Su Rai 5, il Rigoletto areniano con Leo Nucci e la direzione di Marcello Viotti

Il Rigoletto andato in scena all’Arena di Verona nel 2001 e riproposto da Rai5 lunedì 12 luglio, alle ore 10, viene ricordato per un successo di pubblico addirittura clamoroso. E poco importa che si tratti di un’opera intima, concisa, scavata nella complessità psicologica del protagonista, o che l’allestimento (firmato nella fattispecie da Charles Roubaud) sia volutamente povero e disadorno. Per il turista-melomane contano anche quelle componenti spettacolari che, sotto il profilo musicale, sono offerte dalla valvola di sfogo delle arie celebri, dei duetti travolgenti e delle grandi invettive.

Ecco allora i bis a furor di popolo di “Sì, vendetta” e “La donna è mobile”. Ecco le acclamazioni per i cantanti e, in particolare, per Leo Nucci. Il suo Rigoletto viene qui fotografato in un momento che vede il grande baritono non solo all’apice della forma ma anche meno incline alla platealità rispetto ad altre occasioni. Nucci ricorre qua e là a qualche puntatura di tradizione, ma non gigioneggia quasi mai. È personaggio a tutto tondo, di impressionante spessore teatrale. Si difendono bene anche Inva Mula, Gilda angelicata dall’apprezzabile spessore lirico, e Aquiles Machado, Duca di timbro gradevole e fraseggio accurato, solo un poco forzato e aperto negli acuti. Meno convincenti i bassi Mario Luperi (Sparafucile) e Giuseppe Riva (Monterone), disomogenea la Maddalena di Sarah M’Punga. Tutti però si inseriscono in un disegno interpretativo coerente e unitario. La direzione del compianto Marcello Viotti si dimostra in effetti molto attenta al fraseggio vocale e alle esigenze del palcoscenico. Ha un’impronta elegante, quasi cameristica, interessata a restituire lo strumentale ripulito in molti dettagli. Mai a scapito della teatralità.

Spettacolo di grande sobrietà, come accennato. Un palazzo dipinto, a forma di cilindro ruotante, occupa il centro della scena, scoprendo via via una serie di cubi e parallelepipedi che definiscono in forma astratta – spesso straniante – i diversi ambienti. In questo clima rinascimentale e padano fin troppo indefinito, la regia di Charles Roubaud si muove con una logica teatrale tutta sua, fra mascheramenti, simbolismi e sparsi tocchi surreali che forse funzionerebbero di più in uno spazio chiuso. Efficaci e suggestive, soprattutto nell’evocazione del temporale nel terzo atto, le proiezioni sugli spalti areniani. Stucchevoli, viceversa, le danze del primo atto ideate da Alphonse Poulin. [Rating:3.5/5]