Chiudi

Rai5: I vespri siciliani del Regio di Torino, un invito al “risorgimento” morale

Condivisioni

La programmazione operistica dedicata da Rai5 al regista Davide Livermore si conclude venerdì 29 gennaio, alle ore 10.00, con I vespri siciliani di Verdi, prodotti dal Teatro Regio di Torino nella versione andata in scena nel 2011 per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Sul podio Gianandrea Noseda. Interpreti: Maria Agresta, Gregory Kunde, Ildar Abdrazakov e Franco Vassallo. Regia tv di Arnalda Canali. Proponiamo qui la recensione di Alessandro Mormile

Con I vespri siciliani di Verdi, il 10 aprile 1973, fu inaugurato il nuovo Teatro Regio. La città festeggiava con entusiasmo la rinascita del suo teatro lirico dopo molti anni di esilio in sedi spesso inadeguate. Nel 2011, questo stesso titolo, così ricco di afflato risorgimentale, venne scelto per onorare simbolicamente un anniversario significativo: il 150° dell’Unità d’Italia, in giorni che videro Torino al centro dell’attenzione nazionale. Il nuovo allestimento affidato alla regia di Davide Livermore decise di celebrarlo “parlando” alla contemporaneità, offrendo una riflessione sull’Italia di oggi. Ne consegue una visione anti-celebrativa perché severamente indirizzata alla denuncia di quella deriva morale e culturale che il potere politico pratica togliendo identità alla Nazione utilizzando il sistema dei media come strumento di smantellamento culturale. Livermore sembra voler spiegare che il conflitto fra gli stranieri francesi dominatori e i siciliani oppressi vada reinterpretato come manipolazione del potere di uno stato mafioso che domina su tutto e tutti e, attraverso i mezzi di comunicazione, strumentalizza le coscienze. Le scene di Santi Centineo e costumi di Giusi Giustino sono un fiume in piena di sollecitazioni visive che offrono a questo spettacolo teatralissimo molti spunti di discussione.

Pubblico e privato si intrecciano in una regia che pone le relazioni fra i personaggi su uno sfondo che non è dunque più quello storico della Sicilia del 1282, né quello del nostro Risorgimento celebrato dalle diverse regie realizzate da Pier Luigi Pizzi per quest’opera, bensì una riflessione aperta sulle pagine dell’Italia di oggi. La speranza finale non è negata allo spettatore. Perché lo squallido studio televisivo che appare all’apertura dell’ultimo atto, quello che ospita uno dei tanti programmi trash che le nostre reti giornalmente trasmettono, viene spazzato via per trasformarsi nel Parlamento italiano, il luogo dove, nel finale dell’opera, persone col volto coperto fanno cadere le loro maschere inneggiando al primo articolo della Costituzione e a quella sovranità che appartiene al popolo, l’unico in grado di poter mutare quell’immagine di “consumatori manipolati e obbedienti” dalla quale Livermore pensa ci si possa staccare solo con la presa di coscienza di voler uscire da questa condizione di sudditanza.
Il potere dei media appare anche ad apertura del primo atto, dinanzi al palazzo di giustizia dove si stanno per celebrare le esequie di Federico, fratello di Elena. Alla donna in lutto dinanzi alla bara del defunto avvolta nel tricolore, che prova a incitare il popolo a insorgere intonando con vigore «Coraggio, su coraggio», viene tolto il microfono e oscurata la ripresa televisiva in diretta del funerale di stato. Il parallelismo con i fatti più cruenti della storia mafiosa sicula viene scontato se si pensa a quando alla vedova Schifani fu allontanato il microfono nel momento in cui provò a esprimere alla folla il dolore che le usciva dal cuore ferito. Effetto fa pure la visione dell’asfalto sventrato dalle bombe con le carcasse della macchina di Falcone e di quella della sua scorta a Capaci: la strage che appare a Procida appena approda sui lidi siculi dopo i giorni dell’esilio. Il sacrificio di questi uomini diviene così simbolo imperituro del desiderio di giustizia per amore di una terra, la Sicilia, che ha perso il senso vero dello stato e si affida solo più al culto dell’apparenza, esercitato da quel perverso meccanismo dei mezzi di comunicazione che, sul finire dell’atto, filmano anche il volgare passaggio dei potenti e delle loro escort diretti alla festa.
Lo spettacolo sa anche offrire piccoli squarci di orgoglio nazional-popolare e di retorica patriottica percepibili nel grande concertato del terzo atto terzo (quello che inneggia alla «Patria adorata»), quando le immagini dei video curati da Marco Fantozzi, che ritraggono i luoghi comuni più scontati del nostro essere italiani, vengano proiettate all’interno della sala da ballo, qui trasformata nel Parlamento della nostra Repubblica, con gran sventolio di tricolori. Un momento a suo modo emozionante, che la musica ingigantisce facendoci capire come la lotta contro la mediocrità del nostro oggi sia interiore e vada combattuta conoscendo e rispettando i simboli che caratterizzano l’italica identità. Uno spettacolo che omaggia il Risorgimento invitando lo spettatore a un “risorgimento” morale.

L’allestimento di Livermore si appoggia sulle solide spalle della direzione di Gianandrea Noseda, alla testa di un’Orchestra e di un Coro (istruito da Claudio Fenoglio) ai massimi livelli in quegli anni felici del Regio, quando il maestro era direttore musicale del Teatro torinese. Fin dalla Sinfonia si capisce che il Verdi che viene fuori dalla sua bacchetta non ha nulla del respiro epico che quest’opera dovrebbe avere. I tempi sono per lo più rapidi, le sonorità, come spesso accade con Noseda, nette, asciutte e taglienti, il senso febbrile del dramma vissuto nel far vibrare l’involo civico e patriottico che attraversa questa partitura con senso del teatro stringente e concreto. Una lettura che si sposa alla perfezione con le ragioni registiche dello spettacolo.

Dopo la prima, cantata da Sondra Radvanovsky, Maria Agresta fu la Elena nelle recite successive di questa produzione e partecipò anche alla ripresa televisiva in questione. Allora trentatreenne e non affermata come oggi, questa prova diede una svolta decisiva alla sua carriera, che divenne di lì in poi internazionale. Emerge da subito per la bellezza del timbro di puro soprano lirico e, più che nella vigorosa determinazione del canto di slancio necessario a “Coraggio, su coraggio”, o alla flessibilità necessaria al Bolero, si impone nel toccante lirismo donato ad “Arrigo! Ah parli a un core”, dipinto con colori acquarellati e con l’eleganza che poi caratterizzerà gli importanti traguardi futuri. Gregory Kunde, memore della sua passata esperienza di tenore belcantista imprestato al nuovo repertorio che poi l’ha portato a divenire uno dei più accreditati interpreti odierni di Otello e di molte altre parti drammatiche, verdiane e non solo, siglando così una sorprendente trasformazione vocale, affronta la temibile tessitura di Arrigo senza esitazioni; controlla con eleganza l’aria del quarto atto e nella cabaletta supera senza colpo ferire l’arroventata tensione di «A maledirmi ella s’appresta!», alla quale dona un suono penetrante e incisivo. La vocazione del belcantista si fa poi strada nelle pagine dove al tenore romantico, imprestato alla vocalità verdiana, viene richiesta flessibilità nel dolce legato preteso dal duetto con Elena (“Celeste raggio”) e arditezza in acuto nell’allegretto “La brezza aleggia intorno”. Qui Kunde, memore di essere stato un vero tenore contraltino, emette un re sopracuto in falsettone davvero mirabile sul piano stilistico.

Di grande classe il canto di Ildar Abdrazakov (Procida), la cui voce di basso regala signorilità e bel legato all’aria “O tu Palermo”, poi accenti commossi alla frase “Addio, mia patria, invendicato”, mostrando un controllo della linea e dell’espressione che l’ha imposto via via sempre più in un repertorio che fa di lui il migliore basso verdiano del momento. Franco Vassallo non avrà un’emissione sempre perfettamente a fuoco, ma la voce baritonale robusta e gli accenti giusti fanno di lui un Monforte di tutto rispetto in un cast che nelle parti di contorno annovera i nomi di Dario Russo (Il sire di Bethune), Riccardo Ferrari (Il conte Vaudemont), Giovanna Lanza (Ninetta), Matthias Stier (Danieli), Cristiano Olivieri (Tebaldo), Seth Mease Carico (Roberto).

Photo credit: Ramella & Giannese

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino