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Trieste, Teatro Verdi – Madama Butterfly

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Lungo la strada verso una ritrovata normalità, battuta da tensioni ideologiche, politiche e sociali in una Trieste spazzata dalle prime brezze autunnali, il Teatro Verdi si prepara alla Stagione Lirica 2022 con una ripresa dell’allestimento di Madama Butterfly, già presentato e qui recensito nel 2019.

Lo spettacolo ideato da Alberto Triola, con la collaborazione di Libero Stelluti, conserva intatta la raffinata eleganza di un impianto sostanzialmente tradizionale, reso tuttavia moderno grazie all’essenzialità di una sapiente sottrazione di tutti gli elementi prettamente decorativi associati dall’immaginario occidentale al Giappone. La purezza delle linee dei rari elementi scenici e degli effetti cromatici di costumi e luci trasportano lo spettatore in un mondo spirituale fatto di personaggi reali e ombre. La sfida imposta dalle restrizioni anti pandemiche è stata, infatti, l’occasione di una rilettura e di un approfondimento che hanno migliorato la lettura drammaturgica sottesa all’ideazione dello spettacolo: le distanze imposte hanno suggerito al regista di sdoppiare i piani narrativi, dando visibilità a quei contatti intimi (uomo-donna, madre-figlio) che le norme in vigore non consentono, e di sostituire il bambino di Butterfly con un pupazzo in carta, realizzato con la tecnica origami, il quale appare sempre in distanza o accanto all’ombra di Cio-Cio-San. L’effetto è straniante: forse la storia cui assistiamo è, dunque, il ricordo della protagonista stessa che rivede il proprio passato nell’istante della propria morte. Ed ecco che allora quell’idea – in sé non originale – di mostrarne, nel finale, solo la silhouette nera dietro un frame rosso sangue che si chiude come il diaframma di un obiettivo fotografico, lasciando la scena completamente vuota, è la proiezione di un ricordo che si dissolve, dell’assenza percepita da chi rimane. L’idea del sogno che era stata originariamente alla base della regia si rinnova, dunque, e conferisce a questa Madama Butterfly i contorni di un’eroina da tragedia greca: le coriste presenti in scena a cantare il celeberrimo coro a bocca chiusa, vestite di pepli e rese tanto più inquietanti dalle mascherine che ne coprono i volti, sono la materializzazione di un incubo: il fotogramma dell’istante in cui il destino di Butterfly incontra quello di Medea, due donne che hanno posto se stesse nelle mani di due uomini venuti da mondi lontani, illuse, usate; due culture, oriente e occidente, che si sfiorano e si scontrano, allo stesso modo a secoli di distanza; due anime che sognano, del loro sogno fanno la speranza di un attimo, e precipitano verso due opposte tragedie: la vendetta in Medea, il suicido come riaffermazione dell’onore (e sacrificio estremo e atto di resa) in Butterfly. Comunque, due donne sconfitte.

Ma non è solo dal punto di vista teatrale che si apprezza questa Butterfly, perché musicalmente è una delle esecuzioni maggiormente riuscite a cui abbiamo assistito a Trieste negli ultimi anni. Francesco Ivan Ciampa a capo dell’Orchestra del Teatro Verdi ha diretto la complessa partitura senza nessun calo di tensione. Quella eleganza, che abbiamo riscontrato sulla scena, trova una perfetta traduzione in una pulizia formale emergente da una lettura che abbandona i languori eccessivi a cui ingannevolmente Puccini pare troppo spesso invitare gli esecutori. Il fraseggio è superbo, ampio, il suono sempre pieno anche nei pianissimi orchestrali e mai eccessivo nei fortissimi. Il gesto elegante è assecondato da un’orchestra che ritrova la sua forma migliore, e da essa ricava una ricca tavolozza di colori, attento sempre a non sacrificare le voci, ma a trovare in ogni istante il giusto equilibrio fra scena e golfo mistico.

Evgenia Muraveva convince nella parte di Cio-Cio San; se “Spira sul mare e sulla terra” non è dei migliori a causa di un vibrato piuttosto ampio, già dal dialogo successivo, “Gran ventura”, ritrova il pieno controllo del proprio strumento e la recita è tutta in crescendo. La voce non è potentissima, se ne apprezza il timbro ambrato soprattutto nei medium, ma è ben sostenuta da una buona tecnica che le permette di spaziare in un’ampia gamma dinamica e di non forzare mai negli acuti. Forte di un’ottima dizione, riesce a scandire bene le parole, sottolineandone accenti e significati. Si mantiene lontana da ogni eccesso o tentazione verista, e offre il meglio di sé proprio nella cura dei dettagli: più del corretto “Un bel dì vedremo”, sono momenti come la scena della lettura della lettera, la presa di consapevolezza dell’”Ah, m’ha scordata” – soffocato, eppure cantato – il colore di singole frasi come “Diedi pianto alla zolla” o “Tutto è morto per me”, che fanno della sua Butterfly un personaggio pienamente riuscito, credibile e coinvolgente. Francesco Castoro ritorna a Trieste dove, alcuni anni fa, si era fatto apprezzare quale Alfredo in Traviata. Vi ritorna, tuttavia, cresciuto tecnicamente e come interprete: la voce è molto bene impostata, canta in maschera e i suoni sono bene proiettati, garantendo anche il giusto squillo agli acuti, pur mantenendosi entro le corde di un lirico spinto. Fraseggia magnificamente e canta con grande morbidezza senza mai forzare. Il suo Pinkerton non è né sbruffone né cinico: è forse un uomo molto attuale, un tipo leggero ma in modo diverso dal volo di Butterfly: questa ha la leggerezza dell’ingenuità della giovinezza, Pinkerton quella della vacuità. Il nitore della sua resa di “Addio fiorito asil”, partecipato e sobrio non è il rimpianto per ciò che ha fatto, ma per ciò che lui pensa di avere perduto: la propria libertà, forse, di essere vacuo. È vuoto, convinto che libertà significhi potere fare tutto. Una bellissima prova anche la sua, giocata tutta sul canto, e sul rispetto della partitura e non per questo meno originale. Elia Fabbian veste i panni di Sharpless con giusta dignità; forse una delle migliori scene della lettera a cui abbia assistito in teatro, ha voce possente che sostiene con tecnica a tratti non controllatissima, ma si impone per gusto nel fraseggio e attenzione alle dinamiche. Bene la Suzuki di Na’ama Goldman, voce dal timbro aspro ma ben educata, perfetta alter ego di Butterfly, depositaria sin dall’inizio di quella consapevolezza di cui Cio-Cio-San e Pinkerton sono privi e ottimo il Goro di Andrea Schifaudo. All’altezza degli interpreti principali gli altri, che più volte abbiamo apprezzato in ruoli secondari solo nel nome, e come in passato preparatissimi: Dario Girogelè quale Principe Yamadori, Cristian Saitta possente Zio Bonzo, Silvia Verzier nei panni di Kate Pinkerton, Giovanni Palumbo Il Commissiario Imperiale e Giuliano Pelizon l’Ufficiale del registro. Bella la prova del coro alla cui direzione debutta il Maestro Paolo Longo.
Pubblico troppo e ingiustificatamente scarso alla prima per uno spettacolo di gran pregio che ben altri spunti all’idea di libertà poteva e potrà offrire.

Teatro Verdi – Settembre-dicembre 2021
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giocosa
dal dramma Madame Butterfly di David Belasco
Musica di Giacomo Puccini

Cio-Cio-San Evgenia Murareva
F. B. Pinkerton Francesco Castoro
Sharpless Elia Fabbian
Suzuki Na’ama Goldman
Goro Andrea Schifaudo
Il Principe Yamadori Dario Giorgelè
Lo Zio Bonzo Cristian Saitta
Kate Pinkerton Silvia Verzier
Il Commissario Imperiale Giovanni Palumbo
L’ufficiale del registro Giuliano Pelizon
Mimo Annalisa Esposito

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Alberto Triola
Regista collaboratore Libero Stelluti
Maestro del Coro Paolo Longo
Allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Trieste, 1 ottobre 2021

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