Martedì 16 febbraio, alle ore 10.00 va in onda su Rai5 Edgar di Giacomo Puccini. L’opera viene proposta nella versione originale in quattro atti messa in scena nel 2008 dal Teatro Regio di Torino. Sul podio Yoram David, mentre la regia è affidata a Lorenzo Mariani. Tra gli interpreti, José Cura veste i panni del protagonista, Amarilli Nizza è Fidelia, mentre il mezzosoprano russo Julia Gertseva è Tigrana. Regia televisiva a cura di Tiziano Mancini. Proponiamo qui la recensione di Alessandro Mormile.
L’edizione di Edgar di Puccini andata in scena nel giugno 2008 al Teatro Regio di Torino, che Rai5 trasmette il 16 febbraio alle ore 10.00, fu un vero avvenimento. Per la prima volta in tempi moderni veniva ripresa la versione originale dell’opera in quattro atti. Fino al 2007 la si credeva perduta, sostituita da una edizione ridotta a tre atti che il compositore stesso approntò, in prima battuta nel 1892, per Ferrara, poi nel 1905 per il Colon di Buenos Aires. Questa fu, per lungo tempo, considerata l’edizione ufficiale dell’opera. Successivamente, a seguito della scoperta delle parti mancanti messe a disposizione da Simonetta Puccini, nipote del compositore, si diede vita a un complesso lavoro di ricostruzione della versione originale in quattro atti effettuata sull’autografo a cura di Linda B. Fairtile, con la collaborazione di Gabriele Dotto e Claudio Toscani per conto delle Edizioni Casa Ricordi.
Dopo la prima scaligera dell’aprile 1889, Puccini subito modificò tale versione in quattro atti, per una ripresa dell’opera andata in scena a Lucca nel 1891. È curioso notare come sia ormai accertato che la partitura con firma autografa di Puccini (la ricostruzione si è basata sullo spartito per canto e pianoforte pubblicato nelle ultime settimane del 1889, dopo le rappresentazioni scaligere) non corrisponda alla prima assoluta dell’opera, poiché il ruolo di Tigrana, concepito per un mezzosoprano, passò per un’indisposizione della prevista Giulia Novelli all’ugola sopranile di Romilda Pantaleoni, per la quale Puccini dovette adattare la parte annotando i passaggi di registro a mano sul manoscritto, senza però apportare tali correzioni sulla partitura autografa. Il ginepraio di mille variazioni fra le diverse versioni è stato dunque oggetto di studi assai laboriosi, ma a Torino, in occasione di questo nuovo allestimento dell’opera, si ascoltò la prima esecuzione contemporanea di una partitura fino a quel giorno conosciuta solo nella versione abbreviata.
L’ascolto integrale dell’opera in quattro atti è occasione preziosa per conoscere un Puccini giovanile non ancora maturo sul piano compositivo. Il libretto di Ferdinando Fontana risente della cultura scapigliata in cui nacque ed è un drammone a tinte fosche che strizza l’occhio al genere del grand-opéra, in quegli anni ormai declinante ma ancora presente sulle scene italiane per i favori che continuavano a riscuotere le opere di Meyerbeer. Il soggetto stesso dell’opera, ambientato in un periodo ben preciso, ai tempi di Filippo il Bello e della guerra franco-fiamminga con la battaglia di Courtrai del 1302, muove da un contesto storico sul cui sfondo si narra una vicenda sanguigna e un po’ gotica che vede lo scapestrato protagonista Edgar alla ricerca di se stesso, diviso fra l’amore puro verso Fidelia e l’anelito passionale e maledetto verso la sensuale Tigrana. Il trionfo dell’amore sacro su quello profano non saprà approdare nel quarto atto a buon fine. Dopo un duetto (che per la prima volta si ascoltò in tempi moderni in questa esecuzione torinese, con molti interessanti richiami a quello fra Tosca e Cavaradossi del terzo atto) in cui Edgar intende redimersi e dichiarare a Fidelia amore eterno – deluso dalla vacuità dei piaceri, dalla vanità della gloria ed insieme nauseato dalla “sozzura” morale di Tigrana – fa la sua comparsa in scena Tigrana che si vendica accoltellando la rivale per essere poi subito condotta al patibolo dalla folla inferocita, mentre Edgar cade piangente ai piedi dell’amata promessa sposa.
Puccini veste questo soggetto con un poliedrico ventaglio di sollecitazioni musicali, che spaziano dalla ricerca della melodiosità ancora incerta e confusa, a scene corali di gusto retorico. Il tutto condito con una orchestrazione spesso ridondante.
Se il protagonista è alla ricerca della sua identità, anche lo spettacolo di Lorenzo Mariani, con scene e costumi di Maurizio Balò, intende ambientare l’opera in un Medioevo rivisitato in chiave allegorica e in un contesto scenico neogotico all’epoca in cui l’opera nacque, ossia in una Italia unita ancora giovane che cercava se stessa fra bersaglieri e sventolii di tricolori nelle scene più pompier. Appare così un allestimento meditato e intelligentemente congegnato, pensato con riferimenti al senso della natura che vive nella musica di Puccini e che qui appare nella grande distesa erbosa che copre il palcoscenico sul quale si innalzano colonne di ghisa che paiono una sorta di moderna cattedrale abbandonata. Un ambiente che, ad apertura del primo atto, fa corona al sereno quadro paesano campestre, mentre nel secondo, nel castello dei fuggitivi Edgar e Tigrana, diviene il luogo dei loro piaceri: un postribolo in cui si amoreggia sui prati e sui divani in capitonné di velluto rosso che attorniano le colonne. Nel quadro dell’accampamento della battaglia del terzo atto le colonne di ghisa appaiono distrutte, mentre nell’ultimo il palcoscenico rimane quasi vuoto, con la distesa erbosa e un albero di pesco in fiore che simboleggia la raggiunta serenità amorosa dei prossimi sposi nella quiete armoniosa della natura.
Questa per certi versi storica esecuzione torinese ha nella direzione di Yoram David, alla testa di Orchestra e Coro del Teatro Regio in ottima forma (il coro è assai impegnato in quest’opera), una bacchetta in grado di non esasperare la retorica di un’orchestrazione elaborata e pomposa, mai prendendo il sopravvento su una compagnia di canto dove spicca la presenza scenica intrigante di José Cura nei panni di Edgar. La parte è assai complessa, ma Cura la domina anche quando il canto si fa teso e sanguigno, con il suo trasporto sempre intenso e teatralissimo, che nel duetto dell’ultimo atto lo vede anche alleggerire l’emissione e regalare bei momenti di distensione amorosa. Incisivo e solido il Frank del baritono Marco Vratogna, così come ricca di temperamento la Fidelia del soprano Amarilli Nizza. Anche la diabolica passionalità di Tigrana trova nella voce e nella presenza scenica del mezzosoprano Julia Gertseva un’interprete giusta a onta di qualche opacità espressiva. Il bravo Carlo Cigni, nei panni di Gualtiero, completa il cast di una produzione che fu una vera operazione culturale.