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Palermo, Teatro Massimo – Il crepuscolo dei sogni

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Que reste-t-il dei nostri teatri? A quasi un anno dall’inizio della pandemia, dopo innumerevoli cancellazioni, rinvii, modifiche della programmazione, sale sventrate, compagini distanziate, sembra ormai tragicamente lontano il ricordo non soltanto delle serate trascorse nelle sale teatrali, ma finanche l’uso che di queste per secoli se n’è fatto, moderne agorà costruite per la socializzazione (anche) culturale, sede privilegiata di incontri e dibattiti in presenza – quando non veniva neanche presa in considerazione l’ipotesi che potessero svolgersi in forma diversa. Di fronte al fiorire di iniziative performative in streaming o concepite per lo streaming, il Teatro Massimo di Palermo, da tempo all’avanguardia nella patrimonializzazione dello spettacolo del vivo, osa su più fronti: azzarda la parola ‘inaugurazione’ di stagione, unanimemente ricusata quasi fosse impossibile anche solo immaginarla; e confeziona uno spettacolo di teatro musicale elaborato per coinvolgere tutte le masse artistiche e tecniche dell’ente lirico siciliano, anche per venire incontro a una crisi del settore ormai devastante. Cancellato dunque un Evgenij Onegin, inizialmente previsto, la sala del Basile ha ospitato Il crepuscolo dei sogni, ambizioso progetto artistico multimediale di cui Johannes Erath firma la drammaturgia, oltre che la complessa impaginazione scenica (qui il link per la visione in streaming).

E proprio dal silenzio e dal buio prende le mosse una storia di albe e tramonti, un itinerario simbolico che accomuna epoche e tradizioni musicali diverse, una cerimonia memoriale laica, dolente e intensa, propiziata dalle note di una fisarmonica – strumento della diaspora e della musica popolare – che sgrana le note del Preludio dell’ultimo atto della Traviata: per restituire il respiro affannoso di Violetta, l’ansimare di polmoni in sofferenza che scandisce, inesorabile, le pulsazioni della serata. Gelide luci invernali illuminano il piancito della sala, su cui copiosa si è posata la neve, irrinunciabile elemento di un viaggio d’inverno di cui Omer Meir Wellber diventa onirico Leiermann, geloso custode di un tempio disabitato e spoglio. È l’inizio della fine: Verdi trapassa in Purcell e Carmen Giannattasio intona “When I am laid in earth”, il lamento della regina cartaginese protagonista di Dido and Æneas. Markus Werba indossa un abito rosa cipria e raddrizza due poltrone, mentre da un vecchio giradischi arrivano le note di “Lippen schweigen”, il valzer dalla Lustige Witwe di Franz Lehár, sinistra epifania di un mondo al crepuscolo. Gli abiti male assortiti, il volto rigato da un trucco segnato dal tempo, i due sembrano Winnie e Willie, gli stralunati protagonisti degli Happy Days di Beckett: quel che resta del teatro, di un teatro che – pure – non rinuncia ad aprire il sipario. Impercettibilmente, la mano di lui trova quella di lei e la stringe in un contatto, gesto che oggi sembra appartenere al teatro dell’assurdo.

Solo allora lo spettacolo ha inizio, shakerando frammenti di storia del teatro, schegge e reperti, frantumi e briciole di ciò che, in quella sede, ha trovato il soffio vitale: non solo umano, ma fin quasi divino, come suggerisce l’artista campana quando – dopo uno straussiano Morgen di rattenuta intensità – unisce due cavi elettrici e, d’improvviso, illumina la sala, mentre risuona il Sorgere del sole dalla Creazione di Haydn. L’intero spettacolo segue la logica del collage, mette insieme le tessere di un puzzle apparentemente impazzito – che non ha senso valutare singolarmente, bensì nel più ampio contesto di un itinerario emozionale: sul quale molto influiscono le creazioni video di Bibi Abel, che invadono la scena e la fanno brillare di mille scintille, quasi lucciole pasoliniane di un tempo lontano, rivissuto attraverso celeberrime pagine di Rossini e di Verdi, di Boito e di Musorgskij. Il gioco degli accostamenti, mirabilmente fusi dalla duttile bacchetta di Wellber, è tutto fuorché un juke-box di fogli d’album musicali: al contrario, mira a sorprendere, scombussolare le aspettative, perfino divertire. E se poco convince la vocalità grezza e morchiosa del basso Alexandros Stavrakakis, visibilmente a disagio nel repertorio italiano ma che parzialmente si riscatta nella sortita di Boris Godunov nell’atto del Cremlino, palesa maggior disinvoltura Carmen Giannattasio, impegnata a tener sotto controllo un’intonazione periclitante e un’emissione gutturale, in difficoltà quando sale nel registro acuto. È autentico animale da palcoscenico, infatti, e per questo scava nella parola, conferendo smalto espressivo a un “Addio del passato” intonato davanti a uno specchio, quasi a voler rievocare l’ormai dimenticata magia del teatro; o nel canto forbito della Romanza di Margherita, dal Mefistofele di Boito, preghiera dall’elegante, rapinosa arcata melodica. Markus Werba si conferma invece protagonista a tutto tondo, raffinato liederista nella disperazione di Erstarrung, quarta stazione della Winterreise schubertiana; ma se possibile ancor più seducente nelle morbide, torbide atmosfere del Tanzlied di Pierrot – da Die tote Stadt di Erich Korngold, di recente interpretata anche alla Scala – sussurrato a fior di labbra in un’estasi ipnotica e sensuale.

In poco più di un giro di lancette, è come se il teatro rinascesse come la fenice dalle sue ceneri: i palchi ospitano lo stupore e le levigate sfumature della compagine corale, preparata da Ciro Visco, quando riemerge dalle tenebre del Fidelio beethoveniano con un luminoso “O welche Lust”. Sempre il coro accompagna il corpo di ballo nell’imponente, fantasmatico tableau coreografico firmato da Davide Bombana, quando un piccolo drappello di danzatori invade la sala con il “Dies iræ” dal Requiem di Verdi: terribile memento mori, a poche ore dal giorno del 120° anniversario della morte del Bussetano – come della giornata della memoria. Una corda, questa, probabilmente assai cara a Wellber, che si conferma strepitoso musicista oltre che brillante entertainer: per questo passa con disinvoltura dalla fisarmonica al podio e da questo al pianoforte, per accompagnare uno scatenato Werba in “Irgendwo auf der Welt”, dal film Ein blonder Traum (1932) di Paul Martin, con musiche di Werner Richard Heymann; quindi, con abile gioco da camaleontico illusionista, indossa l’ampio manto damascato del basso per intonare un irresistibile tributo al pop yiddish della cantautrice polacco-israeliana Chava Alberstein.

Perché il teatro è anche questo: specchio del mondo e delle sue impurità, fedele rappresentazione di sentimenti sublimi e di passioni violente. Sotto una fitta coltre di neve, Il crepuscolo dei sogni racconta storie di morte per auspicare la trasfigurazione: nelle cristalline trasparenze del Liebestod da Tristan und Isolde di Wagner, in cui Wellber assottiglia il suono per attingere a un lirismo purissimo, adamantino; come nella grandiosa visione finale del Mefistofele di Boito. Prima che si spengano le luci, spetta ancora una volta alla fisarmonica accompagnare il duetto finale, quello che suggella L’incoronazione di Poppea. E mentre Poppea intreccia la sua voce a quella di Nerone, è bello pensare che «Pur ti miro, pur ti godo | pur ti stringo, pur t’annodo, | più non peno, più non moro» non sia soltanto uno tra le pagine più alte dell’intera storia del melodramma, ma anche una nostalgica dichiarazione d’amore per il teatro, la più grande fabbrica di sogni inventata dall’uomo.

Teatro Massimo – Sotto una nuova luce
Inaugurazione della stagione 2021
IL CREPUSCOLO DEI SOGNI
Direttore Omer Meir Wellber
Regia, drammaturgia, scene, costumi e luci Johannes Erath
Video Bibi Abel
Maestro del coro Ciro Visco
Maestro del coro di voci bianche Salvatore Punturo
Coreografia Dies iræ Davide Bombana
Movimenti coreografici Ugo Ranieri

Soprano Carmen Giannattasio
Baritono Markus Werba
Basso Alexandros Stavrakakis

Giuseppe Verdi Preludio – Atto III da La traviata
Henry Purcell “When I am laid” da Dido and Æneas
Franz Lehár “Lippen schweigen” da Die lustige Witwe
Richard Strauss Morgen, op. 27 n. 4
Franz Joseph Haydn Il sorgere del sole da Die Schöpfung
Arrigo Boito “Son lo spirito che nega” da Mefistofele
Henry Purcell “What power art thou?” da King Arthur
Ludwig van Beethoven “O welche Lust” da Fidelio
Giuseppe Verdi “Amami, Alfredo!” da La traviata
Werner Richard Heymann “Irgendwo auf der Welt” da Ein blonder Traum
Giuseppe Verdi “Addio del passato” da La traviata
Franz Schubert Erstarrung da Die Winterreise, D. 911
Gioachino Rossini “La calunnia” da Il barbiere di Siviglia
Giuseppe Verdi “Dies Iræ” dalla Messa da Requiem
Erich Wolfgang Korngold “Mein Sehnen, mein Wahnen” da Die tote Stadt
Richard Wagner Liebestod da Tristan und Isolde
Chava Alberstein Velkhes Meydl S’nemt A Bokher
Giuseppe Verdi “Si ridesta in ciel l’aurora” da La traviata
Modest Musorgskij “Dostíg ya výshey vlásti” da Boris Godunov
Arrigo Boito “Spunta l’aurora pallida” – “Ave Signor degli angeli e dei santi” da Mefistofele
Claudio Monteverdi “Pur ti miro” da L’incoronazione di Poppea

Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Coro di voci bianche del Teatro Massimo di Palermo
Sound design e regia sonora Manfredi Clemente
Ideazione e coordinamento televisivo Gery Palazzotto
Regia televisiva Antonio Di Giovanni

Palermo, 26 gennaio 2021

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