Giacomo Puccini è uno dei compositori più amati e apprezzati dal pubblico di tutto il mondo, e questa è cosa risaputa. Di solito condivide il podio del gradimento insieme a Giuseppe Verdi, ma se quest’ultimo può vantare una importante storia esecutiva in una piazza come il Festival di Salisburgo, lo stesso non vale per il collega toscano. La prima opera di Verdi rappresentata sulle rive del Salzach è stata Falstaff il 29 luglio 1935 con la direzione di Arturo Toscanini e la regia di Guido Salvini, mentre per vedere un’opera di Puccini nell’ambito del festival estivo bisogna aspettare la Tosca del 1989, ripresa di una produzione di Karajan dei precedenti Festival di Pasqua. Da allora si sono visti solo altri tre titoli, Turandot (2002, con finale Berio), La bohème (2012), e Manon Lescaut (2016, in forma di concerto), e una nuova produzione di Tosca nell’edizione del 2021. In virtù della volontà di riscoperta di titoli mai visti al festival, il direttore artistico Markus Hinterhäuser ha dunque deciso di proporre Il Trittico, scelta quindi non scontata in questo ambito, e per fare ciò ha chiamato un team di artisti che il pubblico del luogo ben conosce, cioè il direttore Franz Welser-Möst, il regista Christof Loy e la diva del momento, Asmik Grigorian.
Ci sono casi in cui l’unione di personalità forti porta alla creazione di capolavori e altre volte in cui gli sforzi appaiono maggiori del risultato finale. Alcune produzioni del Festival 2022 rientrano nella prima casistica ma questo Trittico fatica a mantenere le promesse. Ciò che ha fatto discutere molto fin dall’annuncio è stato il cambio di ordine dei titoli lungo la serata: si inizia con Gianni Schicchi, si prosegue con Tabarro e si conclude con Suor Angelica. Nel programma di sala, Loy giustifica questa scelta in modo simbolico, affermando di voler portare lo spettatore in un viaggio dall’Inferno al Paradiso come se fosse una nuova Commedia dantesca, idea che tra l’altro aveva solleticato per un periodo anche lo stesso Puccini, il quale però si ispira davvero a un passo dantesco solo nel soggetto dello Schicchi. Loy afferma tuttavia che vuole giocare una sorta di trappola agli spettatori del festival: immersi nell’atmosfera estiva rilassata della cittadina, saranno più propensi ad apprezzare il lavoro se si imbattono in un’opera comica che si accorda in qualche modo alla loro gioiosa disposizione d’animo piuttosto che nelle atmosfere cupe del Tabarro. In questo modo Loy cerca anche di dare più risalto a quest’ultimo titolo e al finale di Suor Angelica, che secondo lui viene solitamente fin troppo smorzato dall’atmosfera quasi triviale di Gianni Schicchi. Certo è che così si perde tutta l’azione catartica del titolo comico, il cui finale stride molto in una posizione così vicina all’inizio dello spettacolo come è posto a Salisburgo. L’idea di Loy funziona comunque nel mostrare l’evoluzione dell’amore, da quello giovanile ed esuberante di Lauretta e Rinuccio, a quello disilluso e sconfinato nell’abitudine di Michele e Giorgetta, fino all’amore materno e alla lotta con i rimorsi di Angelica.
Lo spettacolo appare incastonato in un grande spazio chiuso improntato su colori chiari con pochi elementi scenici, come è tipico degli allestimenti di Christof Loy. In Gianni Schicchi tutto ruota intorno al grande letto di Buoso: la scena si apre sui parenti in lacrime intenti a mangiare spaghetti, per poi dipanarsi come in uno Schicchi piuttosto tradizionale, anche se in abiti moderni; qui convince soprattutto l’attenzione alla recitazione, che non scade mai nel volgare, unita a soluzioni veramente interessanti come il sensuale terzetto delle donne che diventa una sorta di scena di seduzione e abbandono dei sensi in cui vengono coinvolti anche gli uomini. Assai meno interessante e priva di particolari spunti risulta la lettura di Tabarro in cui la barca è racchiusa in una scatola scenica bianca, ed è unita a sparuti arredamenti borghesi. Suor Angelica riserva invece delle sorprese: il convento è spettrale, quasi ibseniano e gli unici tocchi di colore sono le piante coltivate dalla protagonista vicino alla finestra. Dal momento in cui Angelica apprende della morte del figlio comincia una vera riscrittura: firma velocemente le carte e si toglie il velo per poi indossare un tubino nero e scarpe col tacco tirati fuori dalla valigia degli effetti mondani che le sorelle le hanno portato. Loy sottolinea così come la vita claustrale fosse solo una maschera che crolla nel momento in cui il mondo da cui Angelica si era allontanata le ritorna addosso come un treno. Tuttavia, non appartenendo più né all’universo mondano né a quello religioso, capisce che il suicidio è l’unica via di scampo per non rimanere chiusa nel limbo: le sue contraddizioni vengono messe in risalto anche dal fatto che, una volta capito che con il suicidio non otterrà il Paradiso, Angelica si acceca come gesto estremo di disperazione. Per quanto arbitraria, si tratta di una lettura molto interessante che approfondisce alcuni nodi di una delle partiture più incredibili di Puccini. Certo è che nel complesso non è un Trittico che si possa definire storico solo per alcune scene azzeccate, dato che manca una lettura forte che caratterizzi tutte e tre le opere.
Sul versante musicale le cose non vanno molto meglio. Franz Welser-Möst dimostra ancora una volta di non avere un particolare feeling con Puccini. I Wiener Philharmoniker lo aiutano a distillare una lettura di stampo sinfonico molto attenta ai particolari e agli impasti timbrici, ma manca una concertazione ben studiata con il palco. Il direttore infatti procede spesso per la sua strada, e i solisti rischiano di risultare sguaiati nei concertati oppure molto poco supportati, a partire dalla protagonista. Aggiungiamo poi che i tempi vanno via via sformandosi nel corso della serata, così che lo Schicchi è lento ma mantiene un ritmo narrativo, che scompare totalmente nel Tabarro, mentre in Suor Angelica il direttore sembra così impegnato a voler nobilitare Puccini da abbandonarsi a scarti agocici piuttosto fantasiosi e schianti orchestrali bruckneriani alquanto stridenti.
Ma il vero motivo per cui esiste questa produzione è Asmik Grigorian, impegnata nei tre ruoli da protagonista femminile delle tre opere, il cui cambio di ordine può anche essere un modo per farla meglio brillare. Comunque sia, è innegabile che ci si trovi di fronte a una interprete di notevole caratura. La voce si spande nella grande sala senza difficoltà alcuna, risultando omogenea in tutta la linea, anche se il timbro risulta magari meno ricco, ma riconoscibile. Disegna così una Lauretta matura venata di malinconia, e una Giorgetta convenzionale ma piena di gioia di vivere. Come Angelica l’artista tira poi fuori gli artigli, come se avesse aspettato tutta la sera per dare al pubblico il momento da ricordare: tra un fraseggio molto sfaccettato e un dominio tecnico magistrale, dalle tenute di fiati alle smorzature in acuto, il soprano realizza nel finale una prova maiuscola, che non tante titolari del ruolo possono eguagliare.
Accanto a lei troviamo un cast piuttosto disomogeneo. Misha Kiria si distingue come Gianni Schicchi grazie alla voce possente e al fraseggio ben calibrato. Non brilla invece Alexey Neklyudov, la cui vocalità poco si adatta alla tessitura di Rinuccio e fatica a scavalcare l’orchestra, dimostrando anche un registro acuto perfettibile. Joshua Guerrero è un Luigi dalla voce di bel colore e una buona proiezione, anche se il fraseggio risulta alquanto scolastico. Roman Burdenko nei panni di Michele si distingue soprattutto per l’importanza dello strumento, ma è ordinario nella resa del personaggio. Per il capitolo glorie passate, Karita Mattila è una Zia Principessa dalla vocalità non omogenea ma assolutamente carismatica sia nella presenza scenica che nel fraseggio, mentre Hanna Schwarz è invece una Badessa fin troppo senescente. Enkelejda Shkosa, nei tre ruoli di Zita, Frugola e Suora Zelatrice (ruolo in cui appare più centrata dal punto di vista interpretativo), mostra una voce calda e generosa.
Tra i comprimari spiccano soprattutto gli italiani, a partire da Lavinia Bini e Caterina Piva, centratissime come Nella e Ciesca, così come Giulia Semenzato nel ruolo di Suor Genovieffa. Un plauso va anche a Martina Russomanno che mette in evidenza il suo bel timbro di voce leggera nel duplice ruolo dell’amante e di Suor Osmina. Tra i comprimari maschili meritano invece di essere segnalati Iurii Samoilov (Marco) e Andrea Giovannini (Tinca).
Il pubblico accoglie le tre opere con crescente entusiasmo fino a una vera e propria standing ovation finale quando Asmik Grigorian si presenta da sola alle chiamate dopo Suor Angelica, suggellando pure l’ultima recita con una accoglienza trionfale, anche se nel complesso sarà difficile ricordare questo Trittico come veramente memorabile.
Salzburger Festspiele 2022
IL TRITTICO
Musica di Giacomo Puccini
GIANNI SCHICCHI
Opera in un atto di Giovacchino Forzano
Gianni Schicchi Misha Kiria
Lauretta Asmik Grigorian
Rinuccio Alexey Neklyudov
Zita Enkelejda Shkosa
Simone Scott Wilde
Gherardo Dean Power
Nella Lavinia Bini
Betto di Signa Manel Esteve Madrid
Marco Iurii Samoilov
La Ciesca Caterina Piva
Maestro Spinelloccio Matteo Peirone
Ser Amantio di Nicolao Mikolaj Trąbka
Pinellino Aleksei Kulagin
Guccio Liam James Karai
IL TABARRO
Libretto di Giuseppe Adami
Michele Roman Burdenko
Luigi Joshua Guerrero
Il “Tinca” Andrea Giovannini
Il “Talpa” Scott Wilde
Giorgetta Asmik Grigorian
La Frugola Enkelejda Shkosa
Un venditore di canzonette/Un amante Dean Power
Un’amante Martina Russomanno
SUOR ANGELICA
Libretto di Giuseppe Adami
Suor Angelica Asmik Grigorian
Zia Principessa Karita Mattila
La badessa Hanna Schwarz
La suora zelatrice Enkelejda Shkosa
La maestra delle novizie Caterina Piva
Suor Genovieffa Giulia Semenzato
Suor Osmina Martina Russomanno
Suor Dolcina Danyl Freedman
La suora infermiera Juliette Mars
Prima cercatrice Lavinia Bini
Seconda cercatrice Alma Neuhaus
Una novizia Amira Elmadfa
Prima conversa Svenja Kallweit
Seconda conversa Anna Yasiutina
Wiener Philharmoniker
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Direttore Franz Welser-Möst
Maestro del coro Huw Rhys James
Regia Christof Loy
Scene Étienne Pluss
Costumi Barbara Drosihn
Luci Fabrice Kebour
Drammaturgia Yvonne Gebauer
Nuova produzione
Salisburgo, Grosses Festspielhaus, 21 agosto 2022