Wozzeck, il capolavoro operistico di Alban Berg, è tornato per sei recite a Barcellona con un unico cast. Il Gran Teatre del Liceu si è avvalso questa volta dell’allestimento firmato da William Kentridge per il Festival di Salisburgo del 2017: uno spettacolo molto festeggiato dal pubblico (non ricordo tanti applausi in edizioni precedenti). Si sa che con Kentridge bisogna aspettarsi sempre le sue famose marionette, ma qui l’unico burattino presente è quello del figlio dei protagonisti: presenza che, fino all’ultima scena, funziona molto bene. Ritengo invece, se non sbagliata, poco felice la soluzione di finire l’opera con la stessa marionetta mentre i bambini (compreso il figlio) cantano tra le quinte: l’impatto non è lo stesso rispetto a quando il bambino in carne e ossa rimane solo sul palcoscenico a giocare con il cavallino. Per il resto, ottima la caratterizzazione dei personaggi, in particolare il medico e il capitano, interessanti i ruoli minori e soprattutto il coro: preparato da Pablo Assante, è stato bravissimo anche musicalmente nel suo intervento, non lungo ma alquanto importante e difficile. La stringatezza di Berg (peccato non abbia potuto finire la sua Lulu che sarebbe stata sicuramente più ‘sintetica’ di quella che si ascolta oggi) ha consentito, è vero, una rappresentazione senza intervalli, ma bisognerebbe stare attenti a questo tipo di soluzione. Tutti amiamo fare presto e uscire prima da teatro, ma con questo criterio un giorno vedremo La bohème tutta d’un fiato e non so quanto questa scelta possa essere utile sotto il profilo drammatico. Compositori e librettisti sapevano il loro mestiere: accumulare effetto su effetto senza sosta non mi pare che giovi da un punto di vista squisitamente artistico. Le scene di Sabine Theunissen e i costumi di Greta Goiris erano adeguati alle situazioni del dramma di Büchner, da cui Berg ricava il libretto e che ha una evidente predilezione per il grottesco.
Josep Pons, direttore musicale del Liceu, è molto portato per questo tipo di repertorio: l’orchestra gli ha risposto in modo apprezzabile, anche nei momenti in cui sono richieste sonorità cameristiche, senza mai ostacolare la comprensione del testo e il canto degli interpreti.
Ovviamente Matthias Goerne, in uno dei suoi rari ruoli operistici, è stato un Wozzeck a tutto tondo, forse senza le sfumature e le complessità, anche vocali, di alcuni grandi interpreti odierni della parte, ma la sua schiettezza era appagante perché riusciva a essere chiaramente l’unico (o quasi) ‘puro’ tra una serie di personaggi ipocriti, nevrotici, asfittici, non pensanti o incuranti. Marie è l’altra figura ‘umana’ dell’opera e Annemarie Kremer ne ha dato un’interpretazione straordinaria, nonostante una certa inclinazione alle note stridule: tuttavia nella grande scena iniziale dell’atto terzo (la lettura della Bibbia) è risultata irreprensibile anche vocalmente. Una fortuna che sia stata chiamata lei al posto di un mezzosoprano com’era previsto.
Straordinario da tutti i punti di vista il Capitano di Mikeldi Atxalandabaso. Il suo primo langsam (piano) che apre l’opera, e sul quale insiste sempre, faceva coppia ideale e struggente con il suo ultimo e unico schnell (presto) con cui scappa via dal luogo del delitto, mentre Wozzeck annega portandosi dietro anche il medico, in una chiarissima dimostrazione della bugia sulla quale viene costruita la sua ‘etica’. Peter Rose, pur non arrivando a questo livello, è stato un buon ‘collega’ nel ruolo del medico.
Bene le parti di fianco (in particolare il Matto di Beñat Egiarte e l’Andres di Peter Tansits) e il Tamburmaggiore di Torsten Kerl, molto più adatto qui di quando, anni fa, cantava in teatri importanti grandi ruoli di Mozart, Wagner, Korngold. Molto brava la Margret di Rinat Shanam, ma mi chiedo se per un ruolo così sia proprio necessario cercare all’estero quando sicuramente ci sono voci di casa capaci di sostenerlo altrettanto bene. Lodevoli i bambini del Cor Vivaldi – Petits Cantors de Catalunya istruito da Òscar Boada.
In teatro era presente un buon numero di spettatori molto interessati, attenti e, come già detto, prodighi di applausi calorosi.