Un processo d’appello per Chiara e Serafina. Ossia “Il pirata”, l’opera del debutto, il 26 ottobre 1822, di un giovane Gaetano Donizetti al Teatro alla Scala di Milano. Debutto segnato da insuccesso, tanto che il lavoro, dopo alcune repliche e una ripresa di qualche mese successiva, cadde nell’oblio. Fino a quando il Festival Donizetti Opera di Bergamo, nell’ambito del suo meritorio progetto “Donizetti 200”, lo ha ripescato, mettendolo in scena al Teatro Sociale. E dandogli così la possibilità di un appello: al pubblico il giudizio.
Quali le ragioni del fiasco della prima? Diverse, secondo gli studiosi. Anzitutto, una certa sufficienza nei confronti del giovane compositore che aveva già raccolto consensi a Roma e Napoli, ma non tali da assicurargli una solida autorevolezza. Poi, i tempi di lavorazione, intesi sia come tempi di composizione (12 giorni da quando Donizetti riceve il libretto a quando licenzia la partitura), sia di messa in scena (una settimana, davvero poco anche per i ritmi produttivi indiavolati del teatro ottocentesco). Last but not least, la debolezza intrinseca del libretto, firmato da un Felice Romani davvero infelice (ci si passi il gioco di parole), forse perché scritto anch’esso in fretta. Su quest’ultima motivazione, possiamo confermare: l’intreccio è davvero ingarbugliato, peraltro gravato da salti narrativi e situazioni che non si spiegano alla luce di quanto accaduto in precedenza, tra pirati, un’isola che poi è Maiorca, castelli abbandonati, antri oscuri e tanto altro. Al punto che vano risulta ogni tentativo di cercarvi una logica.
Tecnicamente, Chiara e Serafina è un dramma semiserio, ossia un genere che accosta la dimensione comica a quella tragica, un po’ come accade nella vita vera. Le sue caratteristiche sono l’ambientazione borghese o comunque non aristocratica, ma con personaggi nobili e almeno un buffo, e con svolgimenti romanzeschi. Tutti ingredienti che si ritrovano nell’opera in questione. Donizetti ne fa un laboratorio di sperimentazione, mescolando ricercatezza compositiva e facile spettacolarità, stasi liriche e pagine ove il dramma è più cogente, atteggiamenti patetici e elementi comici. Il tutto con una generale facilità di ispirazione melodica, non senza preziosità armoniche, e con un approccio stilistico che risulta debitore ad alcuni modelli allora imperanti: non solo Rossini (come d’obbligo, in un certo senso), ma pure l’opéra comique, il mélodrame francese (una forma di teatro recitato con intrecci romanzeschi) e poi Mayr (maestro e mentore di Donizetti), Mercadante, Meyerbeer e addirittura Salieri e Mozart. Il risultato è un lavoro nel complesso prolisso, con diverse pagine di qualità, alternate ad altre che potrebbero essere definite di routine. La drammaturgia è debole – e lo abbiamo già scritto – soprattutto nel primo atto, troppo lungo, mentre il secondo funziona meglio, anche se si presenta come una sorta di infilata di numeri musicali non collegati tra loro. A queste riflessioni bisogna aggiungere che il genere semiserio è piuttosto lontano dalla sensibilità contemporanea e pone non poche difficoltà a chi vi si accosti anche nelle vesti di esecutore, sia sul fronte musicale che su quello registico.
A Bergamo la sfida è stata vinta grazie a un lavoro di squadra che ha visto sugli scudi anzitutto le prestazioni di direttore e regista. Sesto Quatrini, alla guida dell’orchestra di strumenti antichi Gli Originali, si conferma musicista intelligente e caparbio nel ricercare le ragioni profonde di una partitura eterogenea nello stile. Trova così un equilibrio teatralmente efficace sottolineando con eleganza le pagine più liriche, animando di vivace incalzare ritmico quelle comiche e virtuosistiche e disegnando atmosfere sufficientemente tese in quelle più drammatiche. Una generale morbidezza nel suono ed elasticità nel fraseggio aiutano anche i cantanti a dare il meglio di sé. Si tratta di giovani reclutati dall’Accademia del Teatro alla Scala, non tutti perfettamente a fuoco nei rispettivi ruoli ma la cui prestazione si può riassumere nella formula di onesta professionalità.
Una menzione meritano la Serafina di Fan Zhou, dal timbro prezioso e dalle facili agilità, e la Agnese di Mara Gaudenzi, mezzosoprano di bel colore e frizzante verve. Sul fronte maschile, si segnalano il brillante Picaro del baritono Sung-Hwan Damien Park e il vivace basso Matías Moncada (Don Alvaro/ Don Fernando); l’indisposto Pietro Spagnoli è stato sostituito con onore da Giuseppe De Luca nel ruolo di Don Meschino, scritto per un allora giovane Antonio Tamburini. Greta Doveri viene a capo con una certa difficoltà della non semplice scrittura per Chiara; si attestano su un livello di sufficienza le prestazioni di Hyun-Seo Davide Park (don Ramiro), Valentina Pluzhnikova (Lisetta), Andrea Tanzillo (Spalatro) e Luca Romano, passato all’ultimo minuto dal coro al ruolo di Gennaro. Perfettibile la prova del coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, guidato da Salvo Sgrò.
Regia, scene e costumi sono di Gianluca Falaschi che afferma di voler “ricercare una traccia di umanità in personaggi dominati dalle convenzioni. In fondo – spiega nelle note di sala -, non si poteva puntare su una trama così labile”. Il regista costruisce così un parallelismo tra il teatro di boulevard ottocentesco e il teatro di varietà come era inteso negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, vale a dire un genere con numeri autosufficienti, che davano la possibilità ad artisti con diversi talenti di esprimere le proprie abilità. Una scelta che ha una sua pregevole coerenza, grazie anche ai movimenti coreografici di Andrea Pizzalis, e trova restituzione plastica in una scena colorata e fiabesca, in immaginifici costumi e nelle luci (il lighting design è di Emanuele Agliati) sempre appropriate. Tutti gli interpreti si impegnano sul fronte attoriale, caratterizzando ciascuno il proprio personaggio in modo preciso e dando l’idea di divertisti molto. Figure caricaturali nel primo atto, i cantanti riacquistano una più empatica umanità nel secondo, quando si tolgono le parrucche e svelano al pubblico, insieme al loro vero volto, la macchinosità delle convenzioni teatrali di cui sono schiavi.
Alla prima, caloroso successo per tutti.
Donizetti Opera 2022
CHIARA E SERAFINA
Ossia “Il pirata”
Melodramma semiserio in due atti di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione: Milano, Imperial Regio Teatro alla Scala, 26 ottobre 1822
Edizione sull’autografo a cura di Alberto Sonzogni
Progetto #Donizetti200
Don Meschino Giuseppe De Luca
Don Alvaro / Don Fernando Matías Moncada
Serafina Fan Zhou
Chiara Greta Doveri
Don Ramiro Hyun-Seo Davide Park
Picaro Sung-Hwan Damien Park
Lisetta Valentina Pluzhnikova
Agnese Mara Gaudenzi
Spalatro Andrea Tanzillo
Gennaro Luca Romano
I cantanti sono solisti dell’Accademia di perfezionamento
per cantanti lirici del Teatro alla Scala
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
Coreografie Andrea Pizzalis
Lighting design Emanuele Agliati
Drammaturgo Mattia Palma
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in collaborazione con l’Accademia Teatro alla Scala
Bergamo, Teatro Sociale, 19 novembre 2022