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Torino, Cortile di Palazzo Arsenale per il Teatro Regio – La serva padrona

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Dopo L’elisir d’amore e Madama Butterfly, il Regio Opera Festival offre, nel bel Cortile di Palazzo Arsenale, un prezioso diversivo settecentesco dedicato all’opera buffa, iniziando con La serva padrona di Pergolesi, cui seguirà la settimana prossima Pimpinone ovvero le nozze infelici di Telemann nella versione in lingua italiana in prima rappresentazione per Torino. Entrambe appartengono al genere dell’intermezzo e presentano somiglianze nella trama.

La prima delle due, eletta a simbolo di tutti gli intermezzi buffi, fece la sua comparsa in un periodo in cui l’opera seria italiana aveva sclerotizzato le proprie forme belcantistiche. Al contrario di quanto avveniva agli albori del melodramma, quando l’elemento comico non era estraneo all’opera seria, anzi fondeva elementi tragici con quelli più leggeri sul modello del teatro musicale seicentesco veneziano, l’opera buffa cominciò, nel secolo dei lumi, a trovare la strada di un percorso personale e innovativo, che poneva il pubblico dinanzi alla possibilità a riconoscersi in certe situazioni viste sulla scena, ricalcanti il quotidiano.
La serva padrona era destinata a essere uno di questi tanti esempi, se non fosse che a Parigi, quando venne rappresentata nel 1752 (anche se la sua prima assoluta risale al 1733, come intermezzo in due parti da eseguirsi negli intervalli dell’opera seria in tre atti Il prigionier superbo, di Pergolesi stesso), fece scalpore al di là di ogni previsione, dando adito a una delle diatribe più note della storia del melodramma: quella Querelle des Bouffons che divise i sostenitori dell’opera francese di corte con quelli che invece davano maggiore importanza a una tipologia di teatro musicale più popolare di matrice napoletana, portato a Parigi dalle compagnie itineranti.
La serva padrona scatenò attorno a sé, dopo l’esecuzione parigina, un caso e cominciò a dare dignità esecutiva e diffusione a un genere che, fino a quel momento, era destinato – sotto forma di intermezzo appunto – a intrattenere il pubblico fra un atto e l’altro delle opere serie; quindi un diversivo di minore importanza che poco per volta acquisì dignità e indipendenza di genere. Ed anche se La serva padrona di Pergolesi è più vicina ai modi della commedia dell’arte che al patetismo che presto colorerà il futuro dramma giocoso, l’opera assumeva, attraverso le forme del divertimento, un risvolto sociale che oggi, andando al di là della fragile trama a intrigo, aiuta a comprende la forza dirompente che ebbe al tempo in cui nacque, permettendo alla musica di invadere con freschezza e dinamicità il terreno della realtà vissuta in presa diretta col materializzare in musica la spontanea dialogicità insita a questa partitura dai temi facilmente attualizzabili.

La tentazione di “modernizzare” il soggetto non passa tuttavia neanche per l’anticamera del cervello a Mariano Bauduin, regista che ha nel sangue l’opera comica di scuola napoletana grazie ai tanti anni di lavoro passati al fianco di Roberto De Simone e ne individua facilmente l’anima più autentica. Qui coadiuvato per il nuovo allestimento in puro stile settecentesco dal rodatissimo brand made in Regio formato da Claudia Boasso per le scene, da Laura Viglione per i costumi e dalle luci ben meditate di Andrea Anfossi, costruisce uno spettacolo semplice ma godibilissimo, di croccante teatralità.
Il grande palco montato nel Cortile di Palazzo Arsenale viene utilizzato solo nella parte centrale, dove l’azione è racchiusa in un finto teatrino ligneo che sembra uscito da una casa di bambole, con i suoi palchetti affacciati su un sipario che mostra un fastoso interno rococò. L’azione stessa si restringe ancora all’interno del palcoscenico di questo micro teatro con pochi elementi scenici: un letto, un comodino, un separé e una poltrona tappezzati di azzurro e un cavalletto che regge un quadro raffigurante un porporato. Sullo sfondo, dalle fessure dei palchi come dalla stanza, appare un arioso fondale architettonico settecentesco che talvolta pare confondersi con le pareti stesse del bellissimo Cortile dell’Arsenale. In questo scrigno mignon, la regia di Bauduin mette in moto con linearità e chiarezza la vicenda dell’attempato scapolo un po’ bisbetico e della giovane scaltra e maliziosa che riesce a farlo innamorare per divenire da domestica già padrona della casa a moglie. La tipologia fissa e caricaturale dei caratteri, che la regia rimanda vieppiù alle ascendenze dirette con la commedia dell’arte, scivola via con scorrevolezza, con quell’ironia in punta di penna che i cantanti posseggono sulla scena come nella voce, accompagnando l’azione coi gesti e intonando arie sempre legate all’azione con estrema accuratezza, garbo espressivo e fresco spirito attoriale.

Marco Filippo Romano e Francesca Di Sauro, qui rispettivamente Uberto e Serpina, avevano già dato bella mostra di sé, come Don Alfonso e Despina, nel magnifico Così fan tutte di Mozart diretto lo scorso inverno al Teatro Regio da Riccardo Muti. Qui mostrano di possedere tutte le carte vocali e stilistiche in regola per formare una coppia buffa di perfetti protagonisti.
Il primo, vocalmente flessibile e teatralmente ispiratissimo, non perde una sillaba che una, accenta anche i sospiri e recita da consumato attore. Si lamenta con stizzito disappunto, nelle arie “Aspettare e non venire” e “Sempre in contrasti con te si sta”, della supremazia che nella casa ha assunto la propria serva; poi, quando nell’aria “Sono imbrogliato io già” si rende conto di essersi innamorato della donna che è ai suoi comandi ma ha già preso il sopravvento nella casa, la intona come se il sentimento amoroso in lui nascente uscisse da una visione onirica, ben prestatagli da una regia che lo avvolge in una dimensione notturna. La seconda, bella e giovane cantante napoletana in continua ascesa, possiede il sorriso e il guizzo furbo e astuto della serva che sa il fatto suo, sia in “Stizzoso, mio stizzoso”, con le ben note ripetizioni accentate su una serie di monosillabi per dare maggiore rilievo ai rimproveri della servetta rivolti ai continui borbottii del suo padrone, come nell’andamento più galante di “A Serpina penserete” (dove in embrione si percepisce la tinta che sarà propria alla futura commedia per musica di stile larmoyant), intonata con grazia e bel timbro, senza che il canto scada mai in un macchiettismo soubrettistico fine a se stesso, fino al duetto finale, “Per te io ho nel core”, con quei “tippitì” che simulano il battito del core che rende consapevoli i due del sentimento fra di loro nascente. Eccellente pure Pietro Pignatelli, il mimo che incarna la parte di Vespone e che, nella seconda parte, appare spassosissimo nei panni del finto pretendente travestito da Capitan Tempesta. Prima ancora, in questa edizione, viene chiamato a intonare – e lo fa assai bene – le strofe popolari in dialetto napoletano di “Chi disse ca la fémmena sa cchiù de Farfariéllo disse la veretà”, pagina tratta dal secondo atto de Lo frate ‘nnamorato di Pergolesi, posizionata per questa circostanza a far da opportuna cerniera tematica fra una parte e l’altra delle due brevi parti che compongono La serva padrona, eseguita ovviamente senza intervallo.

La stessa direzione di Giulio Laguzzi, attuale direttore musicale di palcoscenico del Regio di Torino, coadiuvata dal mirabile accompagnamento al cembalo di Carlo Caputo, offre un buon ritmo narrativo al fragile e scontato intreccio, donandogli un tappeto sonoro fatto di accompagnamenti ora morbidi, ora fluidi e concreti, sempre nel segno della discrezione e pulizia di tratto musicale.

La serata, dedicata prima dell’inizio dello spettacolo da Sebastian F. Schwarz a Graham Vick, regista appena scomparso, che anche al Teatro Regio regalò spettacoli memorabili (fra i quali i nuovi allestimenti di Simon Boccanegra e de La clemenza di Tito, oltre a riprese di suoi spettacoli di successo, come Mitridate, re di Ponto e Guglielmo Tell di Rossini) è stata accolta con calorosi applausi da un pubblico più numeroso del previsto; forse, a piccoli passi, il pubblico torinese si sta abituando a ritornare all’opera. Gli appuntamenti del Regio Opera Festival sono ancora molti, a partire, la settimana prossima, dal già citato Pimpinone, ovvero le nozze infelici di Telemann.

Torino, Regio Opera Festival
LA SERVA PADRONA
Intermezzo buffo in due parti
Libretto di Gennarantonio Federico
dalla commedia omonima di Jacopo Agnello Nelli
Musica di Giovanni Battista Pergolesi

Uberto Marco Filippo Romano
Serpina Francesca Di Sauro
Vespone Pietro Pignatelli

Orchestra Teatro Regio Torino
Direttore Giulio Laguzzi
Maestro al cembalo Carlo Caputo

Regia Mariano Bauduin
Scene Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Andrea Anfossi
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 17 luglio 2021

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