Chiudi

Napoli, Teatro San Carlo in piazza del Plebiscito – Carmen

Condivisioni

Difficile a vedersi e a sentirsi una Carmen così, stando a quanto proposto da piazza del Plebiscito a Napoli giocando l’asso del mezzosoprano Elīna Garanča nel ruolo del titolo firmato Bizet, per il via alla stagione estiva Regione Lirica del Teatro San Carlo: pur bionda e lettone, ma andalusa purosangue stando al fuoco vivo del suo sguardo, volitivo e selvatico, al suo esser femmina indomita, a fior di pelle e fuorilegge in ogni fibra. Ipnotica nella tesa sensualità dei gesti come nell’autenticità della sua voce, bella, profonda, immensa. E al cento per cento vera perché poggiata e proiettata a meraviglia, al pari dei suoi baci sulle labbra – un tuffo al cuore in era Covid – liberi e interminabili.
Spregiudicata, ruffiana e graffiante è infatti la Carmen dell’accattivante Elīna, che con forza tiene testa e domina, dall’ampio palcoscenico in ferro e legno per un totale di 1500 metri quadri montati ad hoc, l’intero Largo dinanzi al Palazzo Reale illuminato a tinte soffuse a mo’ di scenae frons.
Ora scalza, ora accovacciata al proscenio, ride felice o beffarda, sbuffa, soffia come una gatta, s’increspa, scalcia. E sospira, sfiorando il collo, strusciandosi di spalle o sbottonando la divisa all’uomo utile di turno, ancheggiando e avvolgendolo con la decisa intensità di una danza spagnola, habanera o seguidilla che sia, sbozzata fra le pieghe ad ampio orlo del suo primo abito da sera, bianco e a grandi fiori rosa. Persino cercando e catturando oltre parete la complicità del direttore Dan Ettinger sul podio – da parte sua, altro motore a mille dello spettacolo e difatti all’indomani della seconda serata dal vertice Stéphane Lissner nominato alla direzione musicale a partire dal 2023 quale successore di Juraj Valčuha – ai piedi del quale la Garanča posa i lacci dell’arresto o i décolleté dal tacco a spillo. Vale a dire: se in pratica è pur vero che l’opera in piazza, per giunta in trasduzione amplificata e mutila della congenita cornice di scene e costumi, snatura in astrazione inevitabile i suoni (con relativi fruscii più qualche scrocchio) e lo stesso genere rendendo pericolosamente familiare alle masse l’ormai “solita forma” di concerto, la sola pertinenza delle voci e della direzione alla testa delle compagini artistiche può effettivamente compiere il miracolo. Al punto da far brillare gran parte del potenziale dell’azione e delle immagini del dramma attraverso la mera forza dei colori, delle espressioni e dei gesti ben dettagliati e incisi fra recitazione, canto e dinamiche orchestrali. Magari, fino a soppiantare qualche ingessata Carmen del recente passato sancarliano, per quanto sostenuta dal ricco dispiego di scenografie, coreografie e costumi.

La scaletta dei meriti, sul fronte canoro, non può dunque che partire dalla protagonista Elīna Garanča, confermatasi come prevedibile non solo saldamente padrona del ruolo e forte di un’estensione per sua natura magnifica, ma innanzitutto interprete di rara intelligenza nel valorizzare persino all’aperto, ed entro il non facile dosaggio al microfono, sillabe e accenti, nello scavare tra le sfumature di suono fra pause, indugi o espansioni intervallari atti a garantire in parallelo al suo canto alta sostanza tragica e potere incantatorio, sangue gitano e un’inquietante attualità a duecento anni esatti dalla Spagna in cui è ambientata la storia di libertà e morte della ribelle sigaraia andalusa. Sicché la sua canción habanera “L’amour est un oiseau rebelle” risulta sapientemente come distillata in sospensione fra lo slancio di seduzione e le livide ombre cromatiche già presagio di fatum e dunque morte; nella Seguidille, accanto a un ormai irretito Don José, dilata e impenna canto, danza e recitazione, per poi svettare con peculiarità di carattere negli assieme fino a tenere in pugno un’intera piazza da mille posti tra la forza del suo grande arioso drammatico al terz’atto “En vain, pour éviter les réponses amères” e la rivendicazione finale “Jamais Carmen ne cédera, libre elle est née et libre elle mourra”, gridata a sprezzo di un amore degenerato in violenza passionale e morte certa.

A seguire, i due uomini principali della sua breve storia: il sergente Don José, ritrova nella voce potente e nella prestanza fisica del tenore Brian Jagde le diverse sfaccettature psicologiche che la parte richiede, a cominciare dall’integrità cristiana che il buon hidalgo di origine “navarraise” conferma nel duetto lirico al fianco della pura e giovanissima Micaëla per poi cedere all’amor fatale dell’irrequieta Carmen, quindi perdendo lucidità e controllo come attesta lungo la piena emotiva dell’aria interna al duetto “La fleur que tu m’avais jetée”, alla quinta scena dell’atto secondo. Voce compatta, autenticamente virile e spavalderia da maschio alfa ostenta d’altro canto il pregevole toreador Escamillo così come scolpito dal baritono Mattia Olivieri, classe 1984, sfoderando intonazione ferrea, bella disinvoltura e un magnetismo interpretativo che ben spiega la nuova scelta della zingara volubile.
Meno interessante la Micaëla del soprano Selene Zanetti, pur dotata di buon timbro, di notevole volume e sensibilità melodica ma, sia nel duetto al primo atto, sia nella sua aria-perla “Je dis que rien ne m’épouvante” all’atto terzo (indimenticata resta la sublime interpretazione di Eleonora Buratto sul palcoscenico sancarliano nella citata edizione del 2015, con la Montiel protagonista), si è rivelata troppo tesa se non frenata nei fiati e leggermente crescente nell’intonazione, a discapito della rotondità e bellezza del qui necessario, puro lirismo.

Qualche piacevole sorpresa spunta invece fra i comprimari ritagliati centrando con ottima mira lo stile in bilico fra parola recitata e canto brillante proprio dell’opéra-comique. Efficaci sia il Dancaïro di Michele Patti che il Remendado di Filippo Adami, bene la Mercédès (in partitura soprano) del mezzosoprano Aurora Faggioli e interessantissimo lo squillo adamantino del soprano italiano di origini etiopi Mariam Battistelli, nel ruolo di Frasquita, perfetta nell’illuminare i pentagrammi della Chanson bohème e gli intrecci vivacemente serrati del Quintetto votato alla necessità delle donne laddove si tratti d’inganno, truffa e furto (“de tromperie, de duperie, de volerie”). O, ancora, nel celebre Terzetto delle carte. In via analoga per timbro morbido e profondo più che apprezzabile è lo Zuniga di Gabriele Sagona accanto al Moralès di Daniele Terenzi. Completavano il cast i coristi sancarliani Alessandro Lerro (un bohèmien) e Antonietta Bellone (una venditrice d’arance).
Un plauso speciale spetta al Coro di Voci bianche della Fondazione, preparato da Stefania Rinaldi, e complessivamente efficace il Coro (avremmo evitato lo sventolamento dei veli, a tratti scomposto, di alcune coriste nei festeggiamenti finali al toreador), al solito fragile nelle rarefazioni all’acuto e maggiormente saldo nella sezione maschile o in formazione mista (il nuovo, eccellente maestro José Luis Basso sta lavorando a grandi passi, ma non è San Gennaro). Viceversa ben montato e scandito il fragoroso episodio contrappuntistico a gruppi divisi delle donne intorno al litigio, a colpi d’asino e scopa, fra Manuelita e Carmen.

Luminosa, infine, la prova del direttore d’orchestra Dan Ettinger, israeliano di origini rumene, cinquant’anni esatti, pianista e baritono nonché assistente di Daniel Barenboim, sul podio di istituzioni prestigiose (Staatsoper Unter den Linden, Mannheim National Theatre, Stuttgart Philharmonic Orchestra, Israeli Opera), giacca lunga alla coreana, occhi blu e capelli color del platino con cresta ribelle da rockstar, praticamente “à la Carmen”. Il suo gesto è minimo ma di grande vigore e rigore: preciso negli attacchi, folgorante nelle chiuse. All’Orchestra del San Carlo chiede potenti vibrati (di assoluto rilievo la risposta dell’intera sezione degli archi) e picchi dinamici puntando dritto verso il cielo due dita della mano sinistra. Spesso saltella alla Oren, per imprimere ad esempio piglio ludico alla Marcia e Coro dei monelli, talvolta ancheggia per ottenere vivacità ritmica e colori sfavillanti (lode alle percussioni), il tutto accogliendo qua e là gli ammiccamenti entro finzione della Carmen-Garanča. Fra gli apici, restano il Preludio per la chiarezza dei cardini drammatici e gli Entr’acte all’atto terzo e quarto, rispettivamente per l’incanto idilliaco e la pregnanza del cante jondo entrambi affidati al pregio dei legni.
Sulla sua nomina in qualità di nuovo Direttore musicale, pare giunta a sorpresa anche per gli orchestrali, Stéphane Lissner ha dichiarato: «Dan Ettinger è oggi considerato una figura di livello internazionale che saprà dare all’orchestra, al coro e al ballo una guida importante per il prossimo futuro. In questi anni ho avuto modo di seguire la sua carriera ed apprezzare le sue qualità professionali e la sua visione culturale del panorama musicale. Come sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Teatro di San Carlo sono certo che potremo progettare e trovare insieme importanti occasioni e sinergia al fine di valorizzare al meglio il contesto culturale del nostro territorio anche alla luce delle sfide che questo momento storico ci sta mettendo davanti».

Teatro San Carlo in Piazza del Plebiscito,
Progetto Regione Lirica /Regione Campania
CARMEN
Opéra-comique in quattro atti
su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
ispirato alla novella omonima di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet

Carmen Elīna Garanča
Don José Brian Jagde
Escamillo Mattia Olivieri
Moralès Daniele Terenzi
Zuniga Gabriele Sagona
Micaëla Selene Zanetti
Mercédès Aurora Faggioli
Frasquita Mariam Battistelli
Dancairo Michele Patti
Remendado Filippo Adami
Una venditrice di arance Antonietta Bellone
Un bohémien Alessandro Lerro

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Coro di voci bianche del Teatro di San Carlo
Direttore Dan Ettinger
Maestro del coro José Luis Basso
Direttore del Coro di voci bianche Stefania Rinaldi
Esecuzione in forma di concerto

Napoli, 27 giugno 2021

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino