato a Germán E. Alcántara. Il baritono argentino è irresistibilmente comico sulla scena e perennemente agitato, quasi spiritato e dalla grande forza comunicativa. Detto questo, non è proprio nobile nei modi e allo scavo del personaggio preferisce l’effetto macchietta. Se la performance è comunque buona in tutti gli interventi, purtroppo Alcantara arriva all’aria del terzo atto (“Vedrò, mentre io sospiro”) troppo concitato e probabilmente teso e stanco, il che ha rovinato il canto.
Hanna Hipp è un Cherubino maschiaccio inquieto e combina guai. Nonostante dal punto di vista della recitazione Hipp abbia una bella presenza che si conquista subito i favori del pubblico, vocalmente il timbro è troppo anonimo e opaco senza quella fluidità pastosa da mezzo e quell’ambiguità dei mezzosoprani specializzati in ruoli en travesti. Musicalmente, poi, non si assiste a un grande sforzo nel rendere il fraseggio variegato. L’interpretazione di “Non so più cosa son, cosa faccio” e “Voi che sapete” rimane quindi approssimativa e piatta. Molto efficaci il Basilio di Gregory Bonfatti (altro italiano in campo) e il Don Curzio di Alasdair Elliott sia per presenza vocale che per taglio e inflessioni comiche dei loro interventi. Eccessivamente sbiancata la voce di Alexandra Lowe nei panni di Barbarina; la sua breve e deliziosa aria del quarto atto “L’ho perduta, me meschina!” pur cogliendo correttamente la tristezza e l’ansia della giovane non risulta commovente o degna di nota.

David McVicar è la mente di uno spettacolo ben riuscito che fa coesistere dimensione comica e quella seria. Il regista sposta l’azione nel 1830 (anno della seconda rivoluzione francese), in un château francese, dove già durante l’ouverture è tutto un viavai di servitù che si aggira sempre per il palazzo, spiando e intromettendosi nella vita dei padroni. I richiami rivoluzionari della produzione originaria si sono smussati nel tempo ma il conflitto di classe rimane in alcuni gesti tra cui il ridacchiare delle servitù di fronte al fallimento dei piani del conte e nello schierarsi con Figaro e Susanna. Il lieto fine e la riconciliazione che porta al termine la commedia umana mozartiana vengono preservati, senza stravolgimenti. Apprezzabile anche la scelta di non modernizzare la ripresa in chiave Metoo.
Le scene, che danno prospettiva e profondità al palcoscenico e dove prevalgono tinte color grigio-beige e marrone, sono di Tanya McCallin (che firma anche i costumi) e vengono cambiate dinamicamente durante un unicum musicale a cavallo di primo e secondo atto (con la creazione della camera della Contessa) e tra terzo e quarto atto (con il discendere dall’alto di grandi alberi, a cui segue la caduta di foglie dall’alto durante i momenti lirici delle arie di Barbarina e Susanna). Paul Constable firma le luci, certamente suggestive ma proiettate di lato attraverso alti e stretti finestroni e non sempre in grado di illuminare a pieno i personaggi.
Al termine applausi al cardiopalma per tutti gli interpreti e per il maestro Pappano. Un ottimo inizio in musica per il 2022 con una serata di puro teatro in musica.

Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2021/22
LE NOZZE DI FIGARO
Opera comica in quattro atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Il Conte di Almaviva  Germán E. Alcántara
La Contessa di Almaviva Federica Lombardi
Susanna Giulia Semenzato
Figaro Riccardo Fassi
Cherubino Hanna Hipp
Marcellina Monica Bacelli
Bartolo Gianluca Buratto
Don Basilio Gregory Bonfatti
Don Curzio Alasdair Elliott
Barbarina Alexandra Lowe
Antonio Jeremy White

Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore e Maestro al Fortepiano Antonio Pappano
Maestro del coro William Spaulding
Regia David McVicar
Scene e costumi Tanya McCallin
Lighting design Paule Constable
Coreografia  Leah Hausman
Allestimento della Royal Opera House

Londra, 9 gennaio 2021

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