La programmazione operistica di Rai5 dedicata questa settimana a Mario Martone inizia oggi, lunedì 19 aprile, con Andrea Chénier di Umberto Giordano nell’allestimento firmato dal regista napoletano per l’inaugurazione della stagione 2017/18 del Teatro alla Scala. Protagonisti Yusif Eyvazov, Anna Netrebko, Luca Salsi, Annalisa Stroppa e Mariana Pentcheva. Sul podio Riccardo Chailly. Regia Tv di Patrizia Carmine. Proponiamo qui la recensione di Giancarlo Arnaboldi
Vi sono ruoli nel teatro d’opera che sembrano pretendere interpreti dalle qualità eccezionali. È il caso di Norma, oppure di Carmen e Don Giovanni. A questa regola non sfugge il protagonista di Andrea Chénier, opera di Umberto Giordano che Rai5 ripropone nell’edizione che ha aperto la stagione 2017/2018 del Teatro alla Scala, diretta da Riccardo Chailly e con la regia di Mario Martone. Ruolo tenorile dalla vocalità particolarmente perigliosa che richiede, anzi esige, voci possenti, acuti svettanti, ma anche capacità di modulazione indispensabile per tratteggiare compiutamente il ruolo di questo poeta-rivoluzionario. L’opera di Giordano ebbe il suo battesimo nel 1896 proprio sul palcoscenico scaligero, riscuotendo quel grande successo di pubblico e di critica che non le è mai venuto a mancare nel corso dei decenni. Melodramma a tutto tondo, nel quale i conflitti passionali fra i tre protagonisti dell’opera (Andrea, Maddalena e Gérard) hanno modo di deflagrare con veemenza attraverso una scrittura vocale forse fin troppo epidermica, ma di innegabile fascino e suggestione. Il consueto triangolo amoroso fra soprano, tenore e baritono (nel quale il soprano, ovviamente, ama il tenore, ma viene concupita dal baritono) si innesta sullo sfondo storico della rivoluzione francese, tratteggiata sommariamente, ma non senza efficacia.
Quando si parla di interpreti storici di Andrea Chénier si citano sempre i nomi di Aureliano Pertile, Beniamino Gigli o Franco Corelli. Ovvio, quindi, che le aspettative del pubblico, nei confronti del debutto di Yusif Eyvazov fossero spasmodiche, forse eccessive. Eyvazov non ha certo una voce che si possa paragonare a quella dei grandi cantanti sopra citati, ma per merito della ferrea concertazione del direttore d’orchestra riesce comunque a tratteggiare un protagonista con innegabili frecce al proprio arco. Non è il classico Chénier in grado di catturare l’ammirazione del pubblico in virtù di acuti balenanti e fraseggio scultoreo, ma piuttosto un giovane uomo capace di sciogliere i propri versi con una certa affabilità, nonostante il timbro piuttosto ingrato. Più in linea con la tradizione esecutiva di questo melodramma, la Maddalena di Coigny di Anna Netrebko e il Gérard di Luca Salsi. Netrebko, un poco a disagio all’inizio dell’opera quando deve rendere con credibilità la civetterie e le svenevolezze della protagonista, prende quota successivamente, cantando con molto pathos la celebre aria “La mamma morta”. Allo stesso modo Luca Salsi riesce a convincere nei suoi monologhi, tratteggiando un Gérard feroce, ma anche nobile. Fra le parti di fianco, ricordiamo la Bersi di Annalisa Stroppa, convincente sia sotto il profilo vocale che attoriale, e le buone prove di Judit Kutasi nei panni di Madelon e di Mariana Pentcheva come Contessa.
Vero trionfatore della produzione è Riccardo Chailly, che imprime alla partitura un passo teatralmente vitale, delineando splendidamente il Settecento tutto di maniera del primo quadro per poi dipingere con voluttà il grande affresco storico, rivoluzionario e passionale dei quadri seguenti. In sintonia con la sua direzione la regia di Mario Martone, rispettosa del dettato musicale, felicemente tradizionale, basata fondamentalmente su una pedana rotante che permette al pubblico di “entrare” negli spazi (psicologici, oltre che realistici) che definiscono la vicenda. Evocando a tratti una specie di carillon tanto diabolico, quanto impressionante.
Photo credit: Brescia e Amisano