Si parta dal fatto di cronaca, già noto e subito ribalzato all’attenzione dei social, che sembrava funestare irrimediabilmente l’esito della produzione di Manon Lescaut di Puccini andata in scena al Teatro Carlo Felice di Genova. L’opera, a poco più di un quarto d’ora dall’inizio, si ferma; il tenore Marcelo Álvarez, nei panni di Des Grieux, è visibilmente in difficoltà e si interrompe mentre canta il duetto con Manon attribuendo il tutto al troppo fumo presente sulla scena. Per la verità, già in “Tra voi, belle, brune e bionde”, si era capito che l’emissione era stanca, affaticata, così come la linea percorsa da un affanno che gli impediva di legare i suoni, ansiosi al punto di incorrere in diverse opacità, a partire dell’acuto avventuroso sul “che m’aspetta?”. Il tutto capitava, dunque, ben prima che il fumo della locomotiva a vapore, entrata in scena con Manon al seguito, lo costringesse – almeno secondo quando affermato dal celebre tenore in un “siparietto” di lamentele non degne del suo prestigio internazionale e della sua stessa professionalità – a trovare soluzioni vocali di ripiego sull’ottava bassa prima della decisione di bloccare il corso della recita. Dopo gli applausi del pubblico, il sipario è calato, mentre ancora si udivano le severe frasi di protesta giustificative del tenore. Poi, dopo un tempo tutto sommato breve, il teatro genovese ha radunato le forze e ha deciso di riprendere dall’inizio la recita con un nuovo tenore, Riccardo Massi, già previsto in cartellone per due delle sei recite in cartellone.
Nel frattempo, nel corso della serata, quando già le agenzie aveva dato notizie dell’accaduto, il teatro ha corretto il tiro, come era giusto che fosse, attribuendo tutte le responsabilità al tenore argentino e alla sua forma non ottimale. Quindi non può essere il poco fumo della scena ad aver condizionato la prova del tenore, bensì la sua stessa voce a essere andata in fumo, almeno in questa occasione. Detto questo, le recita è ripresa come se niente fosse e, dopo “Tra voi, belle, brune e bionde”, il nuovo tenore è stato applaudito con calore dal pubblico, come lo sono stati tutti gli interpreti di questa Manon Lescaut nata sotto una cattiva stella, poi terminata con unanimi approvazioni finali.
Che non si trattasse di una Manon Lescaut come le altre lo si era già capito ad apertura di sipario, quando il regista Davide Livermore, autore dell’allestimento firmato dal suo abituale team (qui ripreso per la parte registica da Alessandra Premoli), con scene di Giò Forma e Davide Livermore, costumi di Giusi Giustino, luci di Nicolas Bovey e videodesign di D-Wok, pensa di anteporre all’opera quello che Puccini e i librettisti Oliva e Illica non si erano minimamente sognati di fare: un prologo recitato nel quale Des Grieux, ormai vecchio, ritorna nella landa desolata dove aveva perso la sua Manon. Qui la landa è la newyorkese Ellis Island, l’isola che accoglieva i migranti in America in attesa di essere ammessi nel nuovo mondo che per loro rappresentava la speranza di salvezza dalla povertà. Ed ecco il vecchio Des Grieux che entra in quella che il regista definisce una grande stanza, “nel reparto di quarantena, che diviene il contenitore caleidoscopico e catartico della memoria di Des Grieux: su impianto scenico fisso, che delimita i confini di questa scatola di ricordi, i riferimenti della scena si ritagliano in maniera dinamica e l’incalzare della partitura fa riemergere via via la stazione di Amiens, il boudoir di Manon, la prigione, un porto, una nave, il luogo della morte di Manon”, che diviene non il deserto ma quella stessa stanza dove si accolgono i migranti dopo la lunga traversata oceanica.
Livermore, ancora una volta (lo fa spesso), connota la vicenda caricandola di forzati risvolti drammaturgici; fa della vicenda una storia di migrazione in quello che è il flash-back cinematografico del ricordo di Des Grieux. Le scene sono monumentali, talvolta anche ricche e sontuose. Eppure non si comprende perché la lussuosa casa dorata del ricco banchiere Geronte di Ravoir, dove c’è il boudoir di Manon, debba diventare un luogo equivoco, un postribolo abitato da prostitute e personaggi ambigui, compresa una sorta di Conchita Wurst. Né tanto meno si comprende perché si debba dare all’arresto e alla deportazione di Manon per motivi morali un motivo per lanciare un messaggio politico legato agli effetti delle migrazioni. L’idea, certo, è ben sviluppata, prima ancora sul piano visivo che registico, ma lascia sul campo un senso di latente inadeguatezza.
Sul versante musicale questa Manon Lescaut genovese si avvale di una bacchetta musicale di altissimo valore come quella di Donato Renzetti. Dalle scene del primo atto ai finti madrigalismi del “L’ora, o Tirsi” del secondo; dalla travolgente sensualità del duetto del secondo atto, carico della stessa estenuata disperazione che si fa tragedia nel concertato della scena del porto, a quella del finale, si ha in Renzetti un “regista” musicale attento al preciso contesto drammatico, donando compattezza, senso espressivo sempre pertinente ed equilibrio a una concertazione accuratissima, che nel celebre Intermezzo non si perde in particolarismi strumentali che facciano smarrire il necessario risvolto di cerniera teatrale che lo contraddistingue.
Grazie alla bacchetta di Renzetti il cast funziona assai bene, sostenuto da un respiro orchestrale intelligente, meditato e, soprattutto, mai pesante. Maria José Siri, che ha dato diverse volte prova di reggere saldamente il complesso arco vocale della parte di Manon Lescaut e che anche in questa occasione lo conferma, sfoggia una voce sicura, talvolta anche slanciata in acuto. Non sarà qualche nota attraversata da un accentuato vibrato a rovinare l’ottima tenuta complessiva della parte. Ciò che manca, invece, è l’approfondimento espressivo, capace di riverberarsi anche su quello che è la sostanziale carenza di sensualità e di fascino che rende la sua prova interpretativamente poco persuasiva.
Il già citato Riccardo Massi si disimpegna con onore nei panni di Des Grieux. Ha bella presenza e qua e là riesce anche a lanciare acuti di una certa sicurezza. A mancargli è la proiezione di un suono che, nei centri, appare velato e ridotto nell’espansione da un’emissione che gli vela le note costringendole in gola. Tuttavia, in tempi in cui è raro trovare tenori in grado di non soccombere alle difficoltà di una parte che chiede un arco espressivo che va dalle fresche finezze del nascente amore del primo atto alla vocalità drammatica più spinta del secondo atto, della scena del porto del terzo a quella del finale, Massi la risolve bene e, per di più, date le specifiche circostanze della serata, che l’hanno proiettato in scena anche se non previsto, con buona disinvoltura scenica.
Nei ruoli di contorno si segnala il bel timbro baritonale di Massimo Cavalletti, Lescaut di tutto rispetto, così come il teatralissimo Geronte di Revoir di Matteo Peirone. Ottimi anche Giuseppe Infantino, fresco Edmondo, Francesco Pittari (Il maestro di ballo e Il lampionario), Claudio Ottino (L’oste), Gaia Petrone (Il musico), Matteo Armanino (Il sergente degli arcieri) e Loris Purpura (Un Comandante di Marina).
Teatro Carlo Felice – Stagione d’opera, balletto e concerti 2022
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti di Giacomo Puccini
Libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica
Manon Lescaut Maria José Siri
Renato Des Grieux Riccardo Massi
Lescaut Massimo Cavalletti
Geronte di Revoir Matteo Peirone
Edmondo Giuseppe Infantino
L’oste Claudio Ottino
Il maestro di ballo Francesco Pittari
Il musico Gaia Petrone
Il sergente degli arcieri Matteo Armanino
Il lampionario Francesco Pittari
Un Comandante di Marina Loris Purpura
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Francesco Aliberti
Regia Davide Livermore ripresa da Alessandra Premoli
Scene Giò Forma e Davide Livermore
Costumi Giusi Giustino
Luci Nicolas Bovey
Videodesign D-Wok
Allestimento in coproduzione Fondazione Teatro Carlo Felice Genova,
Teatro San Carlo Napoli, Teatro Liceu Barcellona e Palau de les Arts Valencia
Produzione dedicata alla memoria di Renata Tebaldi nel bicentenario della nascita
Genova, 25 marzo 2022