Difficile ricordare in tempi recenti, a Firenze, una produzione così travagliata da portare in scena. Programmata per inaugurare il Festival del Maggio 2020, rimandata per le conosciute ragioni, una volta montata nel nuovo spazio dell’Auditorium Zubin Mehta finalmente provvisto di buca orchestrale, le prime due recite saltano a causa dei contagi nel cast. Per fortuna le altre tre sono a una distanza temporale che sembrava piuttosto lunga ma che si rivela provvidenziale per far guarire tutti e portare a casa un successo più che meritato con un titolo che di successo ne ha avuto poco e forse anche a ragione.
Lo sposo di tre, e il marito di nessuna di Luigi Cherubini andò infatti in scena al Teatro San Samuele di Venezia nel novembre 1783, e sparì dopo una manciata di recite. Prima di questa nuova produzione fiorentina, l’opera è riapparsa solo al Festival di Martina Franca nel 2005, dove è stata anche registrata per l’etichetta Dynamic. Si tratta di un lavoro appartenente alla fase giovanile del compositore fiorentino che lo scrisse a 23 anni durante quello che si può considerare il suo apprendistato prima della folgorante carriera francese che parte nel 1788 con Démophoon. Il libretto di Filippo Livigni, la cui trama è ben sintetizzata dallo stesso titolo, è un concentrato di situazioni tipiche dell’opera buffa settecentesca quasi paradigmatico tra travestimenti, scambi di persona e di coppia e inganni, con il povero Don Pistacchio costantemente raggirato e manipolato da tutti, fino a ritrovarsi solamente testimone alle nozze delle sue tre presunte fidanzate. Cherubini scrive una partitura raffinata e vocalmente assai impegnativa, tanto che alcune arie potrebbero benissimo stare in una qualche titolo serio. Alla prova del palco, tuttavia, non si può negare che si tratti di un’opera curiosa ma non memorabile. A suo svantaggio pesa una lunghezza quasi wagneriana dovuta alla ripetizione di alcune situazioni (nel primo atto ci sono almeno due potenziali finali d’atto oltre a quello vero e proprio) e all’allungamento di certe altre. Nonostante questo, il primo atto funziona veramente bene ed è sicuramente la parte più godibile di quest’opera interessante in quanto offre un perfetto spaccato sul genere buffo dell’epoca.
La regia è affidata a un veterano del palco come Cesare Lievi, che qui mette in campo tutta la sua esperienza e si dimostra consumato direttore di attori e capace di disegnare le giuste situazioni comiche senza cadere nel farsesco (bellissima l’entrata di Lisetta sul piccolo cocchio, mentre Martino è costretto a stare dietro con i bagagli); a ciò concorrono anche i figuranti quasi mimetizzati che si fanno anche elementi scenici, come nel giardino ricreato grazie a loro che si trasformano in piante. Il lavoro sugli interpreti è curatissimo, anche nelle controscene, e si apprezzano anche le soluzioni efficaci per risolvere i problematici concertati. Luigi Perego trova invece il modo per adattare le scene al palco dell’Auditorium, non immenso e tecnicamente più limitato rispetto a una vera macchina scenica: impostando su un perno alcuni pannelli piastrellati blu girevoli che si incorniciano a vicenda, si creano a ogni scena nuovi spazi con infinite disposizioni. Gli oggetti di scena sono pochi ma ben utilizzati, mentre i costumi rimandano agli anni ‘50.
Il versante musicale è capitanato da Diego Fasolis che guida una Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino a ranghi ridotti, ma dai quali ottiene una gamma di colori di sicuro fascino. Il maestro sceglie inoltre di accompagnare col fortepiano non solo i recitativi ma anche i numeri musicali, conferendo all’impianto sonoro una sorta di linea di basso rimpolpata. Si apprezzano poi il brio dato al passo teatrale, in perfetto accordo con la regia, e la creazione di un tappeto sonoro su cui i cantanti possono muoversi con agio. Si nota ogni tanto qualche leggerissimo scollamento tra buca e interpreti, ma si tratta di piccolezze emendabili nelle recite che non vanno a inficiare un’ottima performance.
Il cast si rivela ben assortito e di buona qualità. Tutti dimostrano di aver prestato una notevole attenzione alla resa del testo e alla scansione della parola, tanto che è facile seguire lo spettacolo anche senza guardare troppo i sopratitoli. Fabio Capitanucci è un Don Pistacchio dalla voce autorevole, omogenea e dotata di ottima estensione. Fraseggia con gusto ed esibisce anche un eccellente sillabato ove il ruolo lo richiede. Sara Blanch è una Donna Lisetta pressoché perfetta. Cherubini affida al suo personaggio le arie più complesse della partitura, rendendola di fatto protagonista musicale dell’opera. Il soprano spagnolo ne esce decisamente vittorioso, grazie ad acuti scintillanti e agilità sciorinate con discreta facilità. Ottimi inoltre risultano il fraseggio, nonché la presenza scenica e la spigliatezza attoriale.
Ruzil Gatin è un Don Martino dal timbro chiaro schiettamente tenorile. La voce è piuttosto ampia con acuti facili e ragguardevoli. Donna Rosa è Arianna Vendittelli. Bionda e fascinosa in scena, vocalmente mette in mostra il suo bel timbro ambrato su uno strumento che non ha problemi a salire in acuto. Risolve bene soprattutto le arie in cui può mettere in evidenza, senza troppo calcarlo, il piglio da tragédienne, dando al personaggio una sfumatura meno scontata.
Alessio Arduini centra perfettamente il personaggio di Don Simone. Il ruolo gli sta vocalmente a pennello, e permette di dispiegare uno strumento screziato e ben proiettato, abbinato a una musicalità dirompente. Arduini dimostra poi un perfetto controllo scenico e tratteggia un personaggio completo sotto tutti i punti di vista. Benedetta Torre è una Bettina assai spigliata, dotata di un un bel timbro e di una voce omogenea, rotonda e piena che sale facilmente agli acuti, sfoderando anche belle agilità. Le fa compagnia il riuscito Folletto di Giulio Mastrototaro, dotato di un timbro piuttosto chiaro, ma ben a suo agio nella scrittura vocale.
Il nutrito pubblico di questa prima rimandata risponde bene alle quasi quattro ore di spettacolo, con applausi a scena aperta, decretando poi un successo convintissimo a tutti gli interpreti, al direttore e al team registico. Come già auspicato altre volte, speriamo questo sia un inizio per riscoprire a Firenze anche il resto della produzione di Cherubini, attuando la rivoluzione filologica già in atto su questo tipo di repertorio e rendendolo accattivante per il pubblico di oggi.
Teatro del Maggio, Auditorium Zubin Mehta – Stagione 2021/22
LO SPOSO DI TRE, E MARITO DI NESSUNA
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Filippo Livigni
Musica di Luigi Cherubini
Don Pistacchio Fabio Capitanucci
Donna Lisetta Sara Blanch
Don Martino Ruzil Gatin
Donna Rosa Arianna Vendittelli
Don Simone Alessio Arduini
Bettini Benedetta Torre
Folletto Giulio Mastrototaro
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Diego Fasolis
Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi
Nuovo allestimento
Firenze, 4 febbraio 2022