Dopo un’anteprima wagneriana con la nuova direttrice musicale, la stagione bolognese si inaugura ufficialmente nel segno della tradizione con un titolo del grande repertorio e uno spettacolo rassicurante su tutti i fronti. Hugo de Ana non è certo al suo primo allestimento di Tosca, avendola già affrontata in diverse produzioni nei teatri del Circuito Lirico Lombardo, a Trieste e soprattutto all’Arena di Verona nel 2006, quest’ultima immortalata in video e riproposta fino ad anni recenti.
In effetti, quello che si vede a Bologna sembra una versione in piccolo di quest’ultimo allestimento, di cui si mantengono alcuni elementi scenici e creazioni. La scena è composta di elementi fissi ed è dominata da due grandi battenti di porta i quali poi cadranno nel terzo atto dopo l’uccisione di Scarpia, nonché da un grande braccio di statua barocca (ma non è quello dell’Angelo di Verschaffelt che sta sulla sommità dell’omonimo castello sul Tevere, come si sarebbe indotti a pensare) che scende nel corso dell’opera; non si lesina poi su riproduzioni pittoriche come il Noli me tangere di Correggio, il David di Caravaggio (entrambe conservate oggi al Prado di Madrid), o una grande croce astile di sapore spagnoleggiante e la mano gigante che regge il rosario fatto di rose invece che di grani nel primo atto. De Ana realizza così uno spazio claustrofobico, acuito anche dai fondali sbilenchi, che emula una Roma oscura e saturata dalla religione, come si evince da un Te Deum, invero fotocopiato e adattato da Verona, in cui i cardinali si moltiplicano nei loro abiti pomposissimi, mentre il coro sta anonimamente sul fondo, o la protagonista che, una volta ucciso Scarpia, porta il pesante argenteo crocifisso accanto al suo cadavere con un incedere processionale. Proprio il rapporto tra Floria e Scarpia risulta quello più approfondito nella tensione attrattiva e repulsiva allo stesso tempo, anche perché gli indugi e i sentimenti del barone vengono ampiamente messi in evidenza più di quelli degli altri personaggi. La coppia di innamorati è infatti tratteggiata in modo più convenzionale, e i due interpreti sono maggiormente propensi a finire nelle solite pose da melodramma, specialmente durante le arie. Al netto di qualche trovata poco riuscita e qualche fissità, de Ana realizza uno spettacolo godibile e complessivamente riuscito, che si può definire diretta filiazione di quello kolossal di Verona.
Daniel Oren conosce ormai la partitura di Tosca pure capovolta, ed è effettivamente un suo cavallo di battaglia. I tempi sono piuttosto serrati senza mettere in difficoltà i cantanti, che risultano sempre ben sostenuti e messi a loro agio. Oren tiene saldamente le fila della narrazione, e ciò va talvolta a scapito della cura dei particolari, mentre predilige soprattutto l’aspetto melodico della partitura, aiutato anche dal bel suono dell’Orchestra del Teatro Comunale, sempre coesa e precisa.
Il secondo cast da noi ascoltato si presenta generalmente ben assortito, senza elementi dirompenti. Svetlana Kasyan tratteggia una protagonista molto tradizionale. La voce risulta contraddistinta da un timbro metallico in acuto; i centri appaiono più morbidi e gradevoli, mentre in basso il soprano fatica un po’ a tenere la linea vocale, non trovandosi nella tessitura a lei più congeniale. Se il “Vissi d’arte” risulta piuttosto convenzionale, mettendo in evidenza tra l’altro fiati non particolarmente lunghi, le cose vanno meglio nel canto di conversazione, e il soprano porta comunque a casa la serata. Mikheil Sheshaberidze è un Mario Cavaradossi giocato più sulla forza dell’emissione che sugli accenti lirici. Il tenore è infatti dotato di uno strumento ragguardevole con facili salite agli acuti, che risultano tuttavia leggermente intubati nel suono. Il pubblico comunque applaude il suo “E lucevan le stelle” con notevole vigore e qualche richiesta di bis non esaudita, quindi il suo approccio finisce per essere ripagato.
Il migliore dei protagonisti risulta sicuramente Dalibor Jenis, che si dimostra uno Scarpia subdolo e controllatissimo nel primo atto, conferendo una patina di nobiltà alle sue azioni, per diventare poi efferato, ma mai sguaiato, quando deve torturare. La voce si espande bene nella sala del Bibiena, dimostrandosi sempre a proprio agio nella tessitura, mentre il fraseggio risulta approfondito e curato, in sintonia con la regia. Jenis è infatti quello dei tre che sembra credere di più alle indicazioni di de Ana e che maggiormente si prodiga per raggiungere una credibilità scenica. Così fa anche Nicolò Ceriani quale Sagrestano, assai bene a fuoco vocalmente, e depurato dalle incrostazioni più becere della tradizione. Buone appaiono le prove di Christian Barone come Cesare Angelotti e di Bruno Lazzaretti come Spoletta. Completano infine il cast Tong Liu quale Sciarrone e Raffaele Costantini come carceriere.
Il folto pubblico della pomeridiana si è dimostrato attento, vivace e plaudente dopo le arie topiche: sembravano insomma tutti contenti di rivedere un’opera conosciuta e di essere ancora a teatro. Alle chiamate finali non sono mancati grandi applausi per tutti, con punte di entusiasmo per Sheshaberidze.
Teatro Comunale – Stagione 2022
TOSCA
Melodramma in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca Svetlana Kasyan
Mario Cavaradossi Mikheil Sheshaberidze
Barone Scarpia Dalibor Jenis
Cesare Angelotti Christian Barone
Il sagrestano Nicolò Ceriani
Spoletta Bruno Lazzaretti
Sciarrone Tong Liu
Un carceriere Raffaele Costantini
Un pastore Camilla Baravelli Sabena
Orchestra, Coro, Coro delle voci bianche e tecnici
del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Valerio Alfieri
Maestro del Coro di voci bianche Alhambra Superchi
Bologna, 30 gennaio 2022