Alla Royal Festival Hall di Londra si è chiusa con un trionfo di consensi la serata dal titolo “A Gala Evening with Renée Fleming”. Un titolo altisonante che faceva presagire un evento speciale in onore della diva americana. Anche se di fatto si è trattato di un normale concerto e non di una serata di gala vera e propria, la diva, che dal 2017 si dedica a una sporadica attività concertistica, ha illuminato la serata con la sua innegabile allure. Per questo concerto, Renée Fleming, al ritorno a Londra dopo tre anni e reduce da una manciata di concerti in Europa tra cui un vero Gala glamour all’Opera Garnier con regia di Carsen, ha scelto due opere chiave del suo repertorio che la rappresentano pienamente: Otello di Verdi e Capriccio di Strauss. L’artista, apparsa in ottima forma, ha potuto quindi dare il meglio di sé, anche grazie all’accompagnamento attento e sensibile di Enrique Mazzola, alla guida della London Philharmonic Orchestra, che ha impreziosito il programma con l’esecuzione di brani orchestrali dalle opere citate sopra, oltre all’Ouverture da concerto Othello di Dvořák, una pagina eseguita di rado.
Certe cantanti si portano dietro un’aura speciale, da diva se vogliamo, ma senza l’arroganza di atteggiarsi a tale, come tante “finte dive” in circolazione. Ancora bellissima e affascinante all’età di 63 anni, Fleming ha fatto il suo ingresso con un vestito di metallo prezioso arancione firmato da Vivienne Westwood, con una mantella che l’ha aiutata a interpretare il ruolo di Desdemona nella prima parte del concerto. Nella seconda invece, via la mantella per calarsi con pieno lustro nei panni della Contessa Madeleine. Al suo primo ingresso, la cantante non ha fatto neanche tempo a mettere piede sul palcoscenico che è stata immediatamente accolta da un boato di applausi. Applausi non vacuamente tributati per la fama fine a se stessa, tanto è vero che questi sono aumentati in intensità a ogni esecuzione, sfociando in vere ovazioni al termine.
Ora è chiaro che non ci troviamo di fronte a una cantante trentenne nel suo prime di salute vocale e che Renée Fleming, classe 1959, è in attività dalla seconda metà degli anni ’80. Vanno fatte però due constatazioni. La prima è che lo strumento non è completamente depauperato, anzi al contrario: a fronte di una minore facilità a reggere a lungo tessiture acute, una minore ricchezza di suono e fiati più corti, la cantante gode ancora di un timbro sensuale e prezioso nell’impasto, soprattutto al centro. Canta con fluidità e fraseggia con eleganza. La seconda è che un’artista degna di questo nome ha comunque sempre qualcosa di valore da dare anche quando non è più all’apice dei suoi anni d’oro. Il concerto di ieri ne è stata la prova evidente.
In quanto alle critiche mosse al soprano in passato soprattutto dai suoi detrattori (troppo manierista, troppo enfatica, eccede con i portamenti e via di seguito), viene da chiedersi se a volte non si è stati troppo cattivi con Fleming per partito preso, perdendo di vista l’unicità di una voce. Serate come quelle di ieri sera servono a mettere le cose in prospettiva ed è evidente che sul palco c’era un’artista dalla classe innegabile, una signora che ha fatto delle cose molto belle (alcune stupende) e che ha ancora qualcosa da dire. Peraltro Fleming ha gestito con intelligenza una carriera senza scivoloni e senza scelte che potessero mettere troppo stress alle corde vocali.
Quello che ci ha colpito è stata la capacità di creare un’atmosfera e saper trascinarci dentro il pubblico, in alcuni frangenti completamente rapito. Questa è una capacità che hanno in pochi e che il pubblico sa ripagare con devozione. È successo soprattutto con la Canzone del Salice e l’Ave Maria da Otello dove Fleming ha reso con i suoi pianissimi e con il suo porgere la parola l’innocenza e la vulnerabilità di Desdemona. Anche i tanto criticati portamenti erano tutti eleganti e mai sfacciati e il momento di vera enfasi è stato rilegato allo sfogo in acuto di “Ah! Emilia, Emilia, addio!”. L’Ave Maria è stata forse un po’ troppo scandita e non un unicum di legato sul fiato in stile Tebaldi, ma comunque una prova emozionante e pregnante per significato e resa drammatica. Nella scena finale di Capriccio, Fleming ha colto bene il dilemma dell’essere combattuta nella scelta tra la Parola e la Musica, ovvero tra i suoi devoti amanti Olivier e Flamand. A tratti sembrava prevalere decisamente la Parola ma poi subentravano momenti di abbandono musicale superlativo, per arrivare alla non scelta finale vista l’inseparabilità di Parola e Musica.
Parole di apprezzamento vanno spese anche per Enrique Mazzola che ha dimostrato una grande abilità nell’assecondare le esigenze e la gestione dei respiri del canto di Fleming, di cui sono state enfatizzate la morbidezza e l’eleganza. Il nome di Mazzola è principalmente legato al belcanto, ma il direttore ha in realtà dimostrato una buona versatilità nello spaziare tra autori e stili differenti. La London Philharmonic Orchestra ha aperto la serata con l’Ouverture da concerto Othello di Dvořák, terzo tassello del Trittico di Ouvertures per grande orchestra Priroda, zivota, làska (Natura, vita e amore). Mazzola ha fornito una lettura asciutta ma in crescendo nella resa dell’evoluzione dei contrasti musicali, culminati in un incandescente finale tragico, che ha segnato in musica il suicidio di Otello. Ha fatto seguito l’esecuzione dei Ballabili dall’atto III di Otello di Verdi di cui è stata colta la musicalità dai richiami orientali, la verve ritmica e l’incisività d’accento. Sublime l’esecuzione del sestetto d’archi dell’Introduzione di Capriccio dai suoni densi, fluidi e amorosi, mentre il chiaro di luna contemplato dalla Contessa aveva respiro ampio ed evocativo, preparando con classe la scena finale cantata da Fleming.
Al termine, applausi senza sosta e dopo numerose chiamate in scena, l’artista concede un bis, “Morgen” di Strauss, nella sua versione orchestrale. Qui l’artista si supera veramente e tiene i presenti incollati alla poltrona e in perfetto silenzio, grazie alla sua capacità di smorzare e dilatare la frase musicale con estrema eleganza (un plauso anche al primo violino Pieter Schoeman che ha dettato il tono del pezzo con classe). Quale modo migliore per sigillare con stile una serata decisamente memorabile? Dopo “Morgen”, ancora applausi a non finire. Il pubblico forse sperava in un altro bis ma non è stato concesso; l’artista piena di grazia e anche visibilmente commossa (e probabilmente stanca), ha preferito accomiatarsi dal suo pubblico dopo aver espresso a gesti la sua gratitudine verso i presenti.
L’artista, che qualche anno aveva annunciato un semi-ritiro, perlomeno dal repertorio tradizionale a cui ci aveva abituato (l’ultimo ruolo scelto per il semi-addio è stato quello di Marschallin in Der Rosenkavalier nel 2017) per dedicarsi ad altri progetti, è attesa nel 2023 all’Opera di Parigi per una rara apparizione nel ruolo di Pat Nixon in Nixon in China di John Adams. L’addio definitivo non sembra dunque ancora all’orizzonte.
Southbank Centre’s Royal Festival Hall – Stagione di musica classica 2021/2022
A GALA EVENING WITH RENÉE FLEMING
Musiche di Dvořák, Verdi e R. Strauss
Soprano Renée Fleming
Direttore Enrique Mazzola
London Philharmonic Orchestra
Londra, 22 aprile 2022