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Verona, Arena Opera Festival 2021 – Aida diretta da Riccardo Muti

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Riccardo Muti ha diretto per la prima volta Aida esattamente mezzo secolo fa, nel 1971. Ha poi scelto il capolavoro verdiano per il suo esordio in disco nel 1974 (la celebre, lussuosa incisione con Caballé, Domingo, Cossotto, Cappuccilli), e dopo altre esecuzioni concentrate negli anni Settanta, lo ha accantonato – anche nel ventennio della sua direzione musicale alla Scala – fino all’edizione di Salisburgo del 2017 con Netrebko, Meli, Semenchuk, Salsi, seguita da quella di Chicago del 2019. Non si può parlare insomma di una frequentazione assidua. Di qui la comprensibile, grande attesa per l’esecuzione in forma concertante con cui, in apertura dell’Opera Festival 2021 dell’Arena di Verona, si sono celebrati i 150 anni della prima di Aida al Cairo.

L’odierna visione interpretativa di Muti e l’evoluzione del suo approccio all’opera non possono prescindere dal rapporto con la tradizione direttoriale toscaniniana. L’eredità è notoria. Con il mitico maestro parmense Muti condivide l’atteggiamento esecutivo rigoroso, il rispetto quasi sacrale della partitura e la conseguente messa al bando degli arbìtri dei cantanti. A questo si aggiungono la consapevolezza e l’orgoglio di appartenere a una tradizione interpretativa tipicamente italiana che, tramite la lezione del suo maestro Antonino Votto, braccio destro di Toscanini, affonda le radici nell’Ottocento. Se tuttavia proviamo a confrontare la lettura di Aida offerta dall’ottantenne Muti a Verona (non dissimile da quella salisburghese di quattro anni fa) con la registrazione fatta nel 1949 da Toscanini, all’epoca ottantaduenne, emergono punti di contatto ma anche significative differenze.

Di ascendenza toscaniniana, per esempio, è il gusto del suono orchestrale compatto, da cui scaturiscono quadri di notevole intensità drammatica. Sul versante grand-operistico, Muti sa essere maestoso e solenne senza indulgere nelle magniloquenze sonore tanto care alla tradizione esecutiva areniana (e non solo). È meno scabro e asciutto di Toscanini, meno incline a ritmi sostenuti, ma altrettanto virtuosistico nei ballabili, eseguiti con appagante varietà di colori e dinamiche, e con straordinaria cura dei dettagli. E, soprattutto, restituisce la componente cerimoniale con suprema eleganza, a partire dal suono “ingentilito” delle trombe egizie nella scena del trionfo. Quello che contraddistingue l’Aida che si ascolta a Verona e la differenzia non solo dalla lezione di Toscanini e da certa tradizione post toscaniniana, ma anche dall’enfasi guerresca e dagli slanci “garibaldini” del giovane Muti, è l’approfondimento della dimensione lirica e intimistica, dei momenti in cui a prevalere sono la finezza e la delicatezza strumentali. Tuttavia, che questa sia una recente conquista del maestro napoletano, come si è voluto sottolineare in occasione dell’esecuzione coi Wiener a Salisburgo, è vero solo in parte. Già nell’incisione del ‘74, disponendo di una protagonista dal temperamento lirico come la Caballé, capace di filati magistrali ed emissioni di una soavità paradisiaca, Muti aveva dato ampio spazio al lirismo e ai ripiegamenti interiori. Vero è che oggi il Maestro approfondisce ulteriormente questo aspetto, estendendolo agli altri personaggi e ai loro rapporti interpersonali, restituendoli a una dimensione umana di estrema solitudine. Nel terzo e nel quarto atto, in scena non ci sono più eroi o principesse: ci troviamo di fronte a donne e uomini soli, perdenti, schiacciati dai meccanismi della storia.

Nell’ottica di Muti esiste un sostanziale equilibrio tra i momenti spettacolari e quelli intimistici in cui emergono le passioni umane: non c’è alcuna frattura o contraddizione fra questi due aspetti. Aida ha un impianto teatrale e drammatico poderoso basato sui contrasti chiari e con forti conflitti anche interni, intimistici. Oscilla tra momenti di grande violenza collettiva, ma anche affettiva e psicologica, e passaggi di toccante dolcezza che danno voce alle illusioni dei personaggi, alla realtà alla quale aspirano. Aida, Radamès e Amneris sono tutti e tre tormentati e perdenti, proprio perché non è possibile alcuna conciliazione tra sentimenti individuali e grandi pulsioni collettive. La scena del trionfo non è concepita da Verdi come spettacolarità gratuita, ma è l’immagine musicale e scenica dei limiti che storia e politica frappongono agli ideali e alla libertà del singolo. Un quadro impressionante del tragico rapporto tra apparato di potere e sorte individuale che la lettura di Muti restituisce compiutamente.

Peccato che questa magnifica lettura, ottimamente assecondata dall’orchestra dell’Arena e dal coro preparato da Vito Lombardi, venga in parte intaccata da un sistema di amplificazione non ottimale che crea sbilanciamenti a danno soprattutto dei cantanti: dalla tribuna stampa le voci degli interpreti collocati alla sinistra di Muti si sentono provenire dalla destra del palcoscenico, a distanza di decine di metri.

Al netto di questi squilibri sonori, la compagnia si attesta su un buon livello complessivo. Eleonora Buratto è una protagonista convincente. Al suo debutto nel ruolo, è favorita dall’ottima intesa instaurata con Muti che la sostiene con morbidi tappeti orchestrali nel tratteggio di una Aida squisitamente lirica, accorata e trepida: il timbro brunito, venato di suggestioni malinconiche, il senso spiccato dei chiaroscuri e dell’accento patetico convergono in un canto omogeneo, duttile, sicuro negli acuti, compreso il famoso do di “O cieli azzurri” (anche se l’esito è più prossimo a un mezzoforte che a un pianissimo).
Il giovane tenore Azer Zada tratteggia con buona definizione stilistica il personaggio di Radamès, risultando espressivo e timbricamente piacevole quando deve piegarsi alle morbidezze del canto amoroso: in “Celeste Aida”, per esempio, sfuma diligentemente il si bemolle acuto di “Un trono vicino al sol”. Tuttavia l’accento poco mordente e la carenza di squillo negli acuti non gli consentono di cogliere appieno la dimensione eroica del ruolo.
In sostituzione di Anita Rachvelishvili, nella parte di Amneris troviamo Anna Maria Chiuri ed è abbastanza sorprendente la capacità del mezzosoprano di inserirsi senza problemi – nonostante le poche prove – nella concertazione messa a punto da Muti, con la quale si dimostra anzi in piena sintonia. È una Amneris che sa essere incisiva, ma che grazie al fraseggio ora scavato ora sussurrato porta in primo piano non tanto la regalità della figlia del faraone quanto la dimensione della donna disperata e sola. Qualche sparsa forzatura in acuto nel quarto atto non intacca una prova nell’insieme autorevole.
Ambrogio Maestri dà invece la sensazione di essere un po’ spaesato. La lettura di Muti lo porta evidentemente a tratteggiare un Amonasro stilisticamente sobrio. Niente intemperanze, o declamazioni sopra le righe: tutto viene risolto nel canto. Ma se la tenuta vocale è complessivamente buona, l’interprete risulta piuttosto generico, non riuscendo a compensare la castigatezza imposta dal direttore con l’eloquenza del fraseggio e uno scavo adeguato dell’accento.
Quanto ai bassi, si fanno apprezzare sia il Re autorevole e incisivo di Michele Pertusi che il Ramfis corretto e duttile di Riccardo Zanellato. Completano degnamente la locandina Benedetta Torre, Sacerdotessa, e Riccardo Rados, un messaggero.
Alla fine, caldo successo per tutti e ovazioni per Riccardo Muti.

Arena di Verona – 98° Opera Festival 2021
AIDA
150° anniversario
Esecuzione in forma di concerto

Il Re Michele Pertusi
Amneris Anna Maria Chiuri
Aida Eleonora Buratto
Radamès Azer Zada
Ramfis Riccardo Zanellato
Amonasro Ambrogio Maestri
Un messaggero Riccardo Rados
Sacerdotessa Benedetta Torre

Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Riccardo Muti
Maestro del coro Vito Lombardi
Video design e scenografie digitali D-WOK

Verona, 19 giugno 2021

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