Chiudi

Trapani, Luglio Musicale Trapanese 2021 – Don Pasquale

Condivisioni

«Com’è gentil», la notte trapanese. Viene da pensarlo al termine del Don Pasquale, con cui si è felicemente conclusa la 73ª edizione del Luglio Musicale Trapanese, come sempre ospitata tra le fronde del maestoso Piazzale dei Ficus di Villa Margherita, sede del Teatro Giuseppe Di Stefano: un’edizione all’insegna del potere della seduzione e delle suggestioni della notte, nell’arco tracciato dalla storia di due don, il Giovanni mozartiano e il Pasquale donizettiano, entrambi in cerca di diverse forme di conquista. Serata godibilissima, quella posta a suggello della rassegna, anche perché termometro sensibilissimo di una rassegna che da anni naviga in acque procellose, ma che quest’anno sembra essersi interrogata, forse con maggior forza di convinzione del passato, sulla funzione del cartellone estivo di un palcoscenico – lo si deve pur ammettere – sicuramente non di primo piano, utile per fornire una ribalta ad artisti pronti a misurarsi con quella grande sconosciuta, che è diventata la ‘gavetta’. Aver individuato queste risposte è stato, forse, il punto di forza della programmazione impostata dal nuovo direttore artistico, Matteo Beltrami: che ha saputo coniugare spettacoli di grande freschezza e felicità creativa con la ricerca di giovani talenti, a cui è stata concessa una ribalta per misurare forze e potenzialità di crescita.

Questo Don Pasquale, per di più, nasce da una coproduzione con il Teatro Regio di Parma, grazie all’encomiabile desiderio di associare scelte economicamente sostenibili con nuovi allestimenti, capaci di coinvolgere l’uditorio. L’opera donizettiana viene riletta da Pier Francesco Maestrini alla luce della particella – onorifica, più che nobiliare – che precede il nome di Pasquale da Corneto: quel ‘don’ che, giusta un’intrigante rilettura interpretativa, serve per trasportare l’azione nella Little Italy newyorkese ai tempi del proibizionismo, facendone un ‘padrino’ da film, invece che un tardo esponente dell’aristocrazia capitolina. L’idea è intelligente e arguta anche perché gli consente un’ironica carrellata sulla cinematografia americana del Dopoguerra, da Bulli e pupe di Mankiewicz a Pallottole su Broadway di Woody Allen; e anzi l’intera vicenda viene riletta alla luce dei manifesti che campeggiano in casa di Norina, più interessata a diventare una diva del cinema che al «guardo» del «cavalier Ricciardo». Per questo sfodera una provocante chioma rossa come la Gilda di Rita Hayworth, mentre la Serenata del terzo atto viene contrappuntata da un omaggio alla vaporosità in danza di Fred Astaire e Ginger Rogers. L’allestimento non è semplice, ragione per la quale si apprezza ancor di più l’ingente sforzo produttivo della rassegna: le scene girevoli di Juan Guillermo Nova alternano lo skyline della Grande Mela agli interni della casa del boss, dove si moltiplicano nascondigli per alcolici e depositi di armi. Sono invece un tripudio di fantasia e di sfavillante eleganza i costumi firmati da Luca Dall’Alpi, soprattutto per quanto riguarda Norina, che sfoggia un autentico campionario di sontuosi abiti d’epoca. Ma ha mano particolarmente felice anche la regia, che se da un lato mantiene intatta la levità della commedia, ai confini del musical, dall’altro approfondisce di inedite sfumature il personaggio di Don Pasquale: grazie a un gioco di specchi che rimanda all’Italia del boom economico, ne fa una sorta di Antonio Barracano ante litteram, sindaco di un rione Sanità con tanto di maggiordomo-guardia del corpo (o ‘Nait?), di pimpante segretaria, pronta a battere a macchina la vibrante lettera d’addio di Ernesto («Sogno soave e casto»), e di un onnipresente questuante in odor di Groucho Marx. Tutto questo aiuta, in qualche modo, il ‘ripensamento’ finale, perché non fa che dimostrare il buon cuore dell’autoritario patriarca. Forse, lo spettacolo soffre di un horror vacui che induce il regista a immaginare una congerie di controscene a tratti eccessiva, ma è pur vero che l’azione è sempre perfettamente leggibile, oltre che di scorrevole, accattivante visione.

Ma le note sono altrettanto positive in punto scenico, nonostante i numerosi cambiamenti intervenuti fino a pochi giorni dal debutto. Sul podio dell’Orchestra del Luglio Musicale Trapanese, Giovanni Di Stefano è bacchetta d’infallibile professionalità: lo si intuisce sin dall’Ouverture, in cui assicura distesa cantabilità al tema del violoncello, ma poi tiene in pugno la compagine per trapassare verso atmosfere garbatamente civettuole, restituite in maniera asciutta e stringata. Ed è questa la chiave di volta di una lettura che ha polso fermo nell’accompagnare i cantanti, nel rifinire gli interventi di un’orchestra sempre nei limiti di una leggerezza pensosa e attenta, nel governare il Coro, istruito da Fabio Modica, nei due esilaranti interventi del terzo atto come nel malinconico fuori scena durante la Serenata.

In scena Federico Longhi è un Don Pasquale di confortante, rincuorante sicurezza: rifugge dagli stereotipi d’ordinanza, che oggi rendono greve il personaggio, e invece si affida alle ragioni di un canto sempre misurato, giocato in maniera accorta sulla parola, sulla un’efficace definizione scenica. Ha il merito di non strafare, né sul versante comico né su quello patetico, ma di affermare la caratura protagonistica del ruolo in tutti i duetti: costruendo un arco d’effetto nei due confronti con Malatesta, che Alessio Arduini interpreta con piglio sempre brillante. Ha timbro chiaro e voce di bella proiezione, figura svelta e mercuriale, accento sempre ficcante e suasivo: una simpatica canaglia, insomma, nella migliore tradizione buffa. Patrick Kabongo veste i panni di un Ernesto, provetto giocatore di golf, ma soprattutto improntato a levigato, sognante languore, grazie a un senso del legato che lo supporta nelle grandi pagine del ruolo, e segnatamente nell’Aria del secondo atto. Diventa, per questa via, un personaggio forse estraneo alla fauna malavitosa che lo circonda, ma pronto a cogliere la grande opportunità che gli deriva dall’audace disegno di Malatesta: il lirismo che lo contraddistingue è l’arma con cui se ne distanzia, conquistando Norina. Trionfatrice della serata, Francesca Benitez si ritaglia un successo personale per la spavalda sicurezza con cui tiene la scena e domina la vocalità del ruolo, facendo chiaramente percepire – sin dal mi bemolle acuto con cui corona l’Aria – di esser capace di ben altre prodezze pirotecniche. Ma sin d’ora si mostra interprete privilegiata del repertorio leggero, grazie ad acuti adamantini e svettanti, alla rotondità della coloratura, a una joie de vivre che rende semplicemente irresistibile la lunga scena del contratto, in cui mette in luce un physique du rôle esaltato pure dalla lingerie sadomaso con cui domina Don Pasquale e la sua attonita corte dei miracoli. Che ha lo sguardo stralunato e stranito e del notaro di Christian Barone: un po’ Charlot e un po’ Estragon, pronto ad assistere sornione a un inatteso, beckettiano finale di partita.

Teatro Giuseppe Di Stefano – 73° Luglio Musicale Trapanese
DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti

Don Pasquale Federico Longhi
Dottor Malatesta Alessio Arduini
Ernesto Patrick Kabongo
Norina Francesca Benitez
Un notaro Christian Barone

Orchestra e Coro del Luglio Musicale Trapanese
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del coro Fabio Modica
Regia e luci Pier Francesco Maestrini
ripresa da Teresa Gargano
Scene Juan Guillermo Nova
Costumi Luca Dall’Alpi
coproduzione con il Teatro Regio di Parma

Trapani, 25 agosto 2021

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino