Rossini. The art of virtuoso baritone – Giorgio Caoduro, baritono (Glossa CD)
Il nuovo album di Giorgio Caoduro invita a riflettere sulla vocalità rossiniana applicata alla voce di basso, o per meglio dire di basso-baritono, legata a cantanti leggendari, come Filippo Galli, per i quali certe parti furono scritte. In realtà il titolo stesso del cd, The art of virtuoso baritone, porta a fare considerazioni su come la voce grave era utilizzata al tempo di Rossini, quando venivano chiamati bassi anche quelle voci che, per estensione e tessitura, potevano considerarsi a tutti gli effetti baritoni. Al tempo di Rossini, la voce di baritono nell’accezione odierna ancora non esisteva. Capitava così che parti come quella di Dandini nella Cenerentola fossero definite di basso. Il basso rossiniano dell’opera seria e semiseria, o quello dell’opera buffa, era una voce che giocava su tessiture tendenzialmente acute; doveva quindi possedere grande perizia nel canto di coloratura, flessibilità e, pur conservando una timbratura grave, si avvicinava alla corda baritonale, o come si userà dire nel corso dell’Ottocento, di basso cantante. Ecco perché Caoduro, riferendosi al “baritono virtuoso”, fa appello a una specifica categoria vocale rossiniana che copriva un arco di parti che spaziavano dall’opera seria a quella comica, fino alle opere del periodo parigino in cui Rossini impiegò voci che, oltre alla imprescindibile capacità di utilizzare coloratura e virtuosismo, venivano definite alla francese “baryton-bass”.
Il cd raccoglie alcune pagine da opere che videro Filippo Galli come primo interprete. Si passa dall’aria del perfido Duca d’Orlow, “Oh qual voce d’intorno rimbomba”, da Torvaldo e Dorliska, a quella di Fernando, “Accusata di furto”, da La gazza ladra e di Batone, “Una voce m’ha colpito”, da L’inganno felice, tratte da opere semiserie, fino alla grande scena di Assur da Semiramide. Il repertorio comico vede il baritono di Monfalcone impegnato nella sortita di Dandini da La Cenerentola, “Come un’ape ne’ giorni d’aprile”, e nel duetto “Un segreto d’importanza”, cantato assieme a Fabio Maria Capitanucci nei panni di Don Magnifico, poi dalla stessa opera esegue la grande scena di Alidoro, “Là del ciel nell’arcano profondo”, tipico esempio di aria per voce grave dalla tessitura acuta, fra le più impervie del repertorio rossiniano. Si ascolta, sempre in ambito comico, l’aria di Gaudenzio “Nel teatro del gran mondo” da Il signor Bruschino. Quando Rossini compose per Parigi, il suo “baritono virtuoso” fu Henri-Bernard Dabadie, per il quale vennero composte le parti di Pharaon dal Moïse et Pharaon, Raimbaud da Le Comte Ory e, soprattutto, il ruolo del titolo da Guillaume Tell, quello che, più di tutti, abbondonata la coloratura, guarda a una vocalità già romanticamente intesa e impegna la voce grave in un tessitura baritonale, anche se connotata da screziature brunite che, non a caso, hanno spinto anche alcuni bassi cantanti di oggi, come Michele Pertusi, ad affrontarla. Da Guillaume Tell Caoduro esegue l’assolo “Sois immobile”. Chiude il cd l’aria da concerto “Alle voci della gloria”.
A ben osservare il programma, sembra che Caoduro voglia mischiare le carte in tavola, avvicinando le più diverse vocalità, presentandosi come voce assoluta, capace di coprire tipologie e corde vocali diverse, passando dal basso al baritono e viceversa, senza porsi limiti. Fa bene a farlo alla luce di quanto sopra esposto. Ci fa meditare su quanto vasta sia la gamma di possibilità che Rossini dona alla voce grave, che sia essa definibile di basso o, secondo la terminologia odierna, di baritono, chiedendo di fraseggiare su tessiture acute senza far perdere la timbratura virile e i colori tipici delle voci scure. Sarebbe stato interessante se Caoduro avesse provato ad andare oltre, spingendosi anche in ruoli come Mustafà e Selim pensati per Filippo Galli e che Rodolfo Celletti definì di “buffo nobile” per distinguerli da quelli di “buffo caricato”, come Taddeo, Don Geronio o Don Magnifico. Così come all’appello manca Figaro dal Barbiere di Siviglia, parte in cui Caoduro eccelle e che, fra tutti, è quello più vicino all’idea di baritono comunemente intesa a Ottocento inoltrato. Il percorso scelto, tuttavia, è già più che sufficiente come esemplificazione della vocalità rossiniana affidata a voci gravi, oltre a offrire il meglio delle possibilità di Caoduro, diretto con sensibilità e cura nei tempi, fluidi e talvolta anche zampillanti, da Jacopo Brusa alla testa dei Virtuosi Brunenses e del Brno Janáček Chorus diretto da Pavel Koňárek. Uno stuolo di cantanti lo aiutano a rendere complete tutte le scene eseguite; così fanno il soprano Anna Viola, il mezzosoprano Cecilia Bernini, il tenore Alessandro Cortello e, soprattutto, Fabio Maria Capitanucci, eccellente Don Magnifico per il duetto da La Cenerentola.
Giorgio Caoduro possiede una voce omogenea su tutta la gamma e stupisce come la sua carriera, seppur memore dell’abilità nel muoversi nell’ambito della coloratura, si sia orientata nel tempo verso altri repertori, passando da Mozart a Donizetti, fino a toccare, negli ultimi anni, anche importanti ruoli baritonali verdiani. La sua vocalità è quella giusta per le pagine qui affrontate, così come sarebbe ideale per certe parti del repertorio händeliano (ricordo una sua bellissima esecuzione dell’aria “Sibilar gli angui d’Aletto” da Rinaldo). Certo, il paragone non voglia essere svilente, gli manca la timbratura di un Samuel Ramey quando affronta la scena del delirio di Assur, ma quel filo di argento che attraversa la sua voce, la musicalità, lo stile, la dizione perfetta e il fraseggio accuratissimo, fin nei sospiri, lo vedono sempre vincente. È un cantare, il suo, chiaro, netto, incisivo, soprattutto nelle agilità, che vengono scandite con nervosa nettezza, rapide, leggere, martellanti. Ricordo, come fosse ieri, il suo magnifico Dandini all’Opéra di Nizza, alcuni anni fa, dinamico, spiritoso oltre che scenicamente aitante. Ritrovo, nell’incisione di “Come un’ape ne’ giorni d’aprile”, la medesima bravura nella ricerca della parola in funzione teatrale e la capacità di espandersi in acuto senza sfilacciare i suoni, donando loro quel pizzico di esuberanza che, inutile negarlo, fanno pensare a lui come a un baritono lirico più che a un basso. Così avviene nelle pagine più nobili (vedasi quella di Assur), o proterve (quella del malvagio Duca d’Ordow), dove la ricerca dello sfogo in acuto non sacrifica comunque la capacità che questo bravissimo cantante mostra nel donare, nel canto sillabico come in quello legato, bella espansione a centri sempre fermi, attraversati da una luminosità che dona al suo canto un sapore antico.
La sua bravura, davvero ragguardevole, va individuata nel non cercare un colore grave che la sua voce non possiede, mantenendo piuttosto l’emissione sempre rotonda e sul fiato, sfruttando al meglio le cavità di risonanza di una voce che appare eloquente, anche in una scena come quella di Assur, in virtù dell’accento. Così appare nel recitativo, davvero miniato, e nell’abilità con la quale lega i suoni dell’aria “Deh! Ti ferma, ti placa, perdona”, intonata tutta a mezza voce, dando l’immagine, come è giusto che sia, del delirio allucinato di Assur dinanzi all’ombra di Nino che lo perseguita, garantendo fluidità all’emissione e il giusto clima che caratterizza il momento drammaturgico di un delirio. Le agilità della cabaletta ci sono tutte e, nel da capo, le variazioni sono anche ardite, con gruppetti di note eseguite con fulminea rapidità. Così appaiono le colorature saettanti, staccate legate, nella cabaletta dell’aria di Gaudenzio e in quella di Batone, che fanno pensare a un approccio al canto di agilità vorticosamente moderno, carico di fibrillazione, come se le note uscissero impazzite da un frullatore al quale è stato tolto il coperchio. Unico neo, se così si può dire, “Sois immobile”, cantato correttamente, ma perfettibile nei colori capaci di donare alla pagina l’autentica carica emozionale e la commozione che le compete; quella consapevolezza, più interpretativa che vocale, tale da donarle, attraverso una declamazione più tornita, l’anima espressiva, che è poi quella di un patriota, Guglielmo Tell, che resta comunque un padre in atto di chiedere aiuto a Dio perché lo guidi nello sferrare il fatale colpo di balestra dal quale dipende la vita del proprio figliolo. Molto dotte le note di copertina stese da Damien Colas e ottima la qualità della registrazione. [Rating:4/5]
Gioachino Rossini
THE ART OF VIRTUOSO BARITONE
Giorgio Caoduro, baritono
Anna Viola, soprano
Cecilia Bernini, mezzosoprano
Alessandro Cortello, tenore
Fabio Maria Capitanucci, baritono
Jacopo Brusa, direttore
Virtuosi Brunenses
Brno Janáček Chorus
Pavel Koňárek, direttore del Coro
Etichetta: Glossa
Formato: CD
Registrazione effettuata nel Tonstudio Ranchman
in Dolní Bojanovice (Repubblica Ceca)
dal 2 al 4 febbraio 2019