Si intitola Rebirth l’ultimo CD di Sonya Yoncheva, in uscita per Sony Classical il 12 marzo. Connessi all’Opera ha ascoltato la registrazione in anteprima. Accompagnato dall’ensemble di strumenti originali Cappella Mediterranea, diretto dall’amico e compagno di studi Leonardo García Alarcón, il soprano bulgaro propone un viaggio musicale dal tardo ‘500 ai giorni nostri, con pagine di Claudio Monteverdi, Francesco Cavalli, Barbara Strozzi, John Dowland, Alessandro Stradella, Orlando Gibbons fino a giungere agli ABBA, rivisitati in chiave antica. Il programma dell’album è stato presentato lo scorso agosto al Festival estivo di Salisburgo in un concerto evento dal nome Renaissance, un concept che verrà replicato in una tournée europea che prenderà avvio il 6 aprile a Sofia per poi toccare altre città, tra cui Barcellona, Bruxelles e Ginevra.
Il manifesto di questo progetto discografico, tenuto in cantiere per circa 10 anni e realizzatosi solo nel 2020 – proprio durante la prima ondata della pandemia di Covid-19 – è quello di una auspicata rinascita creativa e umanistica, il cui fattore scatenante è proprio il lungo periodo di silenzio e inattività che ha caratterizzato la pandemia ancora in corso. Non solo, l’intento di Yoncheva è dimostrare la bellezza senza tempo della musica del ‘500-‘600, sempre attuale grazie ad un mix irresistibile di emozione, bellezza e semplicità. Non dice il falso Yoncheva, dal momento che negli ultimi 10/15 anni un numero crescente di giovani si è avvicinato proprio a questa musica, una volta di nicchia e ora più popolare. Non si tratta certo del primo esperimento discografico che si propone di dimostrare la modernità di una certa produzione musicale del passato (si pensi alle contaminazioni musicali tra moderno e barocco proposte negli anni da L’Arpeggiata – esperimento che in questo caso si limita ad una singola traccia ovvero la versione rimaneggiata degli ABBA), né tantomeno si tratta di un vero rinnovamento creativo da parte di Yoncheva, che nel repertorio sei-settecentesco ha mosso i primi passi di carriera. Piuttosto, si può parlare di un ritorno alle origini per la cantante, che si riappropria di una dimensione intimistica dopo numerosi ruoli anche abbastanza pesanti per le caratteristiche del suo strumento.
Certo, si rimane disorientati dai continui salti di repertorio di Yoncheva, tra verismo e barocco, in alcuni casi ai limiti delle proprie possibilità. Ma si sa che alla cantante piace essere imprevedibile, mischiare di continuo le carte e stupire il suo pubblico in nome di una tanto ricercata versatilità. Non è questa la sede giusta per analizzare il percorso di carriera dell’artista e l’opportunità di alcune scelte, ma in questo repertorio di musica antica e barocca, che l’ha vista debuttante, il soprano si trova a suo agio in quanto la dimensione intima, contemplativa ed emozionale ben si addice a una voce che si apprezza soprattutto negli abbandoni estatici, o nei momenti dolci e sensuali. La registrazione mette in evidenza altri pregi come il legato, l’emissione morbida e fluida, oltre alla lunghezza di alcuni fiati su cui fluttuano suoni eterei, argentei e sensuali. La voce dà il suo meglio al centro, mentre in acuto si denota una minore rotondità che va di pari passo con un minore controllo del vibrato. Indubbiamente in ogni pezzo il soprano riesce a creare un’atmosfera che non lascia l’ascoltatore indifferente e in tal senso Yoncheva riesce a fornire unità a quello che altrimenti potrebbe essere un vero e proprio potpourri. Al contempo però, nel viaggio tematico singolare che crea una sorta di ponte musicale tra due epoche lontane, il rischio di omologazione stilistica è dietro l’angolo. Nell’intento di dimostrare l’attualità della musica in programma e sottolineare il carattere intimistico di molte delle arie prescelte, si giunge a volte a una certa uniformità interpretativa, che non consente sempre di apprezzare le differenze stilistiche tra i vari autori. Fa eccezione Monteverdi, con cui Yoncheva dimostra di avere una visione teatrale precisa.
L’incisione si apre con “Queste lagrime e sospiri” dall’oratorio San Giovanni Battista di Alessandro Stradella (1639-1682,) dove Yoncheva esordisce con lunghi fiati e suoni deliziosamente ovattati e sospesi per poi sviluppare il brano in acuto in maniera coloristica ed espressiva. Si passa al Xerse di Francesco Cavalli (1602-1643) con “Luci mie, voi che miraste”, dal carattere tormentato e sofferente: se il fraseggio e le sfumature sono convincenti, l’eccessivo vibrato in acuto inficia la resa musicale del brano. Due le arie di Claudio Monteverdi (1567-1643), “Sapre la tomba” da Voglia di vita uscir e “Oblivion Soave”, aria di Arnalta da L’incoronazione di Poppea: nella prima la cantante raggiunge un bell’equilibrio tra musica e testo, mentre la seconda pagina vede il soprano invitare Poppea al sonno con un canto dolce e rassicurante (vedere come porge la frase “Poppea, rimanti in pace”), concludendo con una lunga messa di voce intonata sulla parola “dormite” che rende con efficacia il soave riposo. Il brano “L’Eraclito amoroso” di Barbara Strozzi (1619-1677) nella prima parte non mostra quella varietà di sfumature e cura del dettaglio che questa musica richiede (si prenda ad esempio la versione di Roberta Mameli con Luca Pianca per Alpha Classics), mentre al contrario le dinamiche a fine brano sono molto ben curate.
In questo viaggio nel barocco europeo non può mancare la componente ispanica, qui presente con il brano “Ojos, pues me desdenáis” di José Marin (1619-1699), eseguita con trasporto interpretativo. Sullo stesso filone ma ancora più ispanico nelle sonorità e nella componente ritmica, è “No hay que decirle el primor” di Tomás de Torrejón y Velazco (1644-1728) che vede Yoncheva tirare fuori la sua parte più sanguigna e passionale, un piacevole intermezzo in un programma dove abbondano le arie lente. Presenti anche due classici della musica antica inglese: “Come again, sweet love doth now invite” di John Dowland (1563-1626) – brano ripreso in passato anche da Sting – e “The Silver Swan” di Orlando Gibbons (1583-1625), un madrigale a 5 voci qui trasposto per voce sola. Se si lascia da parte per un momento l’inglese spiccatamente accentato, il canto è sicuramente espressivo e musicale, mentre il brano di Gibbons perde il fascino della versione polifonica. Meno noto invece il brano “Hear me, O God”, dell’inglese di origini italiane Alfonso Ferrabosco II (1575-1628), cantato con abbandono spirituale, anche se la purezza di una preghiera richiederebbe meno vibrato, mentre il parlato declamato nella sezione centrale risulta un po’ caricaturale invece che solenne, a causa della durezza della dizione. Ha fatto benissimo invece Yoncheva a inserire un brano della tradizione popolare bulgara dal titolo “Zableyalo mi agance”, di anonimo: neanche a farlo apposta è forse il brano più interessante della registrazione. Trattasi di un lamento stile cantilena dalle contaminazioni orientaleggianti: il soprano bulgaro qua è veramente a casa e il trasporto interpretativo appare onesto e convincente con lunghi vocalizzi melismatici sospesi e scoperti su una base strumentale minima e dai toni misteriosi e malinconici. La resa musicale è veramente eccellente e sembra evocare una voce che riecheggia tra le sabbie del deserto. Nel programma anche un’aria (“Y a tus plantas Nisea”) composta dal direttore Leonardo García Alarcón, cha ha curato in passato la ricostruzione musicale del terzo atto mancante di El Prometeo, opera del cantante-compositore Antonio Draghi (1634-1700): Yoncheva canta con grazia e lirico abbandono.
Si è parlato di crossover stilistico in precedenza; ecco che si conclude la registrazione con una versione baroccheggiante/antica di “Like an Angel Passing through my room” degli ABBA. Non è la prima volta che le canzoni del complesso pop svedese vengono scelte, sia per esperimenti barocchi (si pensi all’ironica trasposizione barrocamente kitsch di “Gimme!Gimme!Gimme!” nella tournee Rival Queens del 2014 con Simone Kermes e Vivica Genaux) che da cantanti d’opera prestate alla musica leggera (si ascoltino a riguardo le deliziose cover incise da Anne Sofie von Otter). Yoncheva rimane nei confini del buon gusto e detta un tono in linea con il resto dell’incisione, producendo dei bei suoni dai toni argentei e sottolineando con dolcezza il testo della canzone.
Cappella Mediterranea fornisce un ottimo supporto a Yoncheva creando un’ideale base strumentale per gli abbandoni sofferenti e malinconici della cantante. Grazie a musicisti di pregio (sia tra i fiati che gli strumenti a corde), eccelle poi nei pezzi strumentali, in particolare nei brani di musica barocca spagnola o di musica latina. Si prenda ad esempio la ritmata “Tarantela española” di Santiago de Murcia (1673-1739) o “Pasaje del olvido” del cantante compositore venezuelano Simón Díaz (1928-2014). Il complesso esplode poi di vitale musicalità italiana in “O rosetta, che rosetta SV 237” di Monteverdi dove si segnala l’intervento virtuosistico del flauto. Ben rese anche le atmosfere notturne della Sinfonia da L’Egisto di Cavalli. Per tutta la durata della registrazione, Alarcón, dirige dal cembalo o dall’organo con gusto e senza tanti eccessi.
Per concludere, trattasi di un incisione dal programma ampio che spazia tra arie note, rarità e pop rimaneggiato, a cavallo tra dimensione intimistica e vitalità mediterranea, anche se la prima componente ha chiaramente uno spazio maggiore. L’incisione non è forse per tutti i gusti per il viaggio in musica qui proposto (e qualche purista del barocco potrà forse storcere il naso per il concept dell’album), ma l’esecuzione (al netto di qualche distinguo sulle scelte stilistiche) è di buon livello e l’interprete è evidentemente ispirata, trovandosi a suo agio in una musica che le si addice per possibilità esecutive.
REBIRTH
Sonya Yoncheva soprano
Cappella Mediterranea
Leonardo García Alarcón direttore, clavicembalista e organista
Etichetta: Sony Classical
Formato: CD
Registrazione effettuata alla concert hall di La Chaux-de-Fonds
durante la prima ondata di Coronavirus