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Rai5 ripropone La bohème da Torre del Lago con Daniela Dessì. Regia di Ettore Scola

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L’evento mediatico dell’edizione 2014 del Festival Puccini è stato senz’ombra di dubbio la produzione de La bohème, in onda su Rai5 venerdì 3 settembre alle ore 10.00, affidata al regista Ettore Scola e alla coppia Daniela Dessì/Fabio Armiliato. L’elemento che subito colpisce nello spettacolo di Scola è l’evidente riferimento alle varie fortunatissime messinscene che nel corso dei decenni Franco Zeffirelli ha allestito in alcuni dei più importanti teatri internazionali. Scola, celeberrimo e premiatissimo regista cinematografico autore di alcuni dei film italiani più memorabili dell’ultimo mezzo secolo, ma con limitatissima esperienza di teatro musicale, preferisce infatti – come spiegato all’epoca nelle note di regia – affidarsi alla tradizione, resistendo alle forti tentazioni iniziali di “rivoluzionare impianti e concezioni adottati in altre edizioni rappresentate in tutti i teatri del mondo”. Il risultato è un allestimento senz’altro sfarzoso ma senza eccessi o cadute di gusto, ricco di dettagli, di comparse che molto cinematograficamente si muovono fra i protagonisti e ne fanno da complemento, di scene di massa ben coreografate, e soprattutto di un’attenzione alla recitazione che non si basa solo sui grandi gesti tipici di una rappresentazione teatrale, ma su un’attenzione (anche questa tutta cinematografica) alle espressioni del volto, talora persino troppo sottili per esser notate a distanza ma ben visibili nella ripresa televisiva. Le opulente scene di Luciano Ricceri e i curatissimi ed eleganti costumi di Cristina Da Rold si adattano perfettamente alla concezione del regista.

Dirige Valerio Galli, allora giovane direttore d’orchestra viareggino per una volta propheta in patria, artisticamente nato al Festival Puccini e che di Puccini (e non solo) è diventato in poco tempo un autentico specialista. Anche in quest’occasione Galli si rivela una presenza ispiratrice: sprizza energia ritmica un po’ ovunque ma particolarmente nel secondo atto, dove riesce nell’ardua impresa di trovare e mantenere un perfetto equilibrio fra le voci dell’orchestra e quelle del palcoscenico, modellando e plasmando la gioiosità della musica al fine di ottenere un effetto cumulativo. L’energia e la precisione non schiacciano e non sopraffanno la romance, il lato schiettamente amoroso dell’opera, per non parlare di quello più tragico, la morte di Mimì, realistica senza esser troppo veristicamente calcata, con quel giusto grado di evanescenza necessaria a far capire che, com’è ben noto, non muore solo una povera ragazza malata e indigente, bensì un concetto, l’idea della giovinezza che se ne va.

La compianta e indimenticabile Daniela Dessì è in forma smagliante. In un ruolo come quello di Mimì, giocato principalmente sul registro centrale, il celebre soprano può ancora far sfoggio di un timbro da lirico puro che la natura aveva dotato di bellezza come pochi altri, senza che la voce fosse sottoposta a sforzi inflitti da scelte di repertorio a essa estranee. Mimì le permette di mostrare tutta la bontà del suo armamentario tecnico, con esibizioni di pianissimi mozzafiato sui La naturali della prima aria; persino il Do acuto della fine del primo atto risulta ottimo e scevro di quel sapore lievemente metallico che talvolta acquistava il registro acuto. Senza il timore di incorrere in incidenti di percorso, la Dessì può inoltre concentrarsi sulla sua abilità di grande fraseggiatrice. Certo, in alcuni rarissimi momenti i trentacinque anni di carriera fanno capolino, ma nel complesso si tratta di una prova di supremo livello, la migliore, nella nostra esperienza di ascoltatori, da lei offerta negli ultimissimi anni della sua impareggiabile carriera. Fabio Armiliato (Rodolfo) evidenzia i molti pregi e i piccoli difetti di sempre. Al suo attivo metteremo un’indubbia presenza scenica e un notevole volume vocale, che riescono solo in parte a far dimenticare l’emissione un poco ingolata sul passaggio di registro. Per la cronaca, la romanza del primo atto è abbassata di un semitono, pratica ancora purtroppo abbastanza comune.

Felicissima la scelta dei ruoli di supporto, a cominciare da quelli di comprimario (il Benoit/Alcindoro di Angelo Nardinocchi) a quelli ben più sostanziosi: Federico Longhi (Schaunard) evidenzia una voce rotonda e corposa, adatta senza dubbio anche a Marcello, oltre a notevoli doti attoriali; ottimo Marco Spotti che pur senza avere un timbro particolarmente ammaliante canta l’aria della zimarra con notevolissima delicatezza; Alida Berti (Musetta), dietro ovvie indicazioni del direttore d’orchestra, elimina ogni petulanza, anche se la voce, piuttosto sicura in alto, non pare altrettanto fermissima nel registro centrale; Alessandro Luongo impersona infine un Marcello caldo, simpaticissimo, dal canto rifinito e omogeneo.

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