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Firenze, Teatro del Maggio – Orphée et Eurydice (direttore Daniele Gatti)

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Una strana partenza: così possiamo sintetizzare l’inaugurazione del Festival del Maggio Musicale Fiorentino, edizione numero 84, avvenuta persino prima di Pasqua. Per l’occasione, si sceglie un’opera come Orphée et Eurydice di Christoph Willibald Gluck, proposta (senza intervallo) per la prima volta a Firenze nell’edizione francese approntata nel 1774 per le scene parigine, dopo il debutto della versione italiana avvenuta a Vienna nel 1762.

Strana, ma non per questo sbagliata, è poi la scelta del direttore. Le opere di Gluck sono un territorio ormai stabilmente conquistato da direttori avvezzi al barocco, spesso a capo di orchestre storicamente informate, tanto che persino a Firenze in tempi recenti si erano ascoltati Orfeo ed Euridice (alla Pergola nel 2014) e Alceste (2018) con la direzione di Federico Maria Sardelli, uno specialista di Vivaldi. Stupisce quindi vedere stavolta sul podio un direttore come Daniele Gatti, il quale solitamente non frequenta questo tipo di repertorio, e che sulla carta potrebbe sembrare un passo indietro nella prassi esecutiva, al periodo in cui Gluck lo eseguivano anche i grandi sinfonisti con un respiro da preludio romantico. Niente di più sbagliato.

Se nell’ouverture il suono ruvido, quasi secco, ottenuto da una Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino ridotta a elementi essenziali, risulta straniante, dopo poco l’ascoltatore si immerge tra questi scarti da orchestra barocca organizzati in un ampio respiro architettonico della musica. I tempi scattanti non precludono una ricerca attenta e calibrata dei dettagli, convogliati in una mirabile visione d’insieme in cui sembra di sentire tutta l’anticipazione delle composizioni di Berlioz. Tutta l’opera risulta poi innervata di tensione, tanto che sembra talvolta di entrare a capofitto nei sentimenti dei personaggi, resi spaziali dalla costruzione del suono stesso. Le agogiche e le dinamiche studiatissime permettono poi una resa dirompente delle varie danze, in cui non vi è timore di farsi trascinare dal furore quasi bacchico del ritmo. Le voci si inseriscono in perfetta armonia con l’insieme strumentale, sia quelle dei solisti, che quelle del coro, il quale, preparato come sempre da Lorenzo Fratini, offre una prova davvero rimarchevole.

Non da meno risulta poi il cast, capeggiato in tutti i sensi dal protagonista. Juan Francisco Gatell è un Orphée fragile e umano. La voce chiara e ben proiettata si muove senza problemi nella tessitura del ruolo, pur con qualche fissità negli acuti estremi. A fare veramente la differenza è tuttavia la combinazione di fraseggio cesellatissimo, in cui ogni nota e sfumatura risultano studiate e meditate, e immedesimazione nel personaggio: ne viene fuori un completo anti-eroe, un uomo comune come tanti di fronte alle sue paure e alle sue ansie. Si aggiunga la disinvoltura scenica con cui il tenore riesce a stare sempre sul palco tra canto, recitazione e danza, e si ottiene una esibizione davvero lodevole per tenuta e pregnanza.
Anna Prohaska è una Eurydice che funziona meglio nelle oasi liriche, mentre arranca nei momenti concitati. Il timbro risulta piuttosto anonimo, ma la voce passa l’orchestra senza difficoltà. Sara Blanch nel ruolo di Amour conferma le buone impressioni avute su questo stesso palco due mesi fa in Cherubini, con una apprezzabile voce piena, dotata di un gradevole timbro, che sa comunque dare giusto rilievo al breve ruolo.

Resta lo spettacolo di Pierre Audi che è pienamente in linea con quanto da lui fatto negli ultimi anni, dal Tristan nato a Parigi e passato anche da Roma, al Parsifal di Monaco: scena praticamente spoglia, o quasi, in cui prevalgono le sfumature di grigio, e dove molto si punta sulla fisicità degli interpreti. In questo caso gli unici elementi scenici risultano essere due pareti trasparenti mobili: il mondo delle ombre è evocato quindi dal complesso gioco di luci e video ideato da Jean Kalman e dai ballerini della compagnia di danza di Arno Schuitemaker. Nella concezione registica di Audi i tre personaggi sono parti di una stessa anima che viene spaccata all’inizio, per poi ricomporsi alla fine dopo il viaggio negli inferi. L’azione si dipana in modo tradizionale, senza particolari digressioni rispetto alla vicenda originale. Tutto ciò dà vita a uno spettacolo che funziona, anche se sa spesso di già visto, come le danze in stile hip hop in contrasto con la musica: risultano efficaci, soprattutto nella costruzione visiva dello spettacolo, ma è anche vero che vengono usate da almeno trent’anni.
Il folto pubblico accoglie comunque con favore anche il lato registico e applaude tutto il team creativo quando esce alle chiamate finali. Apprezzamenti ben più calorosi vengono rivolti agli interpreti e a Gatti, migliore artefice di una serata che su questo verso non fa rimpiangere troppo il passato glorioso del festival fiorentino.

Teatro del Maggio – 84° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
ORPHÉE ET EURYDICE
Tragédie-opéra (Drame héroïque) in tre atti
Libretto di Pierre-Louis Moline da Ranieri de’ Calzabigi
Musica di Christoph Willibald Gluck

Orphée Juan Francisco Gatell
Eurydice Anna Prohaska
Amour Sara Blanch

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
 Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Pierre Audi
Scene e luci Jean Kalman
Costumi Haider Ackermann
Video Gilbert Nono
Coreografia Arno Schuitemaker
Nuovo allestimento

Firenze, Auditorium Zubin Mehta, 12 aprile 2022

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