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Palermo, Teatro Massimo al Verdura – La traviata

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Violetta tra le ipomee, magari en attendant le camelie. Se aveva avuto un merito, tra gli altri, la celebrata produzione della Traviata realizzata da Mario Pontiggia per il Teatro Massimo di Palermo nel 2017, ripresa tra l’altro due anni più tardi nella stessa sede, era stata l’idea di precipitare il melodramma verdiano non già a «Parigi e sue vicinanze», bensì nella Palermo della Belle Époque, laddove le architetture floreali della sala del Basile si rispecchiavano sul palcoscenico, in un prezioso gioco di specchi dovuto all’elegante creatività di scene e costumi di Antonella Conte e Francesco Zito. Violetta Valéry assumeva così i tratti di donna Franca Florio, l’«Unica» – giusta l’appellativo come sempre tranchant di Gabriele D’Annunzio – protagonista della vita mondana siciliana in un tripudio di aigrettes e collane dai lunghi fili di perle. La traviata è tornata sulle scene palermitane come titolo inaugurale della stagione estiva al Teatro di Verdura: ed era difficile immaginare impaginazione più raffinata della mise en espace di Ludovico Rajata, liberamente ispirata allo spettacolo di Pontiggia, che veniva fedelmente richiamato nell’animazione digitale curata da Fabiola Nicoletti, proiettata in uno schermo sullo sfondo. Tra questo e il proscenio, dove trovavano posto gli elementi di scena di Francesco Zito, erano allocati l’Orchestra e il Coro del Teatro Massimo, che si sono esibiti in borghese, in segno di protesta per il mancato ampliamento della pianta organica, denunciato in un comunicato letto prima dell’inizio dello spettacolo. Ma nulla ha potuto turbare la festa: tra ninfee e gelsomini, siepi di ibisco e le famosissime ipomee giganti, la lussureggiante vegetazione del parco del principe di Castelnuovo, infatti, è stata sfondo ideale per feste e convegni che preludono alla solitudine e alla sublimazione dell’amore. La scelta della mise en espace, praticata ormai da alcuni mesi dall’ente lirico siciliano, si rivela ancora una volta vincente: permette di esaltare lo sfarzo di produzioni d’archivio, che altrimenti non sarebbero adeguatamente valorizzate, e al tempo stesso di non rinunciare alla dimensione spettacolare, che anche in questo caso non perdono di efficacia. La dimostrazione arriva puntuale nel corso del quadro in casa di Flora, dove sono pure previste delle lineari coreografie, dovute a Carmen Marcuccio, che vengono proposte con disinvoltura, seppur in uno spazio scenico limitato, da Francesca Bellone, Alessandro Casà e Diego Mulone.

Era comunque la parte musicale quella che avrebbe dovuto attirare gli interessi del pubblico, con una distribuzione quasi interamente ripensata rispetto alle precedenti, recentissime edizioni. Le conferme sono arrivate da Carlotta Vichi, come sempre sontuosa, frivola eppur compassionevole Flora, e da Piera Bivona, che di Annina coglie tutta l’importanza, l’affettuosa complicità, il ruolo protettivo; insieme con Antonio Barbagallo, puntuale nella doppia veste di Commissionario e di Domestico di Flora. Al debutto nella produzione, invece, uno svettante Blagoj Nacoski come Gastone, il partecipe Grenvil di Adriano Gramigni, il corretto Marchese di Salvatore Grigoli e il Giuseppe di Carlo Morgante, con il Douphol di Giuseppe Esposito, incline allo Sprechgesang. Di ottima presenza vocale, come sempre, la compagine corale che Ciro Visco fa eccellere nella seconda festa, assicurando accurato sbalzo scenico alle due pagine narrative di zingarelle e matadores.

Più incerto il terzetto dei protagonisti. Se David Astorga, infatti, è un Alfredo ancora fin troppo discontinuo, certo provvisto di un lucente timbro tenorile ma ancora tutto da governare – sul piano della tecnica, dell’intonazione, della definizione scenica – i riflettori erano tutti puntati sul debutto siciliano di Pretty Yende nel ruolo del titolo. Di più: intorno alla sua presenza era anche stata costruita gran parte della regia, fin dal Preludio iniziale, quando una sua controfigura abbandonava mestamente la scena, attraversando la platea, con un enorme mazzo di rose bianche. Un modo opportuno per sottolineare il contrasto tra la sua pelle ambrata e il candore dei fiori che portava con sé, fino al sacrificio finale. Più deludente, tuttavia, è stata l’impaginazione vocale del personaggio: perché l’artista sudafricana dispone certo di un registro medio di grande fascino, che tuttavia s’irrigidisce negli acuti, compromettendone la limpidezza e la coloratura. Da qui una focalizzazione sui passaggi più lirici del ruolo, da uno splendido «Dite alla giovine» a un «Addio del passato» che, seppur annaspando sul palcoscenico, risulta di bella intensità espressiva; ma anche una sostanziale estraneità al fraseggio (l’italiano è spesso arduo da decifrare) che la rendono interprete generica e poco rifinita: il che, per un personaggio come quello di Violetta, non è certo menda di poco conto.
Per questo, l’apparizione di Simone Piazzola, nel secondo atto, contribuisce non poco a risollevare le sorti dello spettacolo. Il baritono veronese sta attraversando infatti una fase particolarmente felice della sua carriera e questo, tra i ruoli verdiani, è sicuramente uno tra quelli messi a fuoco con maggior cura e attenzione al dettaglio della “parola scenica” verdiana. L’eleganza con cui cesella le frasi, l’autorità, l’autorevolezza che trasmette diventano austera incarnazione della morale borghese che qui – come si vedrà – deflagrano in un «Dio mi guidò!» di straordinario impatto. E si ammira la capacità di non andare mai sopra le righe, di mantenere costante una nobiltà di fraseggio esemplare.

E tutto questo grazie anche alla concertazione di Michele Spotti, che mirabilmente asseconda i cantanti, in un repertorio che il giovane direttore sta affinando negli anni con crescente consapevolezza, in una ricerca della tenuta drammatica che non lascia spazio ad alcun cedimento e – pur nella difficoltà del contesto: la lirica all’aria aperta è sempre un problema – mantiene salde le redini dello spettacolo. Sempre. Anche quando, come in questo caso, lo spettacolo si svolge in contemporanea alla finale dei campionati europei di calcio e, per questo, è punteggiato dai boati che accompagnano l’esultanza dei tifosi delle zone limitrofe. Così, quel «Dio mi guidò!», di cui si diceva poc’anzi, assume ben altro significato, anche metaforico, in sincrono con un goal della nazionale; e la trenodia del finale viene subissata dalle esplosioni di entusiasmo che inevitabilmente si avvertono anche all’interno del teatro.
Ma forse proprio questa lezione è stata particolarmente utile, per far capire quanto l’Italia non sia solo belcanto: lo sa bene Spotti che, con intuizione semplicemente geniale, prima di attaccare l’Inno nazionale, intonato a grande richiesta del pubblico scattato in piedi, imbraccia la partitura della Traviata per ricordare che l’Italia è anche questa, uno dei suoi più grandi capolavori musicali. Per fortuna.

Teatro Massimo – Estate 2021
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Violetta Valéry Pretty Yende
Flora Bervoix Carlotta Vichi
Annina Piera Bivona
Alfredo Germont David Astorga
Giorgio Germont Simone Piazzola
Gastone Blagoj Nacoski
Barone Douphol Giuseppe Esposito
Marchese d’Obigny Salvatore Grigoli
Dottor Grenvil Adriano Gramigni
Giuseppe Carlo Morgante
Domestico di Flora Antonio Barbagallo
Commissionario Antonio Barbagallo
Zingarella Francesca Bellone
Matadores Alessandro Casà, Diego Mulone

Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Direttore Michele Spotti
Maestro del coro Ciro Visco
Mise en espace Ludovico Rajata
Progetto visivo Francesco Zito e Ludovico Rajata
Costumi ed elementi di scena Francesco Zito
Animazione digitale Fabiola Nicoletti
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografia Carmen Marcuccio

Palermo, Teatro di Verdura, 11 luglio 2021

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