Habemus Normam. Angela Meade, protagonista dell’allestimento del capolavoro di Vincenzo Bellini in scena al Municipale di Piacenza (e in replica a Modena) scrive una pagina fondamentale nella storia dell’interpretazione di un ruolo monstre nella storia del melodramma, sul quale si allungano le ombre di almeno tre interpreti assolute: Callas, Caballé, Sutherland. Il soprano americano non è da meno, riuscendo nell’impresa di restituire tutta la complessità di una scrittura musicale per la quale non è eccessivo utilizzare il termine di sublime, anche per il suo porsi a cavallo di due mondi, il neoclassico e il romantico. Dunque, la sacerdotessa di Angela Meade ha tutta la fierezza che tale status richiede e che si esprime in recitativi di incisiva scolpitura, mentre la melodia si leva con una levigatezza di ispirazione canoviana. E si badi che il parallelismo con l’opera dello scultore di Possagno – sovente evocata per Norma – non è facile vezzo da erudito della domenica. È invece necessario riferimento per comprendere la complessità di un momento storico straordinariamente fecondo e che in Norma trova forse l’epifania più alta e compiuta. Nella quale convergono l’ideale che fu anche foscoliano di equilibrio delle forme e raffinata levigatezza, di atemporalità della bellezza classica, ove l’armonia vince le passioni. E qui siamo all’afflato neoclassico. Che tuttavia si veste di un fremito romantico proprio come faceva lo scultore veneto che riuscì a restituire l’illusione della carne umana grazie a un impasto morbido e rosato che soleva stendere sulla superficie lattea del marmo. Una tale maestria che fece dire proprio a Foscolo che la Venere italica di Canova è superiore alla Venere dei Medici, scultura classica che la ispirò: “Se la Venere dei Medici è bellissima dea – scrisse il poeta -, questa ch’io guardo e riguardo è bellissima donna”. Ecco il ritratto di Norma: dea e donna. Quello che Angela Meade ha saputo dipingere con una linea vocale rigogliosa e fermissima, dal fraseggio rifinito e aristocratico, messo a servizio di un canto ovunque solido, luminoso, ottimamente sostenuto e governato da una notevolissima musicalità. A ciò si devono aggiungere i lancinanti pianissimi in acuto, la maestria nel dipanare la coloratura e la melodia belliniana ovunque delibata con assorta intensità espressiva. Una esibizione in crescendo, la sua, dall’estasi ferita di dolcezza di “Casta diva” allo struggente finale, pagina ove l’ispirazione del compositore attinge alla dimensione del tragico.
Al fianco di Angela Meade, un cast nel complesso pregevole, ove tuttavia il solo Michele Pertusi brilla allo stesso livello della protagonista. La nobiltà del canto, la presenza scenica, l’intensità dell’accento ne fanno un Oroveso ieratico e maestoso. Stentoreo e fiero è invece il Pollione di Stefano La Colla, che ha una voce ampia, omogenea e di bell’impasto brunito, anche se l’emissione non è sempre perfettamente controllata. Paola Gardina non è l’Adalgisa ideale a fianco di una Norma come la Meade, dalla voce torrenziale. L’espressività più raccolta di questa artista ha nel suo arco le frecce di un bel chiaroscuro nel porgere la melodia e di una particolare attenzione al fraseggio. Ottimo il contributo di Didier Pieri (Flavio) e Stefania Ferrari (Clotilde).
Di livello anche la concertazione di Sesto Quatrini, che conferisce vibrante nobiltà ai diversi quadri che compongono questo capolavoro, innervando tuttavia il respiro tragico di un dolente afflato patetico, così coerente con l’universo espressivo belliniano. Originale nella scelta dei tempi – mediamente più spediti di certa tradizione esecutiva – quindi di scattante passo teatrale, Quatrini è pure sensibile nell’accompagnare e sostenere il canto. Pregevole la prestazione del coro istruito da Corrado Casati.
L’allestimento, firmato da Nicola Berloffa, con alcune modifiche dettate dal distanziamento, arriva in Italia dopo essere stato applaudito in diversi teatri del Vecchio Continente. Siamo in un Ottocento europeo, ben evocato dai bellissimi costumi di Valeria Donata Bettella, nonché dalle scene eleganti di Andrea Belli. L’idea centrale è che le vicende cui assistiamo si svolgono sullo sfondo di una guerra continua, che ha lasciato rovine e detriti. I Galli sconfitti vivono reclusi in un palazzo devastato e tenteranno invano una ribellione infruttuosa. Il disegno generale – se non apre sconvolgenti prospettive interpretative – ha una sua coerenza e viene sviluppato con gradevole efficacia nel corso del dramma, grazie anche a una estetica particolarmente curata (hanno un ruolo, in questo, le luci di Marco Giusti).
Teatro Municipale – Stagione 2021
NORMA
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Pollione Stefano La Colla
Oroveso Michele Pertusi
Norma Angela Meade
Adalgisa Paola Gardina
Clotilde Stefania Ferrari
Flavio Didier Pieri
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Nicola Berloffa
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Marco Giusti
Coproduzione Teatro Municipale di Piacenza
Teatro Comunale di Modena – Teatro Regio di Parma
Piacenza, 24 ottobre 2021