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Su Rai5, dall’Arena di Verona, il Don Giovanni di Mozart firmato da Franco Zeffirelli

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Giovedì 19 agosto, alle ore 10, va in onda su Rai5 il discusso Don Giovanni allestito da Franco Zeffirelli e andato in scena all’Arena di Verona nel quadro del Festival lirico 2015. Un’edizione che già al debutto, nel 2012, non aveva del tutto convinto. Intanto perché il capolavoro di Mozart e Da Ponte non è di per sé l’ideale per un palcoscenico immenso come quello areniano. In più, lo spettacolo di Zeffirelli aveva un limite di fondo: le interminabili pause imposte dai frequenti cambi di scena che, nell’alternanza continua dei quadri, finivano per allentare la tensione e il ritmo della rappresentazione. Fermi restando pregi e limiti di quel debutto, va detto che in occasione della ripresa di tre anni dopo le interruzioni sono state ridimensionate a una durata più accettabile, e la messinscena ne ha senz’altro guadagnato. Anche il pubblico ha applaudito con più convinzione la rassicurante e tradizionale atmosfera sivigliana di questa produzione.

Si tratta di un Don Giovanni sfarzoso e sgargiante, curato con il gusto dei dettagli e delle minute notazioni realistiche. Il colpo d’occhio è assicurato. L’impianto scenico riproduce un giardino dominato dalla facciata di un monumentale palazzo settecentesco, dove colonne, scale e decorazioni si intrecciano in molteplici prospettive. Appena la situazione lo consente, i diversi quadri si animano di comparse, cavalli, carri, di elementi scenici oleografici cui si aggiungono i costumi pittoreschi di Maurizio Millenotti. A tratti sembra di stare di fronte a un bellissimo presepe vivente stile rococò. Come in altri spettacoli di Zeffirelli, le situazioni dell’opera e gli stati emotivi dei personaggi vengono tradotti nei termini di una spettacolarità patinata, che antepone i singoli effetti all’articolazione concettuale dell’insieme. Vero è che la scena non è sempre affollata. I personaggi si trovano spesso ad agire isolati. Nel finale, per esempio, lo spazio scenico si ispira al cimitero di Vienna, con statue e tombe monumentali che intendono trasmettere un senso di paurosa solitudine. L’inferno di Don Giovanni, sembra suggerire Zeffirelli, non è altro che abbandono e assenza di Dio. Anche se la regia punta più a una esteriore rappresentazione di caratteri e psicologie che alla sottolineatura di conflitti morali di universale risonanza, è indubbio che questa dialettica scenica tra pieni e vuoti, tra coralità e isolamento ha una sua logica e un suo senso.

A rendere più tesa e avvincente questa edizione, contribuisce la direzione di Stefano Montanari. Personalmente non mi convince l’utilizzo nei recitativi di una tastiera elettronica camuffata da fortepiano, ma che le scelte di questo direttore siano a volte al limite dell’eccentricità è risaputo. Va anche detto, però, che Montanari ha una grande qualità: non annoia mai, riesce a far percepire la presenza dell’orchestra come un’entità sempre vitale e comunicativa. Qualche sparsa bizzarria, poi, non inficia la resa stilistica nel suo complesso. Anche in questo Don Giovanni veronese sentiamo un’orchestra incalzante, ricca di contrasti dinamici e di tempo, capace di dominare l’arco evolutivo della partitura e di costruire il discorso drammatico all’interno dei canoni dell’opera buffa. Sempre attento ai particolari, Montanari coniuga inoltre la tensione degli insiemi e delle pagine più concitate con l’apertura a momenti introspettivi e fraseggi liricamente distesi.

Nei panni del libertino e del suo servitore, si fanno valere due specialisti dei rispettivi ruoli. Carlos Álvarez è un Don Giovanni poco sfumato e dalla personalità interpretativa non particolarmente originale, ma esprime con adeguata credibilità vocale e scenica il vitalismo del grande dissoluto. Quanto ad Alex Esposito, si conferma padrone come pochi del personaggio di Leporello: niente da dire su tenuta vocale, varietà di fraseggio, disinvoltura scenica. Qua e là, tuttavia, eccede calcando l’accento in modo un po’ troppo forzato e rabbioso. Don Ottavio è Saimir Pirgu, stilisticamente in regola e vocalmente corretto, tolta qualche discontinuità soprattutto nel primo atto. Si difende decorosamente anche nelle agilità della sua seconda aria.
Tra le voci femminili, l’unica a convincere è Irina Lungu che, al suo debutto nel ruolo di Donna Anna, si dimostra adeguata per colore timbrico, temperamento, qualità del fraseggio. Aspra nel timbro e discontinua nell’emissione, in particolare nella vocalizzazione di “Mi tradì quell’alma ingrata”, risulta invece Maria José Siri (che, per inciso, sosteneva il ruolo di Donna Elvira pochi giorni dopo aver cantato, sempre in Arena, quello di Aida). Modesta la coppia popolana: se Christan Senn delinea un Masetto generico, Natalia Roman è una Zerlina vocalmente stimbrata e disomogenea. Di buon impatto, pur con acuti non sempre timbrati, il Commendatore di Rafal Siwek.

Photo: Ennevi

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