Dopo la proposta dell’oratorio Juditha triumphans della scorsa settimana, domani sabato 13 febbraio, alle ore 8.00 e alle ore 18.50, va in onda su Rai5 la seconda produzione vivaldiana del Festival Vicenza in Lirica 2020: L’Olimpiade, andata in scena lo scorso settembre al Teatro Olimpico. L’opera composta da Antonio Vivaldi su libretto di Metastasio è diretta da Francesco Erle, alla guida dell’ensemble barocco del Festival Vicenza in Lirica, mentre la regia è firmata da Bepi Morassi con la collaborazione di Laura Pigozzo. Sul palcoscenico dell’Olimpico sette giovani artisti che hanno debuttato nelle rispettive parti dopo un percorso formativo di Opera Studio svoltosi anch’esso a Vicenza. Proponiamo qui la recensione di Roberto Mori riferita alla recita dell’8 settembre 2020.
Il vivo successo ottenuto anche dal secondo titolo vivaldiano di Vicenza in Lirica 2020, L’Olimpiade, eseguita al Teatro Olimpico senza intervallo e con qualche taglio per contenere la durata entro le due ore e un quarto, dimostra che per il pubblico ormai non è più un problema una drammaturgia fondata sull’aria. Certi pregiudizi, del resto, non hanno più senso. Nell’opera del Settecento non esisteva il concetto di drammaturgia coerente e unitaria: interessava l’effetto teatrale ottenuto per bagliori intuitivi, aria per aria, grazie a una enfatizzazione della parola e alla pirotecnica delle colorature. In questo modo procede anche L’Olimpiade, tarda opera vivaldiana composta su un celebrato, magnifico libretto di Metastasio, rappresentata per la prima volta al Teatro Sant’Angelo di Venezia nel 1734 e riesumata nel 1939 dall’Accademia Chigiana di Siena. Il Prete rosso asseconda il susseguirsi degli affetti e l’evoluzione delle reazioni di due coppie di amanti, sullo sfondo pastorale di una arcadica età dell’oro, attraverso recitativi sensibili ai cambiamenti psicologici e arie di straordinaria inventiva melodica.
Alla guida di un parterre strumentale pure in questo caso abbastanza ridotto, ritroviamo Francesco Erle, come sempre impegnato anche al cembalo. Il direttore ricava comunque dall’Ensamble Barocco del Festival un ampio ventaglio di tinte. Al di là dei mezzi a disposizione, tiene infatti ben presente un principio estetico basilare in Vivaldi: il senso del chiaroscuro ottenuto attraverso la messa a punto di contrasti timbrici, dinamici e agogici. La sua lettura risulta inoltre duttile e disposta a farsi indirizzare dal respiro del canto e, pertanto, a considerare il tessuto orchestrale molto più di un semplice accompagnamento. Erle, insomma, dimostra di avere piena consapevolezza del ruolo preponderante che la voce detiene nel melodramma del Settecento, dove la melodia applicata alla poesia è l’unità di misura unica per cogliere il fraseggio più esatto e naturale.
Pur con qualche comprensibile distinguo sul piano del rendimento vocale, la giovane compagnia di canto – selezionata con apposite audizioni e preparata da Sara Mingardo nello studio dei recitativi – ha tutte le carte il regola sotto il profilo stilistico. Si distinguono Emma Alessi Innocenti, che tratteggia il ruolo di Megacle con timbro sopranile gradevole e accurata linea di canto, e Patrizio La Placa nei panni di Clistene, voce di baritono risonante, piacevole e bene impostata, a suo agio anche nelle agilità. Interessante come Licida il controtenore Sandro Rossi, che emerge soprattutto nella morbida dolcezza dell’aria “Mentre dormi amor fomenti”. Convincenti i contributi del mezzosoprano Daniela Salvo, una Aristea espressiva e di bel timbro, e soprattutto di Francesca Lione, ottima Argene per correttezza vocale, agilità, fraseggio. Meno persuasivo l’Alcandro del basso Elcin Huseynov per la tendenza a sbiancare le emissioni in acuto. E decisamente fuori ruolo Maddalena De Biasi, voce garbata ma da riascoltare in altre parti, troppo chiara ed esile per quella di Aminta, cui è peraltro affidata l’aria più famosa dell’opera: “Siam navi all’onde algenti”.
L’allestimento, in questo caso, doveva tener conto non solo dei distanziamenti imposti dalle misure anti-Covid, ma anche delle limitazioni connesse alla superba, intoccabile frons scenae dello Scamozzi. Nel contesto aulico dell’Olimpico, Bepi Morassi (assistito da Laura Pigozzo) gioca quindi la carta dell’ironia e dell’attualizzazione attingendo all’idea – per la verità non nuova – delle opere d’arte di un museo che di notte prendono vita sotto gli occhi esterrefatti di due custodi (gli attori Luca Rossi e Francesco Motta), che a loro volta finiscono per essere coinvolti nell’azione. L’intreccio tra il piano della contemporaneità, con le controscene dei guardiani, e quello storico dei personaggi di Metastasio e Vivaldi viene gestito con garbo e misura, così come risulta ben calibrato il mix di realismo e stilizzazione impresso alla recitazione. Decisivi alla buona riuscita dello spettacolo la contaminazione fra classicità e gusto settecentesco dei bei costumi di Carlos Tieppo e il disegno luci di Andrea Grussu.