Grande festa sulle rive dell’Arno: è la prima volta de I due Foscari nelle stagioni del Maggio Musicale Fiorentino (l’ultima rappresentazione in città risale al 1905) e soprattutto è la 4100ª recita di Plácido Domingo, che alla fine esclama “Sono 65 anni che faccio questo lavoro e ancora oggi ho paura a salire su un palco, proprio come la prima volta”. L’unione di queste due occasioni ha fatto sì che si pensasse a una produzione ad hoc per il cantante spagnolo: infatti è stato lui negli ultimi anni il vero grande alfiere di quest’opera, interpretando il ruolo di Francesco Foscari in tutto il mondo, da Los Angeles a Salisburgo, fino alle performance scaligere di pochi anni fa.
Certo stupisce che un festival come il Maggio Musicale Fiorentino, che è stato un centro all’avanguardia nella rivalutazione di tanti titoli verdiani sin dalla sua fondazione, non avesse mai allestito quest’opera, al contrario di un teatro come la Scala, giusto per fare un esempio, che ha visto un discreto numero di produzioni nell’ultimo secolo. Quindi ben venga Domingo a colmare questa mancanza, anche in virtù del fatto che, di tutti i ruoli baritonali da lui affrontati, questo è quello che meglio gli si confà. Innanzitutto l’età sarebbe (più o meno) quella prescritta dal libretto, e poi dimostra una tenuta che in altri ruoli viene invece meno (basti pensare al Nabucco fiorentino del 2020). Il volume, la proprietà di accento e il dominio del palco rimangono gli stessi, così come rimane il fatto che si tratta pur sempre di un tenore che canta ruoli di baritono, ma sono questioni già affrontate da tanti altri in altre occasioni. Certo è che se proprio bisogna vederlo in questa veste camaleontica, allora il ruolo di Francesco Foscari è la prova migliore, in quanto si assiste ancora a un grande del palcoscenico al meglio delle sue possibilità.
Accanto a lui, nel ruolo di Jacopo Foscari, troviamo quello che viene considerato l’astro nascente tra i giovani tenori. La voce di Jonathan Tetelman si contraddistingue infatti per un timbro veramente bello, che caratterizza uno strumento piuttosto corposo, soprattutto nelle salite in acuto, zona in cui le note diventano vere e proprie folgori. L’interprete fraseggia con attenzione, sa ben dosare le dinamiche in modo da costruire un personaggio completo, grazie anche a una espressività intensa e una bella presenza scenica. La recitazione accurata e partecipe, anche se talvolta leggermente sopra le righe, lo rendono l’interprete più credibile sul palco; nonostante qualche sbavatura nell’emissione nel secondo atto, la sua è una prova sicuramente da ricordare.
Al suo fianco Maria José Siri, che nel ruolo arduo di Lucrezia Contarini convince più nei momenti dolenti che in quelli fieri, sia per musicalità che per tenuta, in quanto gli acuti estremi risultano talvolta forzati. A fronte di un volume consistente, il fraseggio risulta a tratti monotono e l’espressività artefatta, specie nei passaggi in cui prevale l’istinto vendicativo del personaggio. Riccardo Fassi è un Loredano ben cesellato, autorevole e vendicativo nella sua compostezza. Il bel timbro e la giusta proiezione fanno auspicare di sentirlo anche in ruoli più ampi. Tra le parti di contorno, Rim Park è un dignitoso Barbarigo, Xenia Tziouvaras dà il giusto risalto ai pochi interventi di Pisana, mentre Lulama Taifasi (Fante del Consiglio de’ Dieci) e Adam Jon (Servo del Doge) ben si destreggiano con i loro pur piccoli ruoli.
Carlo Rizzi tiene le fila del discorso musicale puntando su un buon ritmo narrativo, anche a fronte di un Preludio fin troppo funereo. Il direttore sa comunque cesellare anche i momenti più raffinati della partitura, come l’introduzione al secondo atto, e tenere il nerbo in quelli più concitati, pur con qualche eccesso di volume rispetto al palco. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino risponde con la giusta prontezza e una buona coesione, così come il Coro di cui brilla soprattutto il comparto femminile nella prima scena di Lucrezia.
Sul fronte registico, Grischa Asagaroff firma uno spettacolo di impronta tradizionale nell’estetica e nella forma. La scene di Luigi Perego sono caratterizzate da una bicromia di azzurro e legno che riprende la stessa dell’Auditorium: le pareti dietro il sipario vengono lasciate a vista, con tanto di scale che ascendono alla tribuna retrostante. La parte inferiore di questo scabro spazio scenico è colorata di azzurro (rimando anche al mare), mentre una grande struttura girevole a quattro facce domina il centro del palco: ogni faccia suggerisce uno degli ambienti, dalla Sala del Consiglio allo studiolo, ma quella più impressionante riproduce il Monumento funebre a Francesco Foscari (1457) che si trova nel presbiterio della Basilica dei Frari a Venezia; davanti a questo inizia l’azione, con Loredano che brama le insegne dogali, e finisce con la morte improvvisa del protagonista mentre si apre una porta nella parte inferiore di esso. Con l’eccezione di questa idea, neanche particolarmente sviluppata, lo spettacolo procede senza colpi di scena o trovate particolari, con gli interpreti lasciati ognuno alla propria capacità recitativa, che talvolta si riduce a stare al proscenio fermi agitando qualche mantello. I costumi sono per lo più ripresi dal famoso e abusato quadro di Hayez, quando non sono in una foggia che ricorda vagamente il Rinascimento in forme che non sempre rendono un buon servizio alla figura dell’interprete. Lo spettacolo offre quindi il solito Verdi rassicurante, attraverso cui poco si esaltano i turbamenti psicologici di uno dei drammi più intimi del compositore.
Il folto pubblico risponde con vere e proprie ovazioni dopo ogni pezzo chiuso, e la recita si chiude in un vero trionfo per tutti, con punte di entusiasmo per Tetelman, Siri e Domingo, suggellato dai festeggiamenti per il traguardo raggiunto da quest’ultimo con discorso e coriandoli su applausi strabordanti.
84° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
I DUE FOSCARI
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Francesco Foscari Plácido Domingo
Jacopo Foscari Jonathan Tetelman
Lucrezia Contarini Maria José Siri
Jacopo Loredano Riccardo Fassi
Barbarigo Rim Park
Pisana Xenia Tziouvaras
Fante del Consiglio de’ Dieci Lulama Taifasi
Servo del Doge Adam Jon
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Carlo Rizzi
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Grischa Asagaroff
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Valerio Tiberi
Coreografia Cristiano Colangelo
Nuovo allestimento
Firenze, 22 maggio 2022