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Opéra di Monte-Carlo, Salle Garnier – Madama Butterfly

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Era da ben diciassette anni che Madama Butterfly mancava dalle scene del Principato di Monaco. Jean-Louis Grinda, nel firmare la sua ultima e ricca stagione come direttore dell’Opéra, inserisce il titolo ad apertura di un cartellone che vedrà anche in programmazione un’altra opera pucciniana, Manon Lescaut. Lo spettacolo non è nuovo, ma dopo tanti anni mostra ancora il suo fascino per il saper andare al cuore di una tragedia straziante come quella che il compositore lucchese trasse dalla pièce di David Belasco: una dramma dell’abbandono che non si colora, come è in uso fare oggi, con le tinte ciniche e crude di una vicenda spesso paragonata ad un episodio di squallido turismo sessuale. Cio-Cio-San resta se stessa, una Geisha, così come vuole Mireille Larroche, che firmò questo allestimento per l’Opéra di Avignone una quindicina di anni fa, visto in Francia in diversi teatri e anche nel grande spazio delle Chorégies d’Orange, che lo accolse nel 2007.

Senza cedere a un facile esotismo, spesso prevedibile e scontato quando si sceglie, come in questo caso, la via della tradizione, le scene di Guy-Claude François e i costumi di Danièle Barraud regalano uno spettacolo sobrio e al tempo stesso suggestivo. La loro felice intuizione si coglie nel concepire la casa a soffietto di Butterfly sollevata come una palafitta su una collina dalla quale si immagina si possa godere la vista su Nagasaki. Il palco è pertanto circondato da modellini di case rosse con tetti a pagoda: una distesa di case che accerchiano come nuvole il piccolo e intimo nido d’amore della protagonista assistendo impassibili al consumarsi del suo dramma. Ed è come se la solitudine della donna finisca per ingigantirsi dinanzi alla vista di quelle casette che si illuminano dall’interno al pari di lumini e simboleggiano il suo distacco dal mondo delle tradizioni dalle quali ha preso le distanze per amore, pagando lo scotto di tale avventata scelta essendo prima rinnegata dai parenti e poi subendo l’insanabile e straziante onta dell’abbandono di Pinkerton. I colori pastello dei costumi e le strutture di questa casa a soffietto ospitano la vicenda in puro stile giapponese, seguendo nel dettaglio le sue tradizioni senza cedere all’oleografia.

Anche musicalmente lo spettacolo regala ottimi momenti e trova in Giampaolo Bisanti, al suo debutto sul podio della sempre eccellente Orchestre Philharmonique di Monte-Carlo, una bacchetta di concretezza drammatica asciutta e ben definita. Nessun compiacimento alla dimensione nipponica del primo atto, così come alcun estenuato lirismo sensuale nel duetto d’amore che lo conclude. Anche il senso dell’attesa che si tramuta in dramma nel corso degli atti a seguire non gronda di quel patetismo vissuto come strazio dell’anima consumata dalla progressiva presa di coscienza di essere stata scordata dall’uomo per il quale ha rinunciato a tutto, né tanto meno si carica di quel deteriore verismo drammatico che rischia talvolta di prevaricare sul dramma tutto interiore ben individuato da Bisanti, senza eccedere nella ricerca di colori ma con quella dialogica che alla fine convince rendendo compatto e teso l’intero arco drammatico dell’opera.

Arco che è stupendamente sostenuto da Aleksandra Kurzak, confermatasi fra le migliori interpreti di Butterfly dei nostri tempi. La cantante polacca, dopo un inizio di carriera nell’ambito del repertorio leggero, si è avvicinata a passi lenti e meditati al repertorio lirico e, spesso, a Puccini e a questa parte. Lo ha fatto e lo fa ancora oggi con una voce di soprano lirico puro che sale all’acuto con facilità e amministra con intelligenza il proprio strumento. Kurzak sa bene che non potrebbe donare al ruolo una carica propulsiva drammatica di suono tale da metterla in difficoltà nei punti dove il dramma tocca i vertici di un canto sfogato e teso, come nel finale dell’opera. Eppure domina la parabola emotiva di un personaggio tanto complesso donando fresca leggerezza e giusta dimensione raccolta al canto del primo atto (non fa mancare il re bemolle al termine della sortita “Ancora un passo, or via”). Nel duetto d’amore con Pinkerton è poi levigata e luminosa in un lirismo che, anche negli atti successivi, non le far perdere la vocazione a un canto pulito e terso, mai contaminato dal vibrato. Applauditissimo il suo “Un bel dì vedremo”, assai ben fraseggiato e cantato. Nei momenti di maggior impeto drammatico è come se la voce si difendesse da inevitabili forzature in cui potrebbe incorrere se il saggio utilizzo dei mezzi non la spingesse invece a raccogliere il suono senza mai cercare quell’ampia cavata che non possiede, ma che tuttavia non le impedisce di rendere sempre onore alla tensione e alla profondità espressiva assai accurata di una parte risolta con buona ricerca di colori e, soprattutto, con quella teatralità che nel temperamento trova sede ideale per fare della sua Butterfly un personaggio completo e profondamente sentito. Nel duetto della lettera con Sharpless è magnifica quando intona “Due cose potrei far”, come agghiacciata dal pensiero angosciante dell’abbandono in cui non vuole credere, mentre Massimo Cavalletti, nei panni di Sharpless, le risponde con una voce morbida e di bel timbro, confermandosi baritono dalla voce preziosa e, in questa occasione, al meglio delle sue possibilità nel centrare la profonda umanità che caratterizza il personaggio. Anche il tenore Marcelo Puente avrebbe le caratteristiche ideali per vestire i panni di Pinkerton. L’avvenente presenza scenica è perfetta per la parte e la voce possiede un bel timbro; peccato che la fallace proiezione del suono gli renda l’emissione costantemente sfocata e ingolata, soprattutto nel primo atto, mentre in “Addio fiorito asil” riesce tutto sommato a risolvere l’aria in maniera convincente, con sincero pentimento emotivo. Annalisa Stroppa è una Suzuki che è difficile immaginare migliore, per quella commossa e sensibile adesione al dramma della sua padrona, risolta con una voce carica di febbrile sofferenza.
Anche nei ruoli di contorno questa produzione monegasca offre garanzie di qualità nel misurato ma non troppo incisivo Goro di Philippe Do e nel Principe Yamadori di Vincenzo Cristofoli. Funzionali tutti gli altri: Fabio Bonavita (Zio Bonzo), Przemyslaw Baranek (Yakusidé), Luca Vianello (Il commissario Imperiale), Matthew Thistleton (L’Ufficiale del registro), Rosa Tortora (La Madre di Cio-Cio-San), Rossella Antonacci (La Zia), Chiara Iaia (La Cugina), Federica Spatola (Kate Pinkerton) e Marcel Michel (Dolore, figlio di Cio-Cio-San). Perfetto infine il Coro dell’Opéra di Monte Carlo, come sempre ben istruito da Stefano Visconti, che regala un toccante Coro a bocca chiusa.
Elegante serata di gala, coronata da un vibrante successo.

Salle Garnier, Opéra di Monte Carlo – Stagione 2021/22
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
dalla pièce di David Belasco basata su una novella di John Luther Long
Musica Giacomo Puccini

Cio-Cio-San Aleksandra Kurzak
Suzuki Annalisa Stroppa
Kate Federica Spatola
F.B. Pinkerton Marcelo Puente
Sharpless Massimo Cavalletti
Goro Philippe Do
Il Principe Yamadori Vincenzo Cristofoli
Lo Zio Bonzo Fabio Bonavita
Il Commissario imperiale Luca Vianello
L’Ufficiale del registro Matthew Thistleton
La Madre di Cio-Cio-San Rosa Tortora
La Zia Rossella Antonacci
La Cugina Chiara Iaia
Dolore Marcel Michel

Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Choeur de l’Opéra de Monte-Carlo
Direttore Giampaolo Bisanti
Regia Mireille Larroche
Scene Guy-Claude François
Costumi Danièle Barraud
Luci Laurent Castaingt
Direttore del Coro Stefano Visconti
Studi musicali Mari Lili
Assistente alla messa in scena Alain Paties
Produzione dell’Opéra di Avignone

Monte-Carlo, 16 novembre 2021

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