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Bologna, Teatro Comunale – Lucrezia Borgia (cast alternativo)

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Una vittima. Silvia Paoli, regista del nuovo allestimento di Lucrezia Borgia in scena al Teatro Comunale di Bologna, guarda alla protagonista non come a una lussuriosa avvelenatrice o un’incestuosa assassina. Certo, la nobildonna è anche questo, ma soprattutto è vittima del potere, del patriarcato, del volere di altri uomini. Il mondo in cui Lucrezia si muove è infatti segnato da una logica tutta maschile e maschilista, improntata alla violenza, che Paoli vede molto simile a quanto accadeva nel periodo fascista. Ecco dunque che la vicenda viene trasposta dall’originale cornice rinascimentale a quella sordida e cupa della dittatura, con gli uomini che vestono in orbace e si abbandonano a ogni tipo di dissolutezza. La scena di Andrea Belli è così un mattatoio, “destinazione finale dell’opera e condizione mentale della protagonista” (Paoli): uno spazio freddo, illuminato dalle luci di Alessandro Carletti, che nel prologo si presenta come un lupanare nello stile Roma di Fellini, mentre nell’ultimo atto è un bordello signorile. Qui tutti sono insieme vittime e carnefici e non esiste via d’uscita. Per nessuno: nemmeno per la figlia di Alessandro VI che spera invano in un riscatto nella maternità.
Lucrezia subisce adolescente una violenza, quella che la renderà madre, ed è costantemente inseguita dall’ombra di questo trauma, che si materializza nelle sembianze di un mimo con la maschera di un lupo. Sarà di fronte a costui che, nella superba scena finale, si toglie la vita: e lo fa sola, accanto al figlio esanime, mentre il coro che commenta inorridito viene confinato nei palchi di proscenio, a sottolineare ancor più la solitudine di questa donna o la sua alienazione.
La scelta della regista, molto forte e inevitabilmente divisiva, ha una sua coerenza e lo spettacolo nel complesso funziona, anche nel momento in cui mette in scena azioni oggettivamente ripugnanti. Come quando Lucrezia, scoperta dagli amici di Gennaro alla fine del prologo, non solo viene da costoro insultata ma addirittura abusata. Concorrono in modo determinate alla riuscita del disegno registico i mimi, con la coreografia di Sandhya Nagaraja, e i bei costumi disegnati da Valeria Donata Bettella. Il pubblico della prima ha contestato la regia, mentre quello della seconda, recita alla quale ho assistito, non ha espresso alcun dissenso.

Sul fronte musicale, il direttore Yves Abel ha offerto una lettura in qualche modo speculare a quella registica, quindi molto tesa, con tempi generalmente spediti e un’insistenza sulle dinamiche di forte e mezzoforte. Tutto ciò a discapito della pur importante componente più squisitamente belcantista del capolavoro donizettiano. Lucrezia è sì opera corrusca, con atmosfere così potentemente romantiche, ma esse sono come illuminate dal respiro melodico di un’elegia che tocca vertici di dolente bellezza. Per non parlare della dimensione più leggera e giocosa, anch’essa presente e sacrificata dalla direzione di Abel.

Opera da primadonna, a Bologna Lucrezia ha trovato nell’intensa interpretazione di Marta Torbidoni un ritratto convincente. Il giovane soprano, al suo debutto nel ruolo, ha riscosso un vivissimo successo di pubblico: il timbro è prezioso, ampio e omogeneo in tutti i registri, il virtuosismo apprezzabile, la musicalità eccellente, il fraseggio sempre espressivo. Molto brava nell’aria di sortita, Marta Torbidoni ha commosso nello struggente rondò finale, sapendo essere nel corso dell’opera allo stesso modo fiera vendicatrice e madre amorosa. Al suo fianco il magnifico Gennaro di Francesco Castoro: voce di scuro velluto, da tenore schiettamente lirico, morbida e rotonda, usata con grande attenzione alle sfumature. Un autentico eroe romantico, byroniano, perseguitato dalla sorte, il suo Gennaro.
Davide Giangregorio, con la sua bella voce ampia e timbrata, è un Alfonso nobilmente torvo e determinato, mentre Nicole Brandolino nel ruolo di Maffio Orsini esibisce una  voce non molto ampia, poco consistente nei gravi, sovente coperta dall’orchestra e, se l’interprete si impegna a fondo, il risultato non convince. Del nutrito gruppo dei comprimari, emerge il solo Gubetta di Nicolò Donini. Il coro, istruito da Gea Garatti Ansini, si disimpegna con onore.

Teatro Comunale di Bologna – Stagione 2022
LUCREZIA BORGIA
Dramma tragico in un prologo e due atti
Libretto di Felice Romani, dalla tragedia omonima di Victor Hugo
Musica di Gaetano Donizetti

Lucrezia Borgia Marta Torbidoni
Alfonso I d’Este Davide Giangregorio
Gennaro Francesco Castoro
Maffio Orsini Nicole Brandolino
Jeppo Liverotto Cristiano Olivieri
Don Apostolo Gazella Tommaso Caramia
Ascanio Petrucci Tong Liu (Scuola dell’Opera del TCBO)
Oloferno Vitellozzo Stefano Consolini
Gubetta Nicolò Donini
Rustighello Pietro Picone
Astolfo Luca Gallo

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Yves Abel
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia Silvia Paoli
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Betella
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Sandhya Nagaraja
Assistente alla regia Paolo Vettori
Assistente alle luci Ludovico Gobbi
In collaborazione con la Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
con Auditorio de Tenerife, Ópera de Oviedo e Teatro de la Maestranza di Siviglia

Bologna, 8 maggio 2022

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