Grazie a Victoria de los Ángeles il mondo della musica classica imparò a rispettare i cantanti lirici che “invadevano” il territorio liederistico dove regnavano indisturbati tedeschi, francesi, britannici e russi (in molti casi solo per il repertorio del proprio Paese). Al soprano catalano si consentiva di incidere musica spagnola senza problemi, ma quando chiese di registrare uno dei suoi tanti programmi da concerto ci furono dei dubbi, per fortuna subito fugati. Oggi la Fondazione che porta il suo nome scommette anche sui cantanti che vogliono cimentarsi con questo repertorio senza guardare al passaporto ma all’idoneità, alla voglia, al piacere di fare questo genere di musica.
Anche una serie di artisti italiani partecipano al Life Victoria Primavera di Barcellona, festival del Lied che per il secondo anno si aggiunge alla “tradizionale” rassegna che da un decennio si svolge in autunno. Il concerto di cui riferiamo ha inaugurato il ciclo alla presenza di rappresentanti di istituzioni musicali della città: peccato che per l’Istituto Italiano di Cultura non si sia presentato nessuno, eppure il programma comprendeva anche la prima assoluta di due canzoni su testi di Dante. In scaletta figuravano anche quattro Lieder di Franz List in tedesco e francese interpretati da “nuovi artisti”, in questo caso il soprano Alba Fernández Cano e il pianista Arturo Asensi, ben preparati e con possibilità di ulteriore maturazione. La parte principale era affidata invece a due giovani ma affermati artisti italiani quali il baritono Mattia Olivieri e il pianista Michele D’Elia che hanno debuttato al Life Victoria con un programma da camera: Olivieri aveva cantato qualche anno fa al Liceu in una Favorite dove aveva ottenuto un bel successo di pubblico, confermato dalla presenza al concerto di diversi melomani ‘operistici’.
Il programma si è aperto con le citate canzoni su testi da La vita nuova: il celeberrimo sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” e il frammento centrale delle Rime, XXV, “Ita n’è Beatrice in l’alto cielo”, composte appositamente per quest’occasione da Iain Bell, al suo debutto in Spagna: classe 1980, è autore soprattutto di opere e musica vocale da camera, molte concepite per Diana Damrau, che le ha cantate per la prima volta. Delle due, anche perché composta su un testo completo, la prima è parsa la più riuscita. Si tratta comunque di composizioni che si possono seguire con grande interesse, anche se forse la scrittura di entrambe è molto simile e gravita molto sulla zona acuta, con un soggetto e parole che richiederebbero sfumature e dove ci sarebbe modo di sfruttare la mezzavoce. Olivieri ha esibito un canto pieno, con un timbro brunito e una consistenza che non sorprende chi ha assistito alle ultime sue prestazioni, eccellente dizione e buona espressività. D’Elia gli ha offerto un accompagnamento ideale e, subito dopo, ha interpretato un brano di Liszt sul canto alla stella vespertina dal Tannhäuser di Wagner con suoni perlati delicatissimi che mettevano di rilievo la splendida forma del pianoforte appartenuto a Victoria de los Ángeles.
Così si arrivava ai tre sonetti di Petrarca, sempre di Liszt, dove le qualità del baritono prima menzionate risultavano ancor più evidenti nelle difficili frasi in legato e nei suoni in piano, ma soprattutto in un’espressività tutta affidata agli occhi e a un’emozione nel rendere il testo che, finora, non avevo ancora riscontrato in modo così evidente, neppure in Les vêpres siciliennes a Palermo o nella Favorite barcellonese. Dei tre sonetti, bellissimi, il migliore e più profondo – complice anche D’Elia con un’introduzione e un postludio notevoli – è stato il terzo, “I’ vidi in terra angelici costumi”, dopo l’ansia di “Pace non trovo” e l’estasi amorosa di “Benedetto sia ’l giorno”.
La seconda parte, dedicata alla musica francese, si è aperta con la Méditation dalla Thaïs di Massenet nella trascrizione per pianoforte solo: un altro pezzo per D’Elia che sottolineava non solo il carattere riflessivo e raccolto del tema centrale ma anche gli episodi più forti e decisi. Il primo dei due cicli di Ravel in programma comprendeva le affascinanti Cinq mélodies populaire grecques, che sono andate in crescendo: da una buona versione della “Chanson de la Mariée” (dove forse si sarebbe desiderata più sensualità, e magari anche un tempo più lento o comunque più contrastato) alle due ottime interpretazioni di “Là-bas, vers l’èglise” e soprattutto “Quel galant m’est comparable”, fino alle due irresistibili “Chanson des cueilleuses de lentisques” e quel “Tout gai!” dove l’esultante allegria del pezzo brillava in tutto il suo splendore.
Passando ai cicli dedicati a Don Chisciotte, è stato proposto per primo le Quatre chansons de Don Quichotte di Jacques Ibert (quelle composte per il famoso film di Georg Wilhelm Pabst con il mitico Šaljapin), dove Olivieri si è misurato con note gravi impegnative uscendone a testa alta, esibendo inoltre una perfezione nel francese (le difficilissime e mute) e delle mezzevoci stupefacenti, rendendo con grande emozione non solo la “Chanson de la mort” (sconvolgente soprattutto “dans l’île enfin trouvée/où tu viendras un jour/ dans l’île desirée/ o mon ami, Sancho”), ma anche la prima, “Chanson du départ”, e la bellissima “Chanson à Dulcinée”. Ibert era stato scelto dal regista Pabst perché Ravel, per via della malattia che avrebbe messo fine ai suoi giorni a soli sessant’anni, non era riuscito a completare il suo ciclo dedicato a Don Chisciotte. È stato quindi bellissimo ascoltare insieme al ciclo completo di Ibert anche le tre (anziché quattro) canzoni di Don Quichotte à Dulcinée di Ravel. E se la “Chanson romanesque” nell’interpretazione di Olivieri toccava l’apice con un “O Dulcinée” impressionante per la malinconia dovuta all’amore non corrisposto, e la “Chanson épique” si concludeva su un Amen tanto difficile quanto commosso, la “Chanson à boire” era goliardica quanto il testo di Paul Morand richiedeva grazie alla riconosciuta capacità del giovane baritono di esprimere allegria sorgiva.
Su questo tono seguivano i tre generosi bis, forse pensati per gli operomani (si sarebbe preferito ancora un altro Lied, magari più breve), dove è stato un Taddeo irresistibile, con il pianista a “cantare” la parte del coro, nella sua grande scena dell’Italiana di Rossini, per poi passare al molto meno noto (era la prima volta che lo sentivo dal vivo) Monologo del Targaglia da Le maschere di Mascagni, di una comicità degna dei migliori Arlecchini della commedia dell’arte: ho riascoltato la versione magnifica di Bastianini e direi che Olivieri regge bene il confronto e magari è più comico e sfumato del grande Ettore. Come se non bastasse, il giovane baritono ha cantato il suo più che collaudato “Largo al factotum” dal Barbiere rossiniano con cui aveva saputo incantare anche il pubblico scaligero con una dovizia di mezzi vocali e una gestualità mai sopra le righe.
Life Victoria Barcelona – Lied Festival
OLIVIERI & D’ELIA
Mattia Olivieri baritono
Michele D’Elia pianoforte
Musiche di Iain Bell, Richard Wagner, Franz Liszt,
Maurice Ravel, Jules Massenet, Jacques Ibert
Life New Artist
Alba Fernández Cano soprano
Arturo Arensi pianoforte
Barcellona, Recinte modernista de Sant Pau, 15 marzo 2022