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Barcellona, Gran Teatre del Liceu – II Trittico

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Il Trittico di Giacomo Puccini non è un titolo molto frequentato al Liceu, e meno ancora nel suo formato originale. I “pannelli” sono stati presentati con più frequenza in forma separata accompagnando altri titoli. L’ultima rappresentazione integrale risale al 1987. Vero è che si tratta di un’impresa difficile, impegnativa, e che la produzione in scena a Barcellona denota un buon livello complessivo. Niente di eccezionale però, a parte la prestazione di Lise Davidsen nel ruolo di Giorgetta, suo primo ruolo pucciniano, e la direzione di Susanna Mälkki, al suo debutto al Liceu.

Sappiamo quanto sia difficile e poco gratificante il ruolo della protagonista femminile del Tabarro: con Davidsen sembra facilissimo. Quando il soprano norvegese è in scena non si fa che guardare lei: sfoggia anche un buon italiano, che solo in alcuni momenti avrebbe ancora bisogno di un’articolazione più accurata. Per il resto, Davidsen giganteggia in tutti i sensi. Al suo fianco comprimari interessanti (Marc Sala, un venditore di canzonette, il Talpa di Valeriano Lanchas, il Tinca di Pablo García-López), un Brandon Jovanovich attore sempre credibile ma tenore di canto a squarciagola (Luigi si può forse cantare così) e un Ambrogio Maestri poco convincente nel suo grande momento lirico, ma con buona voce anche se gli acuti tendono a essere fissi e l’emissione è un po’ particolare.

Tabarro e Suor Angelica vengono rappresentate di seguito, senza intervallo. Scelta discutibile: sarebbe meglio rispettare l’indipendenza di ogni titolo o, in alternativa, andare avanti fino a fine spettacolo (quanto alla lunghezza o a certi bisogni fisiologici del pubblico, qui si è visto L’olandese di Wagner tutto d’un fiato e nessuno è morto). E lasciamo stare le dispute sul senso unitario o meno del Trittico, che a Puccini come titolo generico non piaceva molto, e che non so se sia la sua opera più “ambiziosa”, come vorrebbe la pubblicità del Liceu, che regala aggettivi pomposi a destra e sinistra per ogni spettacolo proposto (certamente fa il suo lavoro, ma esagerare non è mai stata una tattica vincente).

Comunque sia, questa è l’impostazione dell’allestimento che proviene da Monaco di Baviera e accomuna le prime due opere facendole cominciare con i funerali dei figli delle rispettive protagoniste, che sono in parte causa delle loro tragedie. Trovata che ci può stare, anche se un po’ forzata, come quella dei cadaveri di Luigi e del bambino che girano a fine opera, effetto di per sé spettacolare. Quello di Schicchi appare invece all’inizio e impressiona meno. Tutto si svolge sulla bocca di una specie di tubo enorme e grigio (secondo qualcuno un “tunnel del tempo”), non molto bello ma efficace come scena unica, anche se obbliga la coppia del Tabarro a salire e scendere tutto il tempo e non si capisce bene dove sia la Senna o il molo, ma tant’è.

La regista è Lotte De Beer, che si era presentata al Liceu con un terribile allestimento de Les Pêcheurs de perles nel 2019, snaturando un’opera delicata che avrebbe avuto bisogno di tutt’altro approccio, e poi ha commesso lo scempio che tutti hanno visto in streaming durante la pandemia su quella povera Aida delle marionette politicamente corrette. Qui si dimostra se non altro rispettosa della cronologia dei libretti e, soprattutto nel Tabarro, compie un bel lavoro registico sugli attori. Per Suor Angelica, invece, sembra non aver letto il libretto – e tanto meno la musica – della prima parte “descrittiva” dell’opera. Angelica è presentata come una emarginata ribelle che viene punita con il taglio dei capelli (ma non se li tagliavano tutte?) e si comporta come una belva incatenata dalla quale è meglio stare alla larga. Se questo ha un senso durante l’incontro con la Zia Principessa, o dopo “Senza mamma” quando la protagonista perde ogni controllo di sé stessa e si suicida, prima della visita non è così, anche se la trovata può dare soddisfazioni all’interprete e impressionare il pubblico.
Ermonela Jaho è un’artista intensa e molto applaudita ovunque, e anche qui recita ottimamente. La voce non è grande, né estesa, e non ha molti colori. Ha dei bei piani, è espressiva, ma le soluzioni adottate nell’emissione degli acuti più impervi seguono la via della tanto criticata registrazione della Tebaldi, che però si è ben guardata dal frequentare il ruolo in palcoscenico. Daniela Barcellona, per la prima volta nei panni della Zia Principessa, offre una bella prova vocale e scenica, e tra le altre sorelle spicca la Suor Genovieffa di Mercedes Gancedo. Molto bene il coro preparato da Pablo Assante e il coro di voci bianche dell’Orfeó Catalá istruito da Glòria Coma.

Per Gianni Schicchi si è scelta una serie di effetti “comici” che altro non sono che le vecchie caccole di tradizione che piacciono ancora a molti: la trovata più nuova è che i bambini sono due, Gherardino e tale Pinellino, perchè la Nella e Gherardo sono una coppia patriottica che già allora faceva figli a più non posso – lei è di nuovo incinta – e il più piccolo e pestifero vomita sul papà che resta per tutta l’opera in mutande più o meno rinascimentali. In questo clima propizio Maestri spopola, ma va detto che lo fa soprattutto caricando la parte vocale e non quella scenica. La Zita di Barcellona è spassosa quanto basta ma sorprendentemente chiara come timbro, e tra i parenti spiccano l’ottimo Simone di Stefano Palatchi e gli acuti timbrati e ben tenuti della Nella di Berna Perles. La coppia giovane viene resa ottimamente da Ruth Iniesta, fresca Lauretta capace di un bel “O mio babbino caro”, e da Iván Ayón-Rivas, già vincitore di un recente premio Viñas, un Rinuccio eccellente e soprattutto recitato in modo superbo.

Si diceva all’inizio del debutto di Susanna Mälkki, ottimo maestro (o maestra, come più vi piace), che ha fatto davvero sensazione con una conduzione precisa ed espressiva, ottenendo risultati quasi incredibili da un’orchestra del Liceu galvanizzata dalla sua personalità. La partitura di Puccini ha brillato in tutto il suo splendore, ma ci sentiamo di suggerire un volume meno invadente in alcuni momenti, in particolare del Tabarro e soprattutto quando i cantanti devono dare il meglio di sé.
Pubblico numeroso, anche se non c’era l’ambito tutto esaurito, e molto soddisfatto, con punte di acceso entusiasmo per Davidsen, Jaho e Mälkki.

Gran Teatre del Liceu, Barcellona, 7 dicembre 2022

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