Il mondo dell’opera ha i suoi misteri. Spesso insondabili. Come mai un tenore del calibro di Joseph Calleja canta pochissimo in Francia e quasi mai a Parigi, a parte fugacissime apparizioni al Théâtre des Champs-Elysées? A tal punto, da fare il suo debutto all’Opéra national de Paris solo ora con la produzione di Rigoletto. Perché va subito detto: è ‘la prima volta’ del tenore maltese, sicuramente uno dei migliori della sua generazione, a rendere questa produzione imperdibile. Eppure, Calleja farebbe parte del cosiddetto “cast B”. Nell’A, ci sono Dmitry Korchak, Ludovic Tézier e Nadine Sierra. Chi ha visto lo spettacolo con entrambe le formazioni non esita a dire che le due troupe si equivalgono per qualità artistica e che, quasi quasi, è proprio la squadra B a strappare il primo posto. Ma io mi limiterò a scrivere di quello che ho visto: il Rigoletto da serie B… Almeno sulla carta. Ma, andiamo per ordine.
Torna dunque all’Opéra Bastille il Rigoletto di Claus Guth, già andato in scena nel 2017. Il regista tedesco immagina un buffone di corte torturato dai rimorsi che ritira fuori una scatola di cartone in cui sono stati riposti ricordi angoscianti. La scatola occupa l’intero palcoscenico e resta, quasi senza alcun cambiamento, per i tre atti. Dunque, tutta l’opera è un riportare a galla e rivivere i rimorsi atroci di un vecchio padre, omicida suo malgrado della figlia. Per il costante oscillare, tra passato e presente, di Rigoletto ce ne sono due: certo il cantante, ma anche un doppio, ovvero un mimo, il convincentissimo attore Henri Bernard Guizirian. L’idea del doppio non è nuovissima: Guth l’aveva già sfruttata in Fidelio. Comunque, insieme all’espediente del mega-scatolone di cartone, teatralmente potrebbe funzionare. Purtroppo, arrivano tanti altri “segni” che rendono la regia non sempre limpidissima. Perché i costumi oscillano tra evocazioni rinascimentali e abiti da primo Novecento? Perché chiedere ai coristi mimiche senza alcun senso, incoerenti tanto rispetto al testo quanto alla situazione? Perché lasciarsi andare con balletti caricaturali che hanno l’unico effetto di creare un grottesco non per forza voluto (o che fosse un ammiccamento all’estetica del “brutto” ricercata da Victor Hugo..?)? Le ballerine piumate che sgambettano al suono de “La donna è mobile” sono legittimamente accolte solo da risa. Geniale nella rilettura della trilogia dapontiana di Mozart, Guth non ritrova in questo Verdi le stesse vette.
Ma poi ci sono loro. Cioè, innanzi tutto, lui: Joseph Calleja. Il suo ingresso è già inconfondibile. Niente da eccepire, il tenore sfodera un volume enorme senza mai forzare. La sua tavolozza di colori è ampissima, valorizzata sia da un legato che ci regala frasi lunghe che si incasellano senza cesure, sia da una perfetta adesione stilistica al dettato di Verdi. E poi che dire della dizione? Semplicemente limpida, perlata. Perfetto complice artistico è il Rigoletto di Željko Lučić. Il baritono serbo non ha più bisogno di biglietti da visita. Inconfondibile almeno dai tempi di un mitico Macbeth con Anna Netrebko. Forse uno dei ruoli che ha più incarnato insieme a quelli di Nabucco, Scarpia e proprio Rigoletto. Anche lui riesce a occupare la scena in maniera naturale. Credibilissimo come buffone al soldo del duca, come padre amorevole, come complice di un assassino (anche il bravo Sparafucile di Goderdzi Janelidze gli funge da doppio, nella regia di Guth). Il duetto del II atto con Gilda (“Piangi fanciulla”/”Sì, vendetta, tremenda vendetta”) resterà tra i momenti migliori: commuovente nel registro patetico, impressionante in quello più brillante o addirittura marziale. E poi certo c’è Irina Lungu, l’ingenua e candida Gilda. Anche lei ha diritto a un suo doppio: in questo caso, Guth opta per il video su cui proietta una fanciulla pre-adolescenziale che solitamente saltella tra campi verdeggianti: quanto doveva essere lieve e spensierato quel periodo, lontano da passioni amorose e predatori sessuali, pare che si chiedano il regista e Andi A. Müller, che firma le incursioni video? La Lungu guadagnerà alla fine gli applausi più fragorosi. Sicuramente, ha sedotto il pubblico per una tecnica irreprensibile che la fa muovere senza difficoltà apparenti in una parte impervia. E forse anche grazie a un registro sempre solare che sa valorizzare i tanti sovracuti. Eppure, l’entrata in scena non è stata precisissima e il timbro non è sempre gradevolissimo. Ma nell’insieme, le si perdona questo e altro. Nelle parti minori, eccellono la Maddalena di Justina Gringyte e il Monterone di Bogdan Talos: quest’ultimo vorremmo proprio risentirlo in un ruolo che gli permetta di brillare di più.
Dulcis in fundo, l’italiano – quasi l’unico della squadra: l’altro è Pierpaolo Palloni che interpreta un fugace usciere di corte – Giacomo Sagripanti. Il direttore riesce a far suonare benissimo l’Orchestre dell’Opéra national de Paris che in questo repertorio di tradizione può scivolare in qualche approssimazione e pesantezza. Non così è stato. Anzi. Sagripanti, dal gesto sempre preciso, guida con fermezza la falange parigina che finisce per sorprendere tanto per l’eleganza quanto per la potenza. Mai quello di Sagripanti, è un Rigoletto prevedibile e volgare. Applausi calorosi (e meritati) ricompensano il direttore, così come tutto il cast. Senza dubbio, almeno musicalmente, un Rigoletto da serie A.
Opéra Bastille – Stagione 2021/22
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Duca di Mantova Joseph Calleja
Rigoletto Željko Lučić
Gilda Irina Lungu
Sparafucile Goderdzi Janelidze
Maddalena Justina Gringyte
Giovanna Cassandre Berton
Conte di Monterone Bogdan Talos
Marullo Jean-Luc Ballestra
Matteo Borsa Maciej Kwaśnikowski
Conte di Ceprano Florent Mbia
Contessa di Ceprano Izabella Wnorowska-Pluchart
Un usciere di corte Pierpaolo Palloni
Paggio della Duchessa Marine Chagnon
Doppio di Rigoletto Henri Bernard Guizirian
Orchestra e Coro dell’Opéra national de Paris
Direttore Giacomo Sagripanti
Maestro del coro Ching-Lien Wu
Regia Claus Guth
Scene e costimi Christian Schmidt
Lighting Designer Olaf Winter
Drammaturgia Konrad Kuhn
Video Andi A. Müller
Parigi, 8 novembre 2021