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Vittore Veneziani. Liriche da camera – B. Palumbo, G.F. Amoroso (Tactus CD)

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Fresco di stampa, il cd Vittore Veneziani. Liriche da camera ha diversi meriti. Anzitutto, quello di riaprire una pagina della storia musicale del Novecento, accendendo i riflettori su una figura che tutti gli appassionati d’opera conoscono se non altro per essere affiancata a quella di tanti direttori d’orchestra e celebri cantanti in storiche incisioni che hanno visto impegnati i complessi del Teatro alla Scala. Vittore Veneziani (1878 – 1958) fu infatti maestro del coro scaligero dal 1921 al 1954, con una forzata interruzione nel 1938 a causa delle scellerate leggi razziali approvate dal regime fascista. Allontanato perché di religione ebraica, Veneziani tornò sul podio del coro della Scala in occasione della riapertura del teatro, nel 1946, col “mitico” concerto diretto da Arturo Toscanini.

Come scrive Gian Francesco Amoroso nelle note allegate al cd, “pochi sanno che una delle vocazioni del maestro fu quella della composizione, studiata a Bologna con Giuseppe Martucci e testimoniata da numerosi lavori giovanili”. Nel ricco catalogo di Veneziani, oltre a parecchie pagine corali, opere liriche e composizioni sinfoniche e cameristiche, c’è anche questa silloge di liriche per canto e pianoforte, su testi dello scrittore trevigiano Guido Pusinich (1908 – 1966), data alle stampe dall’editore Bongiovanni nel 1910.
Ulteriore merito della pregevole pubblicazione di Tactus è così quello di trasportare idealmente l’ascoltatore in un salotto di inizio Novecento, in un’atmosfera di languori e malinconie che evoca tanto la gozzaniana nonna Speranza o, se si vuole, certe pagine dannunziane. I componimenti di Pusinich, se non sono poeticamente paragonabili all’uno o all’altro degli autori citati, riescono tuttavia perfettamente funzionali alla fusione con la musica di Veneziani, sempre appropriata al testo e, soprattutto, a ricreare l’atmosfera – la tinta, per dirla verdianamente – che il testo evoca (penso ad esempio a “Campane di festa”). Il tono che sembra prevalere è quello di un colto svago, circonfuso tuttavia da un’aura di decadentismo ora lieto, ora malinconico.

La voce chiara e leggera di Beatrice Palumbo possiede una nota di liliale purezza, una sfumatura quasi adolescenziale che conferisce a diverse liriche un valore aggiunto in termini di freschezza esecutiva. Squisita l’attenzione alle sfumature del canto, così importante nel repertorio cameristico, ove la speciale compenetrazione tra musica e testo è fondamentale. Attenzione dunque alla parola, anche quando l’intonazione è fiabesca come in “Favola antica”, o quando la melodia scivola liquida come nell’estatico “Notturno” o nel contemplativo “L’addio”. O nella lieve ironia di “Favolella”. Da parte sua, Amoroso esibisce un tocco pianistico tornito e denso, capace di cantare insieme alla voce, sensibile nell’accompagnamento, dotato di spiccata musicalità.

VITTORE VENEZIANI
LIRICHE DA CAMERA

Beatrice Palumbo, soprano
Gian Francesco Amoroso, pianoforte

Etichetta: Tactus 2021
Formato: CD

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