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Pesaro, Rossini Opera Festival 2021 – Recital di Maxim Mironov

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Ci sono serate baciate dalla fortuna. E una di queste, al recente Rossini Opera Festival, è stato senz’altro il concerto che ha consacrato la stella di Maxim Mironov, nel ventennale del suo debutto pesarese e a tre anni di distanza dalla sua ultima apparizione nel Barbiere di Siviglia. Lo si è capito sin dalle prime battute, dal caloroso fervore con cui George Petrou ha attaccato la Sinfonia dalla Pietra del paragone, trovando immediata intesa con l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, travolgente, incalzante, leggerissima come una ventata d’aria fresca, limpida, pulita. La locandina ha preso le mosse da alcune celeberrime pagine rossiniane: tributo imprescindibile, com’era naturale visto il contesto, ma anche occasione preziosa per fare il punto sull’evoluzione di una vocalità che si è conquistata i galloni di ufficiale sul campo rossiniano, ma che adesso sembra naturalmente rivolgersi anche verso altri lidi.

Il tenore russo, naturalizzato italiano, è oggi uno fra i più accreditati interpreti dell’opera rossiniana. Lo dimostra quanto emerge nei tre numeri selezionati per l’occasione: la radiosa facilità di emissione, capace di giocare con una varietà di dinamiche stupefacente; un timbro che mantiene svettante sicurezza nell’acuto ma si è ormai irrobustito – come dimostrerà ulteriormente – anche nella gamma centrale; la rotondità di una coloratura che non teme confronti eppur conserva sempre una plastica morbidezza, un nitore vellutato posto a coronamento di una vocalità da autentico tenore di grazia. Alcuni elementi impreziosiscono ulteriormente il canto di Mironov, e partono dalla ricerca di suono che accompagna una pronuncia elegantissima, mai affettata, perfettamente equilibrata tra nobiltà ed eleganza. Tutto questo si traduce nella cura per una linea di canto sempre tersa, aristocratica, forbita, in una naturalezza che ha del miracoloso – e, si vedrà tra un istante, perfino del commovente. Banco di prova della sezione rossiniana sono la Cavatina di Uberto dalla Donna del lago, la Cavatina alternativa di Lindoro «Concedi, amor pietoso», scritta per una versione milanese dell’Italiana in Algeri nel 1814 (che l’artista aveva già eseguito in occasione dell’edizione pesarese del 2006), e la grande Aria finale del Conte d’Almaviva dal Barbiere di Siviglia. Sorprende la capacità di Mironov di tratteggiare indole e psicologia dei personaggi sin dall’attacco dei singoli pezzi: per il re di Scozia con un legato esemplare, appena increspato dal mordente che è stilizzato madrigalismo della «fiamma soave»; per lo schiavo italiano con una prodigiosa messa di voce che ha tutto il sapore della conquista della libertà, dopo le ambasce che traduce una scrittura per contraltino dominata da ampi scarti intervallari, destinati a sciogliersi nell’impeto delle fioriture della cabaletta «Voce che tenera»; e infine con la franchezza e lo slancio del rondò del nobile spagnolo, in cui la coloratura diventa portentoso schiacciasassi con cui spezzare «il giogo indegno di tanta crudeltà»; ma subito venata della sovrana tenerezza con cui seduce «l’infelice vittima d’un reo poter tiranno». C’è, nell’a parte per Rosina, tutto l’affanno per la condizione di sottomissione della donna e, alla fine, l’esultanza per l’ordine che le impone, «gioisci in libertà»: in una girandola di stratosferiche roulades di acrobatica limpidezza, Mironov sgrana la Rivoluzione francese in meno di dieci minuti, in un brano che racconta la capacità della musica di affrancare qui Rosina e poi Angelina, protagoniste dei due capolavori buffi rossiniani. È una festa del belcanto ma, al tempo stesso, una dimostrazione dell’intelligenza dell’interprete, capace di trascendere la scrittura per illustrarne il senso ultimo, con serenità olimpica e superiore ironia.

Era difficile, a questo punto, immaginare il seguito del recital, ma Mironov procede verso la seconda parte della prima metà dell’Ottocento. I guerreschi clangori della Sinfonia dei Capuleti e i Montecchi di Bellini precedono infatti la sortita di Tebaldo: ed è tutta un’altra musica e un’altra storia. Qui comincia con un recitativo che è scolpito in un declamato ampio, maestoso, solenne, che rende Tebaldo eroe credibile, contraltare maturo del più giovane e trepido Romeo; poi, in un duplice crescendo alterna l’elegia di «l’ho giurato per Giulietta» e l’abbandono della vendetta, che «tutta Italia e il ciel lo sa», fino alla fierezza del «voto dell’amante», che si fa perentoria promessa nel si acuto. Magistrale è la cabaletta, «L’amo, l’amo e m’è più cara», perché non soltanto recupera i respiri con cui Bellini rende frastagliata la sua scrittura; ma ne dilata i contorni, grazie a un uso strumentale del rubato, per restituire i sospiri di un’anima inquieta, votata allo scacco.

Bisogna esser grati alla direzione di Petrou per aver intervallato questo percorso con un compositore di rarissimo ascolto, Nikolaos Mantzaros (1795-1872), meglio noto in territorio italiano come Niccolò Manzaro, attivo sin dal 1826 sui più importanti palcoscenici italiani: la Sinfonia bipartita di Ulisse agli Elisi è un pregevole esempio di maniera rossiniana, restituita con entusiasmo e pertinenza stilistica dalla compagine orchestrale.

La pagina più importante di uno dei ruoli scritti per Giovan Battista Rubini – l’Aria finale di Percy da Anna Bolena– non poteva che essere il degno coronamento di un percorso declinato nel segno di un Romanticismo consapevole. Non fosse per qualche comprensibile segno di stanchezza, qui emerge la perorazione, lo sprezzo della morte e la sfida di un potere tirannico, fin la voluttà del cupio dissolvi, in un Donizetti eroico che diventa propaggine estrema dell’eredità rossiniana. La qualità dei coloriti e lo smalto della coloratura fanno di Mironov un erede ideale della lezione romantica: accolto da uno tsunami di applausi, lo conferma quando concede come primo bis la Romanza di Nemorino, «Una furtiva lagrima». D’incanto, è come se avesse dato a bere l’elisir a tutto il pubblico, tale è la magia che è riuscito a creare con un canto sussurrato, a fior di labbra, atto a tradurre le mille sfumature del rimpianto e della nostalgia.
La danza, bis di chiusura ormai obbligato sulle scene pesaresi, ha concluso il concerto in un clima di incandescente entusiasmo.

Teatro Rossini – Rossini Opera Festival 2021
CONCERTO LIRICO-SINFONICO
Pagine di Rossini, Bellini, Mantzaros, Donizetti

Tenore Maxim Mironov 
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Direttore George Petrou

Pesaro, 16 agosto 2021

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