Il ben noto uragano che apre l’Otello di Giuseppe Verdi può a ben diritto essere considerato uno degli incipit più entusiasmanti del teatro in musica: pone lo spettatore in medias res, e dà subito il tenore dell’intera opera, tra scrittura orchestrale complessa, esplosioni improvvise e tensione drammatica, nel nome della quale Verdi e Boito avevano sacrificato la prima scena veneziana del dramma di Shakespeare, utile se non altro al miglior inquadramento dei caratteri e come monito della tragedia che verrà.
Il Teatro Comunale di Bologna porta a termine un travagliato progetto di messa in scena dell’Otello, il quale doveva vedere la luce due anni fa al PalaDozza, in recite poi sospese causa Covid e adesso finalmente completato. Per questo nuovo allestimento, che segna il ritorno del capolavoro verdiano sul palco del Comunale dopo ben ventisei anni, a Bologna si chiama il noto regista di prosa Gabriele Lavia, già autore in loco di una regia di Salome di Richard Strauss. Lavia parte proprio dalle prime parole pronunciate dal coro dei Ciprioti “Una vela! Una vela” per costruire il suo spettacolo. L’impianto scenico semplicissimo ideato da Alessandro Camera, e pensato appunto per il PalaDozza dove non sono possibili i cambi di scena, è costituito da un grande velario, che riproduce appunto una enorme quinta da teatro ottocentesco; questo viene costantemente mosso, creando così una grande e terribile nube, simbolo delle passioni e dei sentimenti atavici dei personaggi, in modi che ricordano vagamente nella realizzazione le grandi nuvole delle streghe nel Macbeth scaligero di Strehler. Con questo espediente le scene acquisiscono diversa conformazione e movimento al solo movimento del telo, dato che sul palco troviamo solo una pedana rialzata, leggermente arretrata rispetto al proscenio dove si collocano alcune sedie da teatro rovinate; sembra un tentativo di ribadire la finzione del dramma, e quanto tutta la vicenda non sia altro che una grande architettura di inganni ordita sapientemente da Iago, che ne è anche attore. Questo risvolto rimane una sorta di fiume carsico all’interno della regia, ed emerge nei momenti in cui soprattutto Otello viene al proscenio a esternare i propri sentimenti, come in “Dio mi potevi scagliar”. Tale rilettura metateatrale non prende mai realmente il sopravvento, e il pubblico vede così dispiegarsi uno spettacolo che segue alla lettera il libretto; i costumi sono unico elemento di connotazione storica, mentre la recitazione curata e pensata mostra che c’è stato un lavoro approfondito di studio dei personaggi da parte di tutti, anche se non manca qualche momento fin troppo convenzionale nella sua staticità, come il duetto d’amore del primo atto. Unica vera pecca in uno spettacolo in fin dei conti ben realizzato è la totale mancanza di lavoro sul coro, relegato in fondo al palco in semplici abiti neri, quasi con la volontà di annullarlo, dato che nelle scene d’insieme intervengono nei movimenti solo i solisti e i figuranti.
Il fronte musicale è guidato da Asher Fisch. La sua non è una direzione memorabile, dati alcuni scollamenti col palco, il sostegno alle voci non sempre garantito e un amalgama orchestrale non sempre riuscito al meglio, ma ha sicuramente alcuni pregi. Nel suo approccio di testa al dramma verdiano, Fisch riesce comunque a evidenziare alcuni dettagli della partitura, mettendone in evidenza l’ispirazione wagneriana, e a trovare impasti timbrici seducenti, se non interessanti al fine del dramma. L’Orchestra del Teatro Comunale appare meno in forma rispetto ad altre volte, mentre il Coro, istruito da Gea Garatti Ansini, si disimpegna con onore in tutti i suoi interventi. In compenso il cast risulta di buon livello.
Dell’Otello di Gregory Kunde si è detto ormai praticamente tutto, e anche stavolta la prova è maiuscola, già a partire dall’”Esultate”, dove il tenore affronta l’impervia scrittura con sicurezza, spavalderia e squillo negli acuti, ancora folgoranti a parte qualche oscillazione percepibile più avanti nella recita. Kunde conosce il ruolo ormai anche capovolto, dato il debutto avvenuto dieci anni fa a Venezia, e si vede nella cesellatura delle frasi nel registro centrale, nell’affanno espresso nel finale, e nella resa azzeccata del cocente dubbio che lo attanaglia durante tutta l’opera. Una prova in fin dei conti magnifica, sia dal punto di vista puramente vocale, che da quello espressivo.
Accanto a lui Mariangela Sicilia disegna una Desdemona animata da una inedita forza adolescenziale. Non è un personaggio remissivo o matronale, ma una ragazza in cui la bontà d’animo è unita a una caparbietà e a una forza tipica di quel momento della vita: con lei ben si evidenzia anche la differenza di età della coppia, che si unisce a quella di etnia, indole, e provenienza sociale. Dal punto di vista vocale, il soprano possiede una voce ben proiettata, contraddistinta da un bel timbro pieno, una linea sicura e una capacità di piegare lo strumento ai fraseggi più ricercati, con un bel gioco di finezze nella canzone e nella preghiera.
Franco Vassallo da par suo disegna uno Iago estremamente convincente nel suo essere insinuante, senza mai cantarsi addosso o cadere in eccessi di maniera. La voce consistente e dotata di un bel timbro brunito si espande senza problemi lungo tutta la scrittura, come dimostra anche l’ottima riuscita del “Credo”. Il baritono sa fraseggiare con i giusti accenti, anche grazie a un bel gioco di colori mai esasperato. Si avverte solo un leggero appiattimento di dinamiche in “Questa è una ragna”, ma si tratta di una piccolezza in una performance pienamente riuscita.
Marco Miglietta è un Cassio che può contare su una voce di bel timbro, ben espansa, e che sa ben ritagliarsi i suoi momenti. Dello stesso livello è l’ottima Emilia di Marina Ogii, che tiene testa con vigore alle voci maschili dell’opera sia con il fraseggio che con la bella voce scura. Di buon livello risultano poi sia il Lodovico di Luciano Leoni, il Montano di Luca Gallo e l’araldo di Tong Liu, mentre appare un po’ appannato nella vocalità il Roderigo di Pietro Picone.
La serata si conclude con un grande successo, con ovazioni in crescendo ai tre protagonisti, in particolare per Sicilia e Kunde, e qualche isolato dissenso per Fisch, che viene tuttavia coperto dagli apprezzamenti estesi anche ai fautori della messa in scena.
Teatro Comunale – Stagione 2022
OTELLO
Dramma lirico in quattro atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Arrigo Boito
Otello Gregory Kunde
Iago Franco Vassallo
Cassio Marco Miglietta
Roderigo Pietro Picone
Lodovico Luciano Leoni
Montano Luca Gallo
Un araldo Tong Liu
Desdemona Mariangela Sicilia
Emilia Marina Ogii
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Asher Fisch
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia e luci Gabriele Lavia
Scene Alessandro Camera
Costumi Andrea Viotti
Nuova produzione del Teatro Comunale
Bologna, 24 giugno 2022