Ulisse abbandonato sulle rive del Po e non a Itaca. Perché la sua storia riguarda tutti, ed è specchio della malattia del nostro tempo. Punta sulla costante attualità di un mito archetipico della cultura occidentale la lettura che il regista Luigi De Angelis immagina per Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi, in scena al Monteverdi Festival di Cremona.
E comincia con le immagini del protagonista che vaga spaesato lungo le rive del grande fiume che lambisce la cittadina lombarda, incipit di uno spettacolo certamente interessante, ricco di spunti originali, ma che in alcuni passaggi sconta una certa staticità. Per De Angelis “Ulisse inventa lo spazio moderno, divisibile, misurabile, è il prototipo dell’uomo moderno che antepone alla lettura del mondo l’immagine del mondo”. Così, la scena, curata dallo stesso regista che firma pure le belle luci e i video, è uno spazio geometrico pulito e lineare, disegnato dalla luce, che si rivela essere quello di un tiro al bersaglio. Tutta l’opera converge infatti verso la scena cruciale dell’uccisione dei Proci. I pochi elementi scenici presenti sono per lo più sagome di alberi o cespugli – bersagli come gli stessi uomini – perché tutto, oggi, secondo il regista, è “bersaglio di una prospettiva di mercato e di consumo”. La natura, pure evocata dai versi di Badoaro e dalla musica di Monteverdi, prende consistenza in immagini che indugiano su piante e fiori, magari con api o farfalle. Il teatro, poi, con la platea, diviene la reggia di Penelope e Ulisse e l’orchestra è quella della corte di Penelope, secondo la già citata idea che la fabula si sviluppi ai nostri giorni. La confermano pure i bei costumi di Chiara Lagani (che firma anche la drammaturgia), che veste gli dèi con abiti scintillanti ma che pure ne denunciano l’inconsistenza drammaturgica, la perdita di ogni carica vitale. Non più connessi all’uomo, condannati alla bidimensionalità, sono essi stessi bersagli. La verità risiede invece negli umani, nella loro ansia di vivere e gioire, nel desiderio d’amore che li anima, financo nell’attaccamento alla feriale prosaicità del mangiare e del bere, qui incarnato dal personaggio di Iro, uno straordinario Bruno Taddia.
E veniamo così alla parte musicale, nel complesso di alto livello. Grazie anzitutto a Ottavio Dantone e alla “sua” Accademia Bizantina: strumentazione e direzione creano un ampio ventaglio di colori e dinamiche, con tempi elastici che lasciano al canto il giusto respiro per dispiegarsi nella sua dimensione più lirica, ma che non per questo rinunciano a un serrato ritmo narrativo. Fluidità e naturalezza caratterizzano quindi il recitar cantando di tutti gli interpreti, con alcune punte di eccezionale resa, nel segno di quella varietà degli affetti che è centrale nell’estetica barocca. Trattasi in fondo di “dramma in musica” e non di “favola”, come invece è il pur sublime Orfeo monteverdiano. Mauro Borgioni è un Ulisse pressoché perfetto: non l’eroe giovane e astuto che beffa il Ciclope, ma un uomo maturo, stanco eppure non domo. La linea di canto è robusta, compatta, di bel colore, con una pregevole varietà di accento e un’attenzione precisa per la parola.
Penelope, il personaggio più enigmatico dell’opera, ha la elegante e spigolosa fisicità di Delphine Galou, la cui intelligenza di fraseggio compensa i limiti di una vocalità non rigogliosa. Penelope si esprime prevalentemente nel recitativo, che talvolta trapassa in arioso. La contrapposizione con personaggi che, diversamente dalla regina, si esprimono quasi solamente attraverso l’esuberanza del canto sortisce così effetti inediti. Penso alla sensualità di Melanto ed Eurimaco (l’ottima Gaia Petrone e il duttile Alessio Tosi) o alla vanità melodica dei Proci, davvero molto bravi: Roberto Lorenzi (Antinoo imponente, anche nelle vesti del Tempo), Francisco Fernandez Rueda (Anfinomo di voce morbida ed estesa) ed Enrico Torre (Pisandro, controtenore dal timbro caldo e omogeneo). L’intenso canto di Eumete trova in Luigi Morassi un interprete molto interessante per vocalità e presenza scenica, anche se il giovane deve ancora lavorare per affinare le sue qualità. Eccezionale – ma lo abbiamo già anticipato – la resa da parte di Taddia del difficile personaggio di Iro, confinato da compositore e librettista al solo ventre, nel segno di un declamato ruvido perfettamente scandito e di una interpretazione attoriale che ne fa uno schizofrenico. Un bel rilievo hanno le figure di Telemaco e di Minerva, grazie al canto e all’intelligenza di Anicio Zorzi Giustiniani e di Giuseppina Bridelli (peraltro all’ottavo mese di gravidanza), così come emerge con inedita dolcezza la nutrice Ericlea di Anna Bessi. Pregevoli anche Raffaella Milanesi (Giunone), Vittoria Magnarello (la Fortuna) e Paola Valentina Molinari (Amore); completano il cast Gianluca Margheri (Giove) e Federico Domenico Eraldo Sacchi (Nettuno). [Rating: 4/5]
Taetro Ponchielli – Monteverdi Festival 2022
IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA
Tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti
Poesia di Giacomo Badoaro
Musica di Claudio Monteverdi
Edizione critica a cura di Bernardo Ticci
BTE – Bernardo Ticci edizioni, 2021
Ulisse Mauro Borgioni
Telemaco Anicio Zorzi Giustiniani
Penelope Delphine Galou
Iro Bruno Taddia
Il Tempo/Antinoo Roberto Lorenzi
Giunone Raffaella Milanesi
La Fortuna Vittoria Magnarello
Giove Gianluca Margheri
Nettuno Federico Domenico Eraldo Sacchi
Minerva Giuseppina Bridelli
Amore Paola Valentina Molinari
Anfinomo Francisco Fernandez Rueda
Pisandro Enrico Torre
Melanto/L’humana Fragilità Gaia Petrone
Eurimaco Alessio Tosi
Eumete Luigi Morassi
Ericlea Anna Bessi
Accademia bizantina
Direttore Ottavio Dantone
Regia, scene, luci e video Luigi De Angelis
Costumi e drammaturgia Chiara Lagani
Assistente regia Andrea Argentieri
Progetto Fanny & Alexander
Produzione Monteverdi Festival, Fondazione Teatro Ponchielli
Nuovo allestimento
Cremona, 15 giugno 2022 (prova generale)