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Bergamo, Donizetti Opera 2022 – La favorite

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Non La favorite ma Les favorites. La regista Valentina Carrasco, chiamata dal Festival Donizetti a curare la messa in scena del capolavoro del compositore bergamasco, eseguito in versione integrale e nell’originale francese, trova una chiave di lettura intelligente e coerente con la drammaturgia. Riuscendo anche nell’intento di compiere una attualizzazione della vicenda senza forzature, ma anzi dimostrando una volta di più l’eterna vitalità della grande arte, quando è autenticamente tale. Dunque, non una sola favorita, la protagonista Léonor de Guzman, ma tante favorite, le antiche amanti del re Alfonso di Castiglia, da lui abbandonate come in un harem dove la vita sembra sospesa, circoscritta alle sole donne che ne fanno parte, anziane, dimenticate, allucinate. Così, il lungo divertissement del secondo atto non vede sulla scena sgambettanti ballerine (come fu alla prima del 1840 all’Académie Royale de Musique di Parigi, dove la danza era di prammatica) ma un folto gruppo di figuranti donne, peraltro scelte tra le cittadine di Bergamo, portatrici – nelle parole della regista argentina – “della forza e della verità della gente comune”. Una scelta che all’inizio può spiazzare ma che risulta assolutamente convincente anche per l’efficacia scenica di queste donne, che sono niente altro che se stesse. Ossia vecchie: parte di quella categoria che la società contemporanea – ossessionata dall’inclusione e dalla tutela delle minoranze – relega invece ai margini. “Un razzismo verso il nostro futuro” spiega Carrasco, che getta così un ponte tra l’oggi e il passato medievale della vicenda, riletto tuttavia secondo la sensibilità borghese di metà Ottocento. Perché nel Trecento non era affatto disdicevole che un sovrano avesse una favorita (la vera Léonor, peraltro, ebbe dal re ben undici figli, uno dei quali ascese poi al trono). L’idea che sulla favorita pesi il disonore, suo e di chi la sposa ignorandone il ruolo come Fernand, è una condanna romantica, tipicamente ottocentesca. E tuttavia la vita delle favorite, agli occhi della regista, era in qualche modo sprecata, vuota, un po’ come accadeva per le donne di un harem, perennemente in attesa. Così, Léonor è solo l’ultima di queste favorite, che nella finzione sono anche la sua corte, chiusa da alte cancellate, in una sorta di esilio che non è solo reale ma soprattutto figurato, emotivo.

L’impianto scenico, affidato a Carles Berga e Peter van Praet (quest’ultimo anche light designer), restituisce l’idea della sontuosità degli ambienti evocati dal libretto, dall’austero convento del primo atto all’Alcazar, ma nel segno di una stilizzazione che lascia spazio all’accurato lavoro registico sui cantanti e, soprattutto, su coro e figuranti fatto da Carrasco e dal coreografo Massimiliano Volpini. Bellissime le luci, prevalentemente sfumate e sempre coerenti con l’atmosfera emotiva del momento, apprezzabili i costumi di Silvia Aymonino, soprattutto nei delicati colori pastello delle vestaglie delle favorite, mentre i cantanti principali sono caratterizzati da anonimi abiti scuri (con l’eccezione del prezioso vestito di Leonore).

Eccellente la parte musicale, che si sostanzia anzitutto nel fulgore vocale dei due protagonisti. Annalisa Stroppa, al debutto in un ruolo feticcio per ogni mezzosoprano, è una magnifica Leonore. La voce esibisce quella calda brunitura e quella morbidezza di cavata che – insieme alla notevolissima presenza scenica – rendono pienamente ragione anche della sensualità di questa donna, della seduzione che esercita nei confronti del sovrano e di Fernand. Timbro di eccezionale ricchezza sia nei lucenti acuti che nei gravi, quello di Annalisa Stroppa, messo a servizio di una linea di canto sempre sul fiato, animata da un legato d’alta scuola. L’interprete, poi, cerca infinite sfumature sia quando esprime sdegno, sia quando si piega alla dolente contemplazione dei sentimenti. Emozionante, in tal senso, il suo “O mon Fernand”, carico di tutta quella struggente malinconia che è forse la cifra più autentica del Donizetti compositore. Commovente l’intero quarto atto, del quale il mezzosoprano regge con slancio l’atmosfera intensamente drammatica, grazie anche alla profonda intesa artistica e umana che la lega a Javier Camarena.
Recensendo il cd “Signor Gaetano” abbiamo scritto che il tenore messicano è forse oggi il miglior interprete di questo repertorio. Dopo averlo riascoltato dal vivo in questa occasione e in questo ruolo, possiamo togliere l’avverbio. Prestazione semplicemente superlativa, quella di Camarena: voce chiara e argentina nel timbro, ampia e compatta nel colore lungo tutta la gamma, sostenuta da un eccezionale controllo del fiato che consente autentiche prodezze. Gli acuti sono squillanti, perentori, limpidi, ma comunque non bastano a definire la sostanza di un personaggio che è invece affascinante per la capacità di articolare la frase e colorarla, mettendone in luce l’indole sognatrice. Il malinconico patetismo di molte pagine – su tutte “Ange si pur”, delibato con raffinatissime nuances – fa da controcanto alla elegante nobiltà e alla sdegnosa fierezza dell’accento in molte altre. Una scrupolosa ricerca espressiva che, lungi dallo scadere nel manierismo, sortisce l’effetto di conferire calda umanità al personaggio. Non ultimo elemento, quella estrema facilità di emissione che fa dimenticare la scabrosissima scrittura donizettiana che, per Fernand, insiste spesso sul passaggio di registro.
Al fianco di cotali protagonisti, non sfigurano gli altri interpreti. Florian Sempey, grazie anche allo scavo psicologico condotto insieme alla regista, rende ragione del tormento e della complessità di Alphonse, che fa leva anzitutto sulla sua vocalità importante, stentorea ma mai eccessiva, accompagnata a un fraseggio comunque vario ed eloquentissimo. Evgeny Stavinsky è un Balthazar che coniuga austera autorevolezza scenica a una voce scura e ampia, Caterina Di Tonno una Ines dal timbro prezioso ma non sempre a fuoco; ottimo il Don Gaspar di Edoardo Milletti e apprezzabile Alessandro Barbaglia (un signeur).

Resta da dire della dire della direzione di Riccardo Frizza, che è anche direttore musicale del Festival. Dunque, una garanzia non solo per la solidissima preparazione tecnica di cui fa sfoggio, ma per il perfetto dominio di questo repertorio, indagato in modo stilisticamente impeccabile. Anzitutto, l’Orchestra Donizetti Opera in gran spolvero fa bella mostra di un amplissimo ventaglio cromatico e ritmico, enfatizzato da una lettura vibrante dove, a una notevolissima articolazione dei piani sonori, si accompagna un lucido nitore strumentale. La composita materia è organizzata da Frizza in unitaria tensione narrativa, grazie alla sua capacità di alternare pagine di deflagrante impeto teatrale a momenti ove il respiro si piega a dare voce con struggente intensità all’ispirazione melodica donizettiana. Melodia alata e a tratti metafisica, tuttavia sempre velata da un dolente patetismo che riporta le passioni e i sentimenti su di un piano di terreno tormento, senza scioglierne i nodi in un altrove trasfigurato (come invece accade nel contemporaneo Bellini). Davvero una lettura memorabile. Il Coro Donizetti Opera e il Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, istruiti da Salvo Sgrò, si sono disimpegnati con onore.
Vivissimo il successo per tutti, in particolare per Stroppa e Camarena.

Donizetti Opera 2022
LA FAVORITE
Opera in quattro atti di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti

Léonor de Guzman Annalisa Stroppa
Fernand Javier Camarena

Alphonse XI Florian Sempey
Balthazar Evgeny Stavinsky

Don Gaspar Edoardo Milletti

Inès Caterina Di Tonno
Un signeur Alessandro Barbaglia

Orchestra Donizetti Opera
 Coro Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Valentina Carrasco
Scene Carles Berga e Peter van Praet
Costumi Silvia Aymonino
 Coreografia Massimiliano Volpini
Lighting design Peter van Praet

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con l’Opéra National de Bordeaux
Bergamo, Teatro Donizetti, 18 novembre 2022

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