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Bologna, Teatro Comunale – Luisa Miller

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Composta e andata in scena poco prima della “Trilogia popolare”, Luisa Miller è in pratica un piccolo laboratorio sperimentale verdiano che parte dagli ormai consumati modelli rossiniani e donizettiani, rielaborati in chiave apparentemente tradizionale, ma che segna a tutti gli effetti una rottura con il passato. La prima assoluta al San Carlo di Napoli l’8 dicembre 1849 sembra così chiudere definitivamente la stagione gloriosa del teatro partenopeo, dove i modelli belcantistici avevano trionfato per poi diffondersi in tutta Europa. Luisa è quindi il canto del cigno di una stagione del melodramma e pone le basi per gli sviluppi futuri, mentre le capitali della musica europea sono ormai stabilmente migrate a settentrione. Alle novità musicali si aggiunge in questo caso un libretto, magari irrisolto su alcuni fronti, ma che è talmente impregnato di romanticismo da sfociare a tratti nel puro thriller psicologico. D’altronde Salvatore Cammarano è all’apice di una carriera che lo porterà, nel giro di pochi anni, a firmare un capolavoro come il libretto del Trovatore.

I registi sembrano sempre aver timore di confrontarsi con questo dramma e finiscono per fare troppo, come Michieletto nell’allestimento zurighese importato poi a Roma recentemente, o troppo poco, e di ciò è esempio la nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna affidata in toto a marionanni. Dietro questo nome si cela Mario Nanni, lighting designer che ha all’attivo numerose esperienze di illuminazione nel mondo dell’arte contemporanea (suo, per dire, il progetto luci per il Mosé di Michelangelo in San Pietro in Vincoli a Roma). Nelle note di regia afferma di voler realizzare scenografie fatte da una luce fortemente pittorica che restituisca la bidimensionalità di un quadro; il canto è l’elemento che più deve risaltare, tanto che l’artista ha chiesto ai protagonisti “di non privilegiare il recitativo”. Il risultato è abbastanza prevedibile: lo spazio è vuoto, connotato da pochissimi elementi scenici simbolici (un albero, una sedia, un tavolo, una grande lampada che somiglia più a un pendolo) e da un fondale su cui si sviluppano proiezioni talvolta suggestive, ma anche criptiche e che poco aggiungono alla narrazione. Una tale soluzione scenica avrebbe bisogno di una direzione attoriale forte, anche giocata per sottrazione, ma di ciò non si trova riscontro: il coro sta fermo mentre gli interpreti sono totalmente abbandonati a loro stessi tra pose stereotipate e azioni poco differenti dagli allestimenti tradizionali. Non spiccano neanche le luci, piuttosto ordinarie nei trapassi, o i costumi poco più che generici. Se ci si vuole concentrare sul canto, meglio sarebbe la versione concertante. Altrimenti, meglio rispolverare un vecchio allestimento, perché la Miller non è certo un titolo a cui ben si applica la metafisica.

Meglio vanno le cose sul versante musicale. Daniel Oren dirige una Orchestra del Teatro Comunale compatta e ben rodata e legge la partitura come l’epitome del belcantismo, così da far risaltare tutte le affinità con Donizetti e Rossini. Tuttavia il direttore sa trovare anche i colori più tenebrosi di questo dramma e già nella sinfonia serpeggia una tinta fosca e inquietante, mentre “Al villaggio dai campi tornando” all’inizio del secondo atto sembra quasi uscito da una scena delle streghe di Macbeth, anche grazie all’ottimo apporto del Coro ben preparato da Gea Garatti Aransini. Al netto di qualche momento in cui calca troppo la mano, Oren realizza una direzione ottima, in perfetta sintonia con il palco, anche grazie a un cast di buon livello.

Myrtò Papatanasiu è una Luisa sostanzialmente efficace. La voce è connotata da un timbro leggermente metallico e la linea non appare perfettamente omogenea, ma ciò viene usato sapientemente a fini espressivi. Lo strumento appare ben proiettato e il soprano sa destreggiarsi discretamente con le agilità dei suoi primi interventi, anche se alcuni acuti estremi appaiono faticosi. Il momento migliore della serata risulta sicuramente l’ultimo atto, dove disegna un personaggio che già prefigura la morte tra lucidità e follia, duettando col padre attraverso un canto fragile ma drammatico. Franco Vassallo è un Miller che si distingue per la spavalderia degli acuti e il volume ben gestito, valorizzando tuttavia le frasi ben tornite della scrittura verdiana. Marko Mimica ben incarna la doppia faccia di Walter e cesella la linea vocale, contraddistinta da un piacevole timbro di basso, in un fraseggio curato e pregnante. Gabriele Sagona disegna un Wurm morbido nell’emissione ed efficace,  a cui manca a tratti un’espressione più insinuante per essere un personaggio veramente completo. La Federica di Martina Belli è in perfetto equilibrio tra seduzione e alterigia nobiliare, grazie a un fraseggio accurato, un pregevole colore scuro e una linea omogenea. Ottimi gli interventi di Veta Pilipenko nei panni di Laura e di Haruo Kawakami quale contadino.
Un discorso più approfondito merita la prova di Gregory Kunde. Il tenore americano offre un Rodolfo muscolare, in una esibizione in cui gli acuti risultano ancora impressionanti (ammirevole quello conclusivo della cabaletta che chiude il secondo atto) e il controllo della voce magistrale. Lo strumento è infatti ancora consistente su tutta la linea e Kunde lo gestisce senza alcun sforzo, piegandolo anche a notevoli finezze nella topica aria “Quando le sere al placido”. Tuttavia non si possono tacere le troppe dimenticanze testuali lungo tutta l’opera, con parole sbagliate o versi addirittura non pronunciati; manca poi una parvenza di verosimiglianza scenica, dal momento che Walter e tutti gli altri personaggi sul palco sembrano parecchio più giovani di lui. In un’opera in cui risalta anche il tema del conflitto generazionale, Rodolfo dovrebbe risultare giovanile anche scenicamente, oltre ad essere pieno di dubbi e arrovellamenti mentali; al netto della indiscutibile bravura vocale, Kunde appare fin troppo eroico in un ruolo del genere. Se si dispone di un tale artista, sarebbe meglio utilizzarlo in parti a lui più congeniali in questo momento della carriera, soprattutto se non mancano le valide alternative.
Il folto pubblico non lesina applausi a scena aperta, riservando entusiastiche ovazioni a Kunde e Vassallo dopo le loro arie. Al termine della recita, risultano infatti i più applauditi insieme a Oren, mentre per tutti gli altri si disegna un buonissimo successo, incluso l’artefice della messa in scena.

Teatro Comunale – Stagione 2022
LUISA MILLER
Melodramma tragico in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Salvatore Cammarano

Conte di Walter Marko Mimica
Rodolfo Gregory Kunde
Federica Martina Belli
Wurm Gabriele Sagona
Miller Franco Vassallo
Luisa Miller Mirtò Papatanasiu
Laura Veta Pilipenko
Un contadino Haruo Kawakami

Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia, scene, costumi e luci marionanni
Aiuto regia Gianni Marras
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna

Bologna, 3 giugno 2022

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