È stata accolta tiepidamente dalla critica la nuova produzione di Aida firmata da Robert Carsen in scena alla Royal Opera House di Londra. Il nuovo allestimento, concepito prima della pandemia a sostituzione di un precedente di David McVicar, è una nuova rivisitazione moderna destinata a dividere anche gli spettatori. Una produzione militaresco-patriottica senza Egitto al suono di Guerra, guerra, guerra!, con qualche spunto interessante certamente come ci si aspetta da Carsen, ma che in qualche modo non valorizza appieno la teatralità del titolo verdiano. Va molto meglio per fortuna sul versante musicale grazie alla lettura sapiente di Antonio Pappano, alla prestazione esaltante del coro del Covent Garden e a una compagnia di canto complessivamente all’altezza, anche se con qualche piccolo distinguo come andremo poi ad analizzare.
Guerra, morte, patria, sono queste tra parole chiave del libretto di Aida ad aver ispirato Robert Carsen. Niente Egitto nella messa in scena concepita dal regista canadese, piuttosto un’ambientazione generica in uno Stato totalitario moderno che potrebbe richiamare la Corea del Nord, ma anche la vecchia Unione Sovietica, la Cina o persino l’apparato militare statunitense. Carsen fa anche ampio uso delle immancabili video proiezioni (Duncan Mclean) di scene di guerra, tra bombardamenti, sottomarini, elicotteri e scene di soldati combattenti. I sacerdoti, incluso Ramfis, diventano soldati, non ci sono le sacerdotesse e le schiave sono inservienti intente a servire una tavola in fiore per una cena di funzionari di Stato, mentre al muro è appeso un ritratto fotografico di Radamès (Francesco Meli), stile dittatore coreano.
Il carattere bellico e militare ha un che di inquietante nel periodo di guerra che viviamo con il conflitto tra Russia e Ucraina ancora in corso, effetto non certamente voluto, visto che la produzione è stata pensata ben prima dei fatti. Tante divise militari nei costumi di Annemarie Woods dove dominano il grigio, verde blu e marroncino. Rosso, verde oliva e nero invece per l’elegantissima Amneris. Le scene brutaliste di Miriam Buether ricreano una sorta di bunker militare di massima sicurezza dalle mura di cemento. Domina il grigiore e un clima opprimente. La scena finale della tomba prende luogo in un deposito di missili. Il secondo atto viene trasformato in una parata militare, dove durante la marcia trionfale alcuni soldati portano via le bare di altri militanti morti sul campo di battaglia, mentre nel Ballabile si assiste a una coreografia (Rebecca Howell) eseguita da un gruppo di danzatori militari impegnati a dare sfoggio delle loro doti atletiche e di combattimento: per quanto improbabile, è un’idea che nel contesto generale della produzione funziona per davvero (anche se non sostituisce la magia dell’originale ambientazione). Nel terzo atto invece l’incontro tra Aida, Amonasro e Radamès ha luogo davanti a un monumento al milite ignoto.
Come riportato nel libretto di scena, Carsen osserva: “Il teatro non è un museo e uno dei nostri compiti è riscoprire lo shock che l’opera ha avuto quando è stata creata, e di condividere lo shock di quella novità con un pubblico moderno. Mi piacerebbe che gli spettatori potessero sperimentare questo lavoro, come se non lo avessero mai visto o sentito”. Facile a dirsi per chi non ha mai visto Aida (come probabilmente qualche giovane in sala), sicuramente più difficile per chi è legato a un certo impianto estetico. Non solo, alcuni passaggi musicali e del libretto sono risultati incongrui con quello che si è visto sulla scena, in particolare i momenti più intimi sono apparsi poco credibili in un contesto del genere. La regia di Carsen rimuove poi quel contrasto estetico e di atmosfera che si ha tra la grandiosità dell’Egitto nel suo trionfo di oro, architettura e costumi con la cupezza della scena finale della tomba. Dall’altro lato invece, le scene più trionfali e le incitazioni alla guerra da parte di un esercito infervorato sono risultate per contrasto teatralmente molto efficaci.
Se la produzione lascia un po’ il tempo che trova, il maestro Antonio Pappano rende onore a Verdi dimostrando di conoscere molto bene la partitura e ottenendo il meglio dagli strumentisti del Covent Garden, fin dalle prime battute del Preludio al primo atto, dove gli archi veramente dipingono già un quadro amoroso e magico. Musicalmente stimolanti anche le danze e i soli dei legni. Pappano sa ben dirigere i cantanti e si sincera di tenere sempre un rapporto stretto tra buca e palcoscenico. Se l’orchestra è in gran forma, il coro della ROH diretto alla perfezione da William Spaulding e dal gesto preciso proveniente da Pappano, è semplicemente glorioso per potenza, compattezza e pulizia, oltre a essere iper suggestivo nel quieto finale di “Salvatore della patria”.
Elena Stikhina dà di Aida una lettura anche fin troppo sofferta e fragile, sicuramente attenta all’aspetto emozionale e alle sottigliezze espressive del personaggio, del quale però non passa fino in fondo il conflitto tra l’appartenenza alla sua nazione di origine e l’amore per il condottiero dello stato nemico. Ecco che quando intona “Ritorna vincitor” manca di incisività e determinazione, vocalmente anche a causa dell’assenza di note di petto convincenti. Va meglio quando deve emettere acuti argentei o dal metallo tagliente, o sostenere pianissimi, anche se una maggior maestria nel fluttuare i suoni o diversificare la palette dei colori sarebbe stata auspicabile.
Francesco Meli è un Radamès che si distingue sicuramente per la maturità artistica nel fraseggiare con eleganza, nel cantare con sfumature e non di solo muscolo, oltre che nel valorizzare la parola con chiarezza e dignità. Dal fondo della platea dove chi scrive era seduto, il tenore italiano si è sentito bene in tutti i passaggi chiave, compresi i concertati, senza particolari problemi di proiezione. A livello interpretativo e di presenza scenica il suo è un Radamès che tende al lirico-amoroso, ma anche il carattere del condottiero è presente, nonostante la produzione renda alcune situazioni poco credibili. La prestazione ha preso corpo nel terzo e quarto atto, soprattutto nei duetti con Aida. Detto questo, si è notata una tendenza a spingere qualche acuto e una difficoltà ad eseguire qualche pianissimo: il si bemolle finale di “Celeste Aida” è apparso incrinato e poco dolce già in partenza, il che ha reso meno efficace il morendo finale. Più facile invece il ricorso al falsetto, utilizzato dal cantante in qualche occasione. Nel complesso, una buona prestazione.
A rubare la scena, come spesso capita, è l’Amneris di Agnieszka Rehlis, un mezzosoprano polacco al suo debutto alla ROH. Pur in assenza di un volume stratosferico, si tratta di una voce importante dall’ottima tenuta. Alla performance vocalmente molto efficace (dopo la scena del giudizio il pubblico è esploso per l’entusiasmo) unisce un’ottima presenza scenica per carisma e credibilità nel rendere il personaggio prendendosi il palcoscenico come una leonessa altera.
Ludovic Tézier si conferma grande interprete verdiano, capace di dare un taglio moderno al suo canto, ma nel pieno rispetto della tradizione. Il suo Amonasro è autorevole sia per presenza scenica, che per pieno dominio dell’accento e della parola scenica. L’equilibrio tra volume, articolazione e chiarezza di quello che canta è veramente apprezzabile in questo artista. Una grande rivelazione è stato il Ramfis di Soloman Howard, nelle vesti di capo esercito invece che capo dei sacerdoti. La sua è una voce ricca (la più sonora del cast) che si impone in sala con prepotenza, così come imponente è la sua statura. Apprezzabile il contributo fuori campo di Francesca Chiejina in “Possente, possente Fthà”. Corretto ma non troppo incisivo Il Re D’Egitto di In Sung Sim.
In conclusione, nonostante una produzione divisiva che funziona teatralmente solo a tratti, la serata è stata musicalmente appagante. Al termine applausi calorosi per tutti gli interpreti con picchi di entusiasmo per Ludovic Tezier, Agnieszka Rehlis e Soloman Howard. Buon successo anche per Meli e Stinkinha, visibilmente soddisfatti del riscontro ottenuto e anche molto affiatati tra di loro. Tripudio meritato per il coro e il maestro Pappano. La produzione ritornerà a primavera 2023 con Angel Blue come Aida e Elīna Garanča come Amneris, più tutti gli altri interpreti di questo primo ciclo di recite.
Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2022/23
AIDA
Opera drammatica in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida Elena Stikhina
Radamès Francesco Meli
Amneris Agnieszka Rehlis
Amonasro Ludovic Tézier
Ramfis Soloman Howard
Il Re d’Egitto In Sung Sim
Una sacerdotessa Francesca Chiejina
Un messaggero Andrés Presno
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Antonio Pappano
Maestro del coro William Spaulding
Regia Robert Carsen
Scene Miriam Buether
Costumi Annemarie Woods
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet
Coreografia Rebecca Howell
Video Duncan Mclean
Nuova produzione della Royal Opera House
Londra, 28 settembre 2022