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Trapani, Luglio Musicale Trapanese 2021 – Don Giovanni

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È quasi assordante il frinire delle cicale che accoglie gli spettatori del Teatro Giuseppe Di Stefano per l’inaugurazione della 73ª edizione del Luglio Musicale Trapanese: il vento torrido che soffia nel gran Piazzale dei Ficus di Villa Margherita trasporta il canto degli insetti, lo fa rimbalzare da un punto all’altro del parco fino a stordire uomini e cose. Il rito del corteggiamento delle cicale carezza, culla, sfinisce: eco elettrizzata alla prima di Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, titolo per lo meno desueto per rappresentazione en plein air, ma che in questo rigoglioso, lussureggiante giardino sembra ritrovare una dimensione intima particolarmente indicata. Lo spettacolo segna anche una serie di importanti debutti: quello di Matteo Beltrami, sul podio dell’Orchestra maison come alla direzione artistica della rassegna; e di Denis Krief, regista di fama internazionale ma ormai da anni trapanese di elezione. E Don Giovanni è stato: fresco, giovane, spigliato, perfettamente calibrato nella logica musicale settecentesca ma attento a instaurare un fecondo dialogo con il mondo contemporaneo; di più: a instaurare un dialogo con se stesso, alla ricerca di chiavi di lettura che concorrono ad arricchire di senso l’interpretazione dell’opera.

Si prenda la direzione di Beltrami, che opta per la versione di Praga del 1787: senza tutte le pagine poi aggiunte per Vienna, nella primavera dell’anno successivo, ma senza per questo farsi travolgere da un finale che, soprattutto ai primi del Novecento, rischiava di travolgere l’opera verso un’interpretazione dichiaratamente, marcatamente romantica. Opportunamente, piuttosto, il direttore genovese non scioglie il nodo dell’appartenenza di genere dell’opera: scivola verso il dramma, nell’Ouverture come nel Finale, ma mantiene una medietà di tono tale da assicurare la giocosità, la levità dell’assieme durante tutto l’arco narrativo. Ben lo asseconda l’Orchestra del Luglio, dalla quale – amplificazione permettendo – ottiene un suono limpido, conferendo una pulsazione tesa e vibrante: la teatralità dell’assieme viene garantita da un accorto studio dei recitativi, che trovano una dimensione di smaliziata creatività nel cembalo di Alessandro Praticò (meritevole, lo si dica, almeno di una menzione in locandina). Ma ciò che maggiormente conta, da questa lettura, è lo studio sul doppio: di Leporello come alter ego di Don Giovanni, come delle due figure nobili femminili. Sotto il profilo drammaturgico, ma prima ancora musicale: Beltrami non ricerca infatti vocalità distinte e distanti, bensì un’identità che mostra l’aspirazione del servo a calarsi nei panni del padrone, come la sostanziale indifferenza del libertino verso l’intero genere femminile, di cui si fatica a distinguere i tratti.

Tutto ciò è reso possibile grazie a una coppia di protagonisti di eccezione. Alessandro Luongo ha raggiunto un’invidiabile maturità nel repertorio mozartiano e, in particolare, nell’interpretazione di un cavaliere che è giovane e nobile, aitante e atletico, prodigo al tempo stesso di autentiche prodezze vocali. Grazie a uno strumento di generosa proiezione e di morbida duttilità, domina il Finale I, salvo attingere a una dimensione surreale nella stretta («È confusa la mia testa»); e consegna un’autentica gemma nella Canzonetta («Deh vieni alla finestra»), con una ripresa della seconda strofa a fior di labbra («Tu ch’hai la bocca dolce più del miele»), da autentico, irresistibile seduttore. Lo segue, lo anticipa, in qualche modo lo imita, sicuramente lo invidia lo strepitoso Leporello di Omar Montanari: con un’attenzione allo scavo della parola evidente fin dalla celeberrima Aria del catalogo, debordante fuoco di fila di conquiste che culmina nella maestosa, monumentale rotondità di una «gonnella» che fa esplodere come unico, vibrante, ridondante oggetto del desiderio. Questione di accenti, di colori, di una prosodia mobilissima con cui mette in luce anche l’aspetto tragico del gioco: quando suggella il Sestetto con un «Perdon, perdono» fin doloroso nella temuta fine – peraltro imminente – della corsa infernale.
Note positive anche per le protagoniste femminili, non fosse la sensazione, come si accennava prima, che a Mariangela Sicilia sarebbero stati meglio i panni di Donn’Anna, e il contrario ad Alexandra Zabala. La prima, infatti, si impone per la raffinatezza levigata della coloratura, il dominio dell’emissione come la soavità del timbro, a partire da un «Ah chi mi dice mai» con cui scandaglia le ragioni della perdita, fino a un Terzetto di rara eleganza e fascino; mentre la seconda possiede uno strumento di sicuro impatto, mentre resta da affinare una presenza scenica ancora generica. Contribuiscono a un Terzetto delle maschere che è limpido affondo in una vocalità cesellata con gusto, venata da un’aura di mistero, cui contribuisce il nitido Ottavio di Didier Pieri, frutto di uno studio intelligente e accorto di cui dovrebbe però liberarsi, una volta in scena.
Nei ruoli di fianco, con il ruvido Masetto di Graziano Dallavalle, la Zerlina di Caterina Di Tonno è interessante per lo spirito galante con cui costruisce il personaggio – anche se la costruzione del ruolo la fa assomigliare più a Gilda che a un’innocente contadina. Autorevole, tonante, austero il pregevole Commendatore di Andrea Comelli, come di grande efficacia risulta il piccolo Ensemble vocale che funge da compagine corale, diretto da Mirco Reina con risultati di spicco e animato dalle gustose coreografie di Amy Share-Kissiov, compreso un ironico twist durante le nozze.

E proprio la capacità di ‘movimentare’ il coro dimostra – qualora sia ancora necessario – le grandi abilità registiche di Denis Krief, che firma uno spettacolo sobrio, accurato, ‘giusto’ come poche volte capita di vedere. Sceglie un’ambientazione genericamente contemporanea, una camera ‘metafisica’ alla de Chirico con una pedana digradante alla base di un cubo ligneo che si riflette nelle tinte tendenzialmente chiare – fino al bianco calce del Commendatore – di abiti che potrebbero esser stati acquistati nel primo magazzino disponibile. Per lui Mozart, e in particolare quello di Don Giovanni, racconta una storia entrata nel mito ma proprio per questo passibile di parlare allo spettatore di oggi, grazie a una recitazione calibratissima, a un lavoro sul corpo degli interpreti capace di sottolineare inflessioni, intenzioni, sottintesi del capolavoro. Per questo il lavoro di Krief si sposa in maniera pregevole con quello di Beltrami: non cerca la tragedia né la commedia, ma quella fusione di generi che sarebbe stata tanto apprezzata nel secolo romantico, e che qui si traduce nella forza di un teatro musicale vero, umanissimo, vitalissimo e trascinante. Una commedia umana che diventa lezione di vita, nella quale è impossibile non ritrovarsi, identificarsi, riconoscersi.

Teatro Giuseppe Di Stefano – 73° Luglio Musicale Trapanese
DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Don Giovanni Alessandro Luongo
Donn’Anna Alexandra Zabala
Don Ottavio Didier Pieri
Il Commendatore Andrea Comelli
Donn’Elvira Mariangela Sicilia
Leporello Omar Montanari
Masetto Graziano Dallavalle
Zerlina Caterina Di Tonno

Orchestra e Ensemble vocale del Luglio Musicale Trapanese
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Mirco Reina
Regia, scene, costumi e luci Denis Krief
Coreografia Amy Share-Kissiov
Video Alessandro Sieli, Francesco Siro

Trapani, 29 luglio 2021

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