Chiusura di stagione leggermente sfortunata per il Teatro Comunale di Bologna: La traviata, programmata inizialmente per un folto numero di recite nella Sala del Bibiena, viene spostata nel polifunzionale Teatro EuropAuditorium proprio accanto all’ingresso principale della Fiera, mentre iniziano i lunghi lavori nel vecchio Comunale grazie ai fondi sbloccati dal PNRR. Il numero delle recite, rimodulato a causa della maggiore capienza della sala, viene poi ulteriormente ridotto a causa di uno sciopero delle maestranze avvenuto in concomitanza della prima rappresentazione. Rimangono quindi solo tre recite ravvicinate di uno spettacolo totalmente ripensato per il nuovo e provvisorio luogo: si tratta di una sala un po’ anonima, ma capiente e accogliente, che aveva già ospitato gli spettacoli del Comunale durante il suo ultimo restauro nel 1980; certo non ha l’acustica ideale per questo tipo di produzioni e il palco sembra piuttosto spartano, ma può andare bene come sede provvisoria in attesa che si inauguri la struttura apposita per gli allestimenti in un padiglione della Fiera.
Date queste premesse, è quasi inutile dire che Alessandro Talevi ha dovuto cambiare in corso d’opera il progetto di questa sua terza produzione di Traviata per la quale voleva usare come riferimento estetico “l’alta drammaticità del cinema espressionista tedesco”, come dichiarato nel programma di sala. Alcune di queste intenzioni rimangono nelle proiezioni durante i due preludi: l’occhio che guarda voyeuristicamente la creatura Violetta come attraverso uno spioncino, o successivamente il microscopio che dapprima inquadra le cellule malate e poi diventa un cannocchiale indugiante sulla protagonista accasciata in abiti ospedalieri. Talevi vuole così mostrare come Violetta, in quanto diversa e libera nella sua essenza e sessualità, sia costantemente sotto gli occhi di una società moralizzante ma estremamente curiosa che alla fine esulterà contenta per la sua caduta. L’ambientazione contemporanea, evidente negli abiti ben confezionati di Stefania Scaraggi, tradisce un lavoro di regia che non si stacca eccessivamente dalla tradizione; tuttavia, nonostante alcune concessioni alla staticità o alle pose stereotipate, si nota il tocco di uno che sa come far funzionare i meccanismi teatrali operistici anche con mezzi limitati. La scena si compone infatti esclusivamente di varie file di sedie, una pedana circolare al centro e uno schermo per le proiezioni, firmate da Marco Grassivaro, le quali per una volta servono davvero a sottolineare con efficacia le atmosfere della vicenda, come nella scena della campagna del secondo atto, dove simulano una camminata nella natura che va dalle calde tinte autunnali a un bosco sempre più spoglio e innevato, così da simboleggiare il tracollo di una situazione che sembrava idilliaca.
Alcune parti dello spettacolo risultano risolte vagamente a metà, come il primo atto un po’ rinunciatario e cauto nel voler mostrare la trasgressione di Violetta, ma non mancano alcune interessanti intuizioni, come i cori delle zingarelle e dei mattadori tramutati in una ironica pantomima tra i comprimari che mettono in scena in pochi minuti la Carmen di Bizet. Allo stesso modo, l’ultimo atto appare come quello più curato, soprattutto nella recitazione della protagonista, alla cui morte, il coro mascherato che applaude festante nello schermo in fondo al palco risulta quasi un pugno nello stomaco, proprio come una Traviata dovrebbe essere.
Dal punto di vista musicale, ci troviamo di fronte a una esecuzione in crescendo. Sul podio Riccardo Frizza inizia in modo molto cauto, ma dal secondo atto trova una convincente gamma di colori e dinamiche in una buona sintonia con i cantanti, cercando sempre di sorreggerli e supportarli in eventuali scollamenti, probabilmente dovuti anche all’acustica non ideale della sala. La sua è una direzione assai cesellata ed efficace nei momenti intimi, a partire dal duetto tra Violetta e Giorgio Germont, ma che dilata i tempi nelle grandi pagine d’insieme, perdendo così un po’ della sua forza. Nonostante ciò, il passo teatrale regge, e l’Orchestra del Teatro Comunale asseconda compatta la bacchetta, laddove il Coro appare invece più cauto e meno incisivo del solito, specie nei passaggi più concitati.
Il cast risulta tutto sommato di buon livello. La protagonista è Zuzana Marková, già ascoltata a Firenze in questo stesso ruolo quattro anni fa. Il timbro è leggermente metallico e non proprio seducente, ma la voce risulta ben proiettata e gli acuti piuttosto facili, incluso il mi bemolle a coronamento del “Sempre libera”. Tuttavia, oltre alla disinvoltura scenica, colpisce il lavoro approfondito di fraseggio che emerge a partire dal secondo atto, e culmina in un “Addio del passato” di notevole intensità e in un finale estremamente partecipe.
Rame Lahaj è un Alfredo Germont un po’ generico, che tende a rifarsi al modello dominghiano, senza però avere un volume o una proiezione che davvero lo supportino. Il timbro è fascinoso e l’esecuzione dei brani solistici risulta musicalmente buona, ma manca un fraseggio originale e il tenore è quello che più di tutti fatica ad andare al passo con la buca. Al contrario, Roberto Frontali tratteggia un Giorgio Germont estremamente sfaccettato. Anche a fronte di acuti corti e una emissione non morbidissima, il baritono piega la sua corposa voce alle diverse sfumature, disegnando una vera figura paterna capace anche di comunicare affetto quando parla dei figli e che sembra consapevole che la sua visita a Violetta non è una passeggiata per nessuno dei due. A tal proposito meritano un plauso lui, Marková e Frizza per aver reso l’inizio del duetto Giorgio-Violetta un botta e risposta piccato e teatrale, come raramente capita di sentire.
Tra i comprimari, Laura Cherici mette tutta la sua esperienza per costruire una Flora Bervoix assai personale. Melissa D’Ottavi è una Annina vocalmente centrata, con interventi sempre a fuoco. Paolo Orecchia è un Marchese d’Obigny dotato di bel timbro e buon volume, mentre Dario Giorgelé appare un Baron Douphol un po’ appannato, Particolarmente ben assortiti risultano poi il Dottor Grenvil di Adriano Gramigni, grazie alla sua bella voce di basso, il Gastone di Paolo Antognetti e il Giuseppe di Enrico Picinni Leopardi.
Il folto pubblico della pomeridiana si scalda lentamente, con applausi solo educati dopo i numeri iniziali, ma che si fanno sempre più convinti, fino a certificare un buon successo finale, con qualche punta di entusiasmo per la protagonista.
Teatro Comunale – Stagione 2022
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Violetta Valéry Zuzana Marková
Flora Bervoix Laura Cherici
Annina Melissa D’Ottavi
Alfredo Germont Rame Lahaj
Giorgio Germont Roberto Frontali
Gastone Paolo Antognetti
Barone Douphol Dario Giorgelè
Marchese d’Obigny Paolo Orecchia
Dottor Grenvil Adriano Gramigni
Giuseppe Enrico Picinni Leopardi
Un commissionario Sandro Pucci
Un domestico di Flora Andrea Paolucci
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia e scene Alessandro Talevi
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Daniele Naldi
Videomaker Marco Grassivaro
Movimenti coreografici e aiuto regia Anna Maria Bruzzese
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 18 dicembre 2022