Questa sera mercoledì 31 marzo, alle 21.15, va in onda su Rai5 lo Stabat Mater di Gioachino Rossini diretto da Myung Whun Chung, Il concerto, registrato lo scorso 5 marzo al Teatro alla Scala, vede il Coro diretto da Bruno Casoni dislocato nei palchi del teatro. In platea, distanziati, l’orchestra e i solisti Rosa Feola, Veronica Simeoni, René Barbera e Alex Esposito. Il programma è completato dalla Sinfonia Hob. 44 Trauer-symphonie scritta da Franz Joseph Haydn. Riproponiamo qui la recensione di Giancarlo Arnaboldi
È un faticoso tentativo di ritorno alla normalità il concerto diretto venerdì 5 marzo da Myung–Whun Chung al Teatro alla Scala: divisori in plexiglas per l’orchestra, coro distribuito nei palchi e rigorosamente mascherato, solisti posti a distanza siderale dal direttore d’orchestra. Eppure, nonostante gli oggettivi impedimenti, l’esecuzione si è rivelata intensa e pregevole seppur con alcuni necessari distinguo. Sui leggii la struggente Sinfonia funebre di Franz Joseph Haydn e il meraviglioso Stabat Mater di Gioachino Rossini. Se la sinfonia di Haydn, completata nel 1772, segna un ponte fra il più luminoso stile classico e i primi fremiti del Romanticismo, lo Stabat Mater rossiniano sigla l’ultimissimo periodo creativo del grande pesarese, dopo oltre dieci anni di silenzio compositivo.
Eseguendo Haydn, fin dall’attacco del primo movimento Myung-Whun Chung sottolinea la temperie febbricitante e davvero Sturm und Drang della composizione. Chiamata Funebre in virtù del suo terzo movimento (Adagio), che Haydn stesso avrebbe voluto venisse suonato al suo funerale, la celebre sinfonia trova nel direttore coreano un interprete attento a sottolinearne i diversi trapassi di clima, dal serissimo Minuetto inaspettatamente collocato in seconda posizione al celeberrimo Adagio già mozartianamente ineffabile, eseguito con dolcezza quasi estenuata, per poi tornare a un Finale che scarica fulmineo tutta l’energia fino allora accumulata.
Meno paradigmatica, forse, l’esecuzione dello Stabat Mater di Rossini. Il problema posto ai direttori d’orchestra che si accingano a dirigere la composita partitura (completata in anni e momenti esistenziali del compositore ben differenti fra loro, fra il 1831 e il 1842) è quello di trovare un equilibrio fra le pagine schiettamente “sacre” e quelle più palesemente “operistiche”. Generalizzando possiamo affermare che i direttori che vogliono evidenziare il lato più sacrale del testo attribuito a Jacopone da Todi, come Carlo Maria Giulini e Ferenc Fricsay, prediligono tempi generalmente più rilassati e meno “esplosivi” di alcuni loro colleghi. Chung si pone in una collocazione intermedia, non affretta il passo al tenore nel celebre “Cujus animam”, che d’altronde è un Allegretto maestoso, ma non rinuncia allo stacco fin troppo vivace del Quartetto “Sancta Mater, istud agas”, certamente il momento più mondano dell’intera partitura.
Anche i solisti a sua disposizione procedono a fasi alterne. Il soprano Rosa Feola canta splendidamente, sa dare il giusto rilievo a ogni frase e a ogni respiro del sacro testo, e risolve in souplesse la sua difficilissima aria “Inflammatus et accensus”. Canterebbe benissimo anche il duetto “Quis est homo” se la fin troppo sopranile voce del nominale mezzosoprano Veronica Simeoni non ne vanificasse l’efficacia per l’insufficiente differenziazione timbrica con lei. Il basso Alex Esposito alterna giustamente enfasi a patetismo nella sua aria “Pro peccatis suae gentis”. Nel suo caso non sentiamo certo il basso echeggiare con ieraticità, ma l’interprete è molto corretto, attento al significato di ogni frase, convincente. Il ruolo tenorile, affidato all’americano René Barbera, solleva qualche dubbio. Nel suo caso l’adesione al testo latino è insufficiente e il fraseggio appare generico, ma la voce è limpida e la fatidica salita al re bemolle nella sua Aria è facile e squillante e non lacera certo le orecchie come a volte capita. I due momenti corali a cappella, palese omaggio rossiniano a Palestrina, vengono delibati dal direttore con grande afflato patetico. Chung sceglie di affidare il quartetto “Quando corpus morietur” all’intero coro e non solo ai quattro solisti, come invece sarebbe auspicabile. L’esecuzione della compagine scaligera, istruita da Bruno Casoni, è però commovente nonostante le mascherine e il distanziamento, così come il glorioso Amen finale, eseguito in modo talmente vibrante da apparire quasi “verdiano”.
Teatro alla Scala – Stagione sinfonica
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n. 44 in mi min. “Trauer-Symphonie” Hob. I/44
Gioachino Rossini
Stabat Mater per soli, coro e orchestra
Soprano Rosa Feola
Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore René Barbera
Basso Alex Esposito
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del coro Bruno Casoni
Milano, 5 marzo 2021