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Rai5 ripropone la Carmen scaligera secondo Dante e Barenboim. Nel cast Kaufmann

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Lunedì 18 gennaio, alle ore 10.00, viene trasmessa su Rai5 Carmen di Georges Bizet, spettacolo inaugurale della stagione 2009/10 del Teatro alla Scala, che ha segnato il debutto di Emma Dante nella regia operistica. Protagonisti sul palco Anita Rachvelishvili, Jonas Kaufmann ed Erwin Schrott. Dirige Daniel Barenboim. Regia tv di Lorena Sardi. Proponiamo qui la recensione di Giancarlo Arnaboldi.

Turba, ma non sconvolge il debutto di Emma Dante nella regia d’opera. La celebre regista palermitana trova al Teatro alla Scala il suo trampolino di lancio in campo operistico, con un titolo molto amato e bene conosciuto qual è il capolavoro di Georges Bizet. La sua è una Carmen piena di simboli, scabra e violenta, a tratti persino brutale (la zuffa fra le sigaraie del primo atto), ma meno provocatoria di quanto ci si aspetti e di quanto si potrebbe fare con un libretto d’opera (di Henri Meilhac e Ludovic Halévy) così carico d’umori e potenzialmente trasgressivo. La figura di Carmen, ben definita da Mérimée nella sua novella e dal compositore francese con la sua musica, è tratteggiata con mano sicura ed esperta, l’incontro-scontro fra i sessi sottolineato con la dovuta perizia, i movimenti delle masse organizzati con saggezza, ma chi si aspetta qualcosa di scioccante e veramente eversivo, come è nello stile della Dante, può certamente rimanere deluso.

Belle le invenzioni escogitate per movimentare la parata militare nel primo atto, con un uso dei “monelli” che è quanto più di antizeffirelliano si possa fare. Singolare l’erotismo impregnato di venature esotiche della «Chanson bohème» e di tutta la scena nella taverna del secondo atto. Ma che c’entra, con il capolavoro di Bizet, quel bruttissimo letto (brutto in senso teatrale e scenografico) che troneggia durante la scena con Micaëla nel terzo atto? E perché è così misera e ripetitiva la sfilata dei toreri nel finale, laddove la musica suggerisce (e pretende) uno sfarzo mediterraneo che la Dante, siciliana qual è, deve ben conoscere? In fondo, il merito maggiore della regia è quello di essere in perfetta sintonia con la direzione d’orchestra di Daniel Barenboim, ipnotica e drammatica, a tratti sospesa in appaganti oasi di lirismo (l’«Habanera», la «Romanza del fiore»), furente nel sottolineare lo scontro fisico dei protagonisti.

Protagonisti che in Jonas Kaufmann (Don José) e Anita Rachvelishvili (Carmen) trovano due interpreti credibili, vocalmente e visivamente quanto mai adatti al ruolo. Al tenore riesce anche la difficile impresa di smorzare l’acuto conclusivo della sua romanza, prodezza vocale notevolissima che pochi cantanti hanno osato prima di lui. La sua musicalità e l’abbagliante physique du rôle hanno schiuso al tenore tedesco la fama internazionale che si meritava. Lo stesso potrebbe dirsi, anche se in modo meno spettacolare, per la Rachvelishvili. Deludono invece in questa produzione Erwin Schrott, un Escamillo privo dell’ampleur e degli acuti indispensabili a un torero di tal fatta, e Adriana Damato, una Micaëla troppo poco soave per essere un contraltare credibile alla stregonesca Carmen. Ovviamente eccezionali l’orchestra e il coro scaligero, ai quali Barenboim chiede, e ottiene, assoluta dedizione alle sue scelte interpretative, certo non le uniche possibili affrontando questo capolavoro ma in ogni caso intriganti e coinvolgenti.

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