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Parigi, Palais Garnier – Alcina

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Era il giugno 1999. Per la prima volta, Alcina faceva il suo ingresso nel repertorio dell’Opéra national de Paris e per la precisione nella sala del Palais Garnier, inaugurata nel 1875. L’attesa era certo immensa per l’opera di Händel, ma non solo. Nella fossa c’era William Christie che guidava ovviamente i “suoi” Arts florissants – e all’epoca anche in Francia, terra di barocco per eccellenza in Europa, quello che più tardi prenderà il nome di HIP (historically informed performance) non aveva ancora un naturale diritto di cittadinanza nel primo teatro lirico del Paese. E soprattutto tre artiste immense – Renée Fleming nei panni dell’eroina eponima, Natalie Dessay (Morgana) e Susan Graham (Ruggiero) – dominavano il cast, tanto che lo spettacolo pareva essere stato concepito per loro. E infine, un regista già all’apice, il canadese Robert Carsen, firmava la produzione e tutti si chiedevano: “Ma come se la caverà con una drammaturgia tipicamente da opera seria che incasella le arie con il da capo?”. Io c’ero e fu francamente un vero choc. Uno di quei spettacoli che non si dimenticano una volta che si è scivolati nella metro, ma anzi che restano indelebili nei ricordi.

Ora – ma non è la prima ripresa – questa Alcina è tornata nel luogo della sua prima volta. E di nuovo sedevo in platea quasi quasi allo stesso posto di più di venti anni fa. Il tempo, non c’è che dire, passa per gli spettatori. E per una produzione che in tanti abbiamo giudicato mitica? Inevitabilmente, il confronto si impone tra ieri e oggi. Ed è la ripresa che ne esce ammaccata. La visione scenica di Carsen regge ancora l’urto. È, il suo, un palazzo incantato, quasi neoclassico, attorniato da un giardino verdeggiante che evoca un mondo falsamente bucolico in cui Alcina irretisce i suoi amanti. E di amanti Carsen inonda lo spazio tra i coristi (bravissimi, preparati dall’impeccabile Alessandro Di Stefano) e i ballerini: corpi che si aggirano, che si intrecciano, che si accovacciano, per lo più integralmente nudi, come mamma li ha fatti. Però va detto, non si tratta di una nudità gratuita, ma funzionale: in fondo, quello di Alcina è uno spazio chiuso, un’isola, in cui il piacere (carnale) trionfa.

Bravissimi pure i musicisti del Balthasar Neuman Ensemble diretto da Thomas Hengelbrock. Anzi forse vincono il confronto con gli Arts florissants: molto più energici, più sanguigni, più sensuali, alle prese con una una partitura in cui le tradizioni italiane e francesi si incrociano. E Hengelbrock si conferma muoversi, come un pesce nell’acqua, in questo repertorio.

E da parte dei cantanti, come vanno le cose? Sarà un po’ banale scriverlo, ma l’assenza di Renée Fleming e di Natalie Dessay si fa sentire. Come un abito cucito addosso a loro, la produzione fa qualche piega quando passa ad altre interpreti. Niente da dire sulla bravissima Alcina di Jeanine De Bique: il suo timbro è sempre piacevolissimo, la tavolozza dei colori ampia, la tecnica sicura. Ma non è riuscita a imporre un’altra presenza, capace di rimpiazzare quella della Fleming che aveva fatto di Alcina una proto-marescialla che lotta contro il tempo impietoso. Anche Sabine Devieilhe è una Morgana perfetta: agilissima, perfettamente a suo agio nelle peripezie dell’acuto, virtuosissima negli ornamenti tanto impervi quanto interessanti dei “da capo”, e infine, credibilissima come attrice. Ovviamente, la Dessay, di cui viene spesso considerata come l’erede diretta, l’ha ispirata. Ma l’originale è stato veramente rimpiazzato? Comunque, lo scrosciare di applausi fa credere che il pubblico abbia più che apprezzato. Quanto a Gaëlle Arquez, sarà probabilmente l’interprete migliore della serata. La versione di Susan Graham non aveva proprio lasciato il segno, invece l’Arquez si appropria pienamente del ruolo di Ruggiero: il mezzosoprano francese, che si distinse nella produzione del Comte Ory di Rossini all’Opéra Comique, sfoggia un volume ampio senza avere bisogno di forzare e una perfetta omogeneità. Alla fine, sarà inequivocabilmente la Arquez la novità più interessante di questa ripresa. Convincente è stata pure Roxana Constantinescu in Bradamante, ma purtroppo abbastanza vacillante tra un registro e l’altro. Ruper Charlesworth e Nicolas Courjal eccellono nei panni rispettivamente di Oronte e Melisso. Purtroppo, il basso francese Courjal è tanto convincente vocalmente, quanto incerto nella dizione non sempre comprensibilissima. (A riguardo, va detto che se le produzioni di opere francesi in Italia senza neanche un solo cantante francofono – purtroppo tutt’altro che eccezionali – lasciano perplessi, quando i teatri francesi allestiscono titoli italiani escludendo in massa cantanti italici non fanno ovviamente migliore figura).
Ventidue anni dopo, le rughe non perdonano. Probabilmente, la produzione di Carsen potrebbe essere oggi riposta in cantina, pur continuando a esserle grati per averci regalato tante emozioni e per avere mostrato che anche un’opera seria non è solo un tripudio di vocalizzi.

Opéra national de Paris – Palais Garnier
ALCINA
Opera in tre atti HWV 34 (1735)
Libretto di autore anonimo
dal libretto dell’opera L’isola di Alcina di Riccardo Broschi
Musica di Georg Friedrich Händel

Alcina Jeanine De Bique
Ruggiero Gaëlle Arquez
Morgana Sabine Devieilhe
Bradamante Roxana Constantinescu
Melisso Nicolas Courjal
Oronte Rupert Charlesworth

Balthasar Neumann Ensemble
Choeurs de l’Opéra national de Paris
Direttore Thomas Hengelbrock
Maestro del coro Alessandro Di Stefano
Regia Robert Carsen ripresa da Christophe Gayral
Scene e costumi Tobias Hoheisel
Luci Jean Kalman
Coreografia Philippe Giraudeau
Drammaturgia Ian Burton

Parigi, 6 dicembre 2021

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