Giunto quasi al trecentesimo anniversario, Tamerlano riesce ancora ad affascinare gli appassionati del teatro musicale di Händel. Datato 1724, annus mirabilis in cui il compositore produsse altri due capolavori, Giulio Cesare in Egitto e Rodelinda, Tamerlano è fra le tre l’opera dove emerge una più forte caratterizzazione psicologica dei personaggi. Il trattamento di una vicenda storica, quale quella del conflitto tra Timur e Bayezid, ossia Tamerlano e Bajazet, non trascura la presenza di potenti sentimenti, quali l’amore passionale tra Asteria e Andronico, la politica calcolatrice di Irene, la devozione filiale di Asteria per Bajazet e la lealtà verso la patria, incarnata dai dubbi che affliggono Andronico nei confronti del suo signore, Tamerlano.
La produzione proposta da The Grange Festival 2022 non ha nulla da invidiare a quelle di altri ben più noti festival operistici quali Glyndebourne che, durante la stagione estiva, hanno luogo nel Regno Unito. Il locus amenus in cui il festival si tiene dal 1998, tra le colline boscose dell’Hampshire, dove si erge, isolata, una residenza signorile risalente all’epoca della Reggenza, e che ospita il confortevole teatro da 590 posti, di certo non lascia presagire i funesti accadimenti dell’opera.
La scenografia, a cura di Robert Innes Hopkins, e ambientata in una realtà semi-distopica, contraddistinta da guardie armate e architettura palaziale contorta, sottintende il carattere fosco e quasi minaccioso dell’intera opera, dalla prigione sotterranea che ospita il prigioniero Bajazet nel primo atto alle più barocche sale del potere degli altri due atti. Nelle prime scene predomina una tetra oppressione, associata al regime tirannico di Tamerlano (da notare l’uso dei caratteri cirillici sulla cella di Bajazet: allusione al conflitto russo-ucraino?). Con il cambio di scena, lo splendore degli arredi non può non essere inteso in relazione alla psiche, megalomane e quasi psicopatica, del tiranno. In questo senso, l’intera scenografia rappresenta e riflette il carattere del personaggio che dà il titolo all’opera: Tamerlano, infatti, agisce sia come despota sanguinario, rinchiudendo Bajazet e Asteria nell’angusta cella e minacciandoli di atroci tormenti, sia da adolescente immaturo e viziato, abituato all’opulenza e al fasto.
Il versante musicale è affidato alla direzione di Robert Howarth, sul podio della Bournemouth Symphony Orchestra (BSO), un complesso tra i più prestigiosi del Regno Unito che solitamente affronta il repertorio otto-novecentesco e che per l’occasione si è esibito utilizzando strumenti d’epoca. La guida di Howarth, esperto di musica tardo-rinascimentale e barocca, ha garantito una lettura precisa, perfettamente sintonizzata con la drammaticità dell’opera, coesa e attenta al rapporto con le voci.
Alla pari di Giulio Cesare e Rodelinda, anche Tamerlano offre la possibilità agli interpreti di esibirsi sia in elevate prodezze di coloratura che in arie di patetico lirismo. Basti pensare che, alla prima, i ruoli di Asteria e Andronico furono sostenuti dal soprano Francesca Cuzzoni e dal castrato Senesino, due stelle del firmamento operistico settecentesco. Nella produzione del Grange Festival si impongono Raffaele Pe (Tamerlano) e Paul Nilon (Bajazet). Il controtenore italiano sfoggia una indubbia varietà espressiva, soprattutto nel secondo e terzo atto, dove dimostra abilità nel sostenere fraseggi vari e incisivi. Grazie alla notevole presenza scenica e alla qualità vocali, fra cui un timbro fortemente caratterizzato, Pe riesce a restituire la complessa psicologia del personaggio. L’augurio è di ascoltarlo più spesso sui palcoscenici britannici. Il tenore Paul Nilon, invece, conquista il pubblico già dal primo atto con una superba interpretazione della celeberrima aria “Ciel e terra”, in cui riesce ad esprimere il carattere volitivo di Bajazet con notevole controllo vocale.
Suscitano qualche perplessità Sophie Bevan (Asteria) e Patrick Terry (Andronico). Sebbene la prima sia in grado di esprimere la pietas filiale negli strazianti lamenti a seguito del suicidio di Bajazet, si deve tuttavia rilevare una certa acerbità nelle arie di coloratura. Stesso discorso per il controtenore Terry, il quale non rende con convinzione i tentativi di ribellione di Andronico (“Più d’una tigre altero”), pur padroneggiando il lirismo di alcuni brani (“Bella Asteria”). Migliore la performance di Angharad Lyddon (Irene), soprattutto nei fraseggi rapidi (sebbene sia da notare la mancanza di un’aria di notevole difficoltà come “Dal crudel che m’ha tradita”).
Tamerlano è certamente un’opera che induce lo spettatore a riflettere sull’imprevedibilità della natura umana. E la produzione del Grange Festival riesce a cogliere quest’aspetto in pieno. I temi trattati sono complessi e sicuramente non vengono affatto semplificati dal parziale lieto fine. Pur assistendo all’evoluzione psicologica di Tamerlano, il quale ritorna sui propri passi ricredendosi e perdonando i presunti nemici, il suicidio di Bajazet, simbolico della fine dei valori in cui egli credeva (indipendenza e amor patrio), lascia presagire che lo splendore del giorno e la speranza della pace non riusciranno a scacciare le tenebre della notte e le nefandezze della guerra.