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Torino, Teatro Regio – La bohème

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Dopo mesi di chiusura per lockdown, provvedimenti giudiziari in corso e commissariamento, per il Teatro Regio non ci voleva proprio il crash del sito che avrebbe dovuto mandare in streaming il nuovo allestimento de La bohème di Puccini proprio nel giorno in cui ricorreva l’anniversario della prima assoluta, avvenuta a Torino il 1° febbraio 1896. Il popolo del web si è scatenato. Sulla pagina Facebook del Regio i commenti sull’accaduto sono stati da subito non molto comprensivi e gentili, anzi piuttosto tranchant. Il pubblico, quello che frequenta il teatro da anni, delle parole spese in questi mesi dalla commissaria sembra farsene davvero un baffo e chiede azioni concrete per il rilancio, annunciato solo a parole, di un teatro che proprio non riesce a uscire da un periodo di indubbia difficoltà.
Dalla commissaria, la lady di ferro Rosanna Purchia, arriva un comunicato: “Siamo spiacenti e mortificati con il nostro pubblico per quanto accaduto. Ammettere gli errori è un atto di forza e non di debolezza”. Ne siamo convinti pure noi, anche se è da mesi che il Regio, almeno finora, non ne azzecca una. Promesse mancate, cartelloni presentati e poi smontati, un direttore artistico che non si comprende bene se sia stato messo o meno nelle condizioni per esercitare le sue funzioni, una pagina Facebook del teatro colma di messaggi pubblicitari di calciatori, attrici, imprenditori, chef, designer e chi più ne ha più ne metta, fotografati in palchi, platea e foyer per lanciare al pubblico il messaggio che è bello andare al Regio! Al pubblico, quello vero, degli appassionati e degli eroici abbonati ripagati dal teatro con voucher di fiducia per spettacoli mai andati in scena, interessa che il Regio riapra e non ha bisogno di inutili iniziative marketing che per l’immagine del teatro possono divenire un pericoloso boomerang.

Una buona notizia c’è. È arrivato a Torino Riccardo Muti per l’annunciato Così fan tutte di Mozart che verrà proposto nell’allestimento proveniente dal San Carlo di Napoli e che vedrà il Maestro tornare sul podio dell’Orchestra del Regio dopo un’unica occasione risalente al lontano 1968. Vedremo se il miracolo avverrà, non in presenza, ma in streaming. Il Teatro Regio, mentre il sindaco uscente di Torino ha ben altro a cui pensare (già in passato si era peraltro distinto per scelte politiche rivelatesi rovinose per il teatro d’opera della città), continua a essere nelle mani di una commissaria non molto comprensiva con i dipendenti, i quali, si presume, non chiedano altro che tornare a produrre arte e, quando li si pone nelle condizioni migliori per farlo, dimostrano di riuscirci pure bene. Ecco perché, superato l’amaro in bocca causato dal suddetto incidente, ci si predispone ad aspettare l’annunciato spostamento della messa in onda in streaming di questa nuova Bohème dal 1° al 4 febbraio, certi che lo spiacevole intoppo vada compreso e, perché no, anche perdonato.

Si apre il sipario sul video del nostro computer, questa volta senza problemi e con puntualità torinese. Il pubblico che non aveva potuto vedere La bohème su Classica HD – Sky Canale 136 il 30 e 31 gennaio, ma aveva acquistato un biglietto alla cifra simbolica di 5€ per lo streaming del 1° febbraio nel sito del teatro, può finalmente godersi lo spettacolo, per di più ripreso bene e con qualità audio davvero ottima. Finalmente, è il caso di dirlo (questa è la prima produzione operistica del Regio dopo più di dieci mesi di operistico silenzio), si può vedere il nuovo allestimento che avrebbe dovuto andare in scena nel marzo dello scorso anno, poi saltato con l’inizio del primo lockdown. Subito, piace sottolinearlo, le masse artistiche del teatro, Orchestra e Coro (istruito da Andrea Secchi, ahimè senza il Coro di Voci bianche), appaiono quelle di sempre: valide, solide, non mortificate dalla lunga pandemia. Sarà che a galvanizzarle c’è la bacchetta di Daniel Oren, che conosce La bohème meglio di qualsiasi altro direttore nel suo respiro autentico, quello del sentimento, del sogno della giovinezza perduta. È lui stesso a ricordare, nel programma di sala, una frase di Georges Bernanos nella quale si afferma che “il dolore più grande, nel perdere una persona cara, sta nel vedere svanire la propria giovinezza. È quello che succede in Bohème, raccontato attraverso la musica”. Oren lo narra splendidamente. Ottiene dell’Orchestra del Regio un suono terso, flessibile e affettuoso, carico di nostalgia che alterna piccole gioie a strazianti disillusioni, tradotte in musica con quell’abbandono intenso e vibrante verso una melodia che è tessuto portante dell’opera e va avvolta in una guaina sonora che ne colga tutto il respiro e l’afflato poetico. Anche il secondo atto, quello del Quartiere Latino e del Café Momus, che sappiamo tanto difficile, è una meraviglia, controllatissimo nei diversi piani sonori, almeno per come si percepiscono dall’ascolto in streaming, con un concertato che sprizza joie de vivre e buoni sentimenti, quelli che tutte le vigilie di Natale portano con sé. L’“effetto nostalgia”, che così bene ha ritratto Roberto Mori nel suo saggio in omaggio all’anniversario della Bohème pubblicato su questa testata (qui il link), trova in Oren un interprete ideale. Se già nella celebre esecuzione torinese del 1996, quella del centenario, fece faville, allora con un cast stellare che schierava come protagonisti Mirella Freni e Luciano Pavarotti (ci fu la diretta televisiva), anche oggi, con un cast meno altisonante ma non inefficace, ripete la magia di una mirabile concertazione, nella quale lo spirito sentimentale dell’opera vive vestendosi di quella teatralità che lo rende tanto amato.

Contribuisce a creare il clima così ben descritto nel suddetto saggio e tradotto sul piano musicale dalla bacchetta di Oren anche la messa in scena che Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi firmano rifacendosi ai magnifici bozzetti che Adolf Hohenstein realizzò per la prima assoluta dell’opera del 1896, oggi custoditi nell’Archivio Storico Ricordi. È la riproduzione di un allestimento alla maniera antica, con scene dipinte, illusioni prospettiche (curatrice delle scene è Leila Fteita con il pittore scenografo Rinaldo Rinaldi) e ricostruzione storica dei costumi a cura di Nicoletta Ceccolini. Polvere del tempo passato? Assolutamente no. Lo spettacolo appare vivo, palpitante anche nel dipanarsi registico giusto per cogliere con abbandono carico di poesia il clima più genuino dell’opera. Questo allestimento non solo lo conferma, ma convince nell’idea che con quest’opera Puccini intenda tradurre in musica il rimpianto del tempo che fugge e lascia sul terreno la magia del ricordo dei tempi felici. Ogni forzatura – e tante se ne vedono in molti altri spettacoli – che si discosti da questi binari espressivi, appaga il protagonismo di certi registi, ma appare fuorviante e gratuita. Qui, invece, tutto risorge da un passato che, risvegliando antiche emozioni, lascia il segno. Sì, perché una Bohème che non commuove non ha senso di essere, mentre questo spettacolo, così tradizionale e in apparenza scontato nella sua visione un po’ naïve, coinvolge e affascina anche per la sapienza attraverso la quale la regia caratterizza i personaggi muovendoli in un contesto scenografico d’antan centrandone con limpidezza di tratto i caratteri. Le scene sono davvero gradevoli, dalla soffitta con la gran finestra affacciata sui tetti e i “cieli bigi” parigini, al quadro della Barriera d’Enfer con il manto di neve che copre una scena immersa in una soffusa luce bluastra albeggiante. Riuscitissimo è soprattutto il Quartiere Latino dell’atto secondo, con le sagome dipinte delle case parigine dalle finestrelle illuminate e le immaginate cupole della Basilica di Montmartre sullo sfondo avvolte dalle soffici luci di Andrea Anfossi. Lo spettacolo, un sogno in cartone morbidamente colorato con i pennelli della nostalgia, credo vada visto dal vivo per essere apprezzato in tutta la sua magia. Eppure, già dallo schermo di un computer o di una tv, fa percepire il rimpianto per un passato di giovanile spensieratezza, di gioia per le piccole cose, per i piaceri di una vita semplice ma autentica che la realtà della morte porta via con sé; quel clima disincantato che è sigla distintiva e amara della Bohème stessa.

La compagnia di canto funziona e appare affiatata in tutte le sue componenti. Maria Teresa Leva sembra nata per cantare Mimì. Ha fresca voce di soprano lirico giusta per la parte. Inizia con un “Mi chiamano Mimì” intonato con delicatezza e garbo, anche nello smorzare i suoni. Mette intensità nel terzo atto, prima nel duetto con Marcello e poi in un toccante “Donde lieta uscì”, per arrivare alla coinvolgente emozionalità della scena della morte dando il giusto rilievo a “Sono andati? Fingevo di dormire” con commossa e sfumata intensità espressiva. Anche il tenore Iván Ayón Rivas, che a Torino aveva già cantato Rodolfo con la direzione di Gianandrea Noseda, allora giovanissimo, mi sembra da allora migliorato e canta l’aria della “Gelida manina” con gusto ed eleganza, mostrando di aver fatto qualche passo avanti nella rifinitura del fraseggio. Gli manca ancora, nel bell’impasto timbrico, la giusta rotondità del suono, anche in acuto (al do della “speranza” mancano slancio, brillio e naturalezza), ma nell’insieme la prova è buona.
La bellissima Hasmik Torosyan, che in passato al Regio si era ascoltata in ben altri cimenti, come Amina nella Sonnambula e Leïla ne Les pêcheurs de perles, è addirittura un lusso per la parte di Musetta, che interpreta con freschezza e fascino, alla quale dona una voce che in “Quando men vo soletta per la via’” regala brio e sfumata leggerezza nello smorzare i suoni quando richiesto. Nel gruppo dei bohémiens il nome più noto è quello di Massimo Cavalletti, un Marcello dalla voce baritonale sempre bella nonostante i soliti squilibri d’emissione, mentre Tommaso Barea e Alessio Cacciamani, nei rispettivi panni di Schaunard e Colline, sono due giovani talentuosissimi, cantano e recitano davvero bene. Sarà interessante ascoltarli presto in teatro per confermare le loro qualità. Matteo Peirone, nei panni di Benoît e Alcindoro, è un punto di riferimento, anzi una istituzione. Completano il cast, Alejandro Escobar (Parpignol), Desaret Lyka (Sergente dei doganieri), Gabriel Alexander Wernick (Un doganiere), Franco Traverso (Il venditore di prugne) e Matilda Elia (Un ragazzo).
Mi sembra di aver fatto comprendere come il Teatro Regio, con questa nuova Bohème, mostri di conservare ancora la qualità della sua forza artistico-produttiva. Ciò che manca è invece un management degno della sua tradizione. Continuiamo ad aspettare, fiduciosi, che il corso delle cose migliori, anche perché errare humanum est, perseverare autem diabolicum.

Teatro Regio di Torino – Stagione 2020/21
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini

Mimì Maria Teresa Leva
Rodolfo Iván Ayón Rivas
Musetta Hasmik Torosyan
Marcello Massimo Cavalletti
Schaunard Tommaso Barea
Colline Alessio Cacciamani
Benoît e Alcindoro Matteo Peirone
Parpignol Alejandro Escobar
Sergente dei doganieri Desaret Lyka
Un doganiere Gabriel Alexander Wernick
Il venditore di prugne Franco Traverso
Un ragazzo voce bianca Matilda Elia

Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Curatrice delle scene Leila Fteita
Curatrice dei costumi Nicoletta Ceccolini
Bozzetti per la prima assoluta al Regio
custoditi dall’Archivio Storico Ricordi Adolf Hohenstein
Pittore scenografo Rinaldo Rinaldi
Luci Andrea Anfossi
Direttore dell’allestimento Claudia Boasso
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino

Streaming da Torino, 4 febbraio 2021

 

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