La discografia già esistente di Mitridate, re di Ponto, la prima opera seria composta dal quattordicenne Mozart, nata nel 1770 per Milano a seguito di una commissione ricevuta durante il suo primo viaggio in Italia col padre Leopold, vantava già trascorsi molti significativi e per certi versi già esemplificativi di come vada eseguito al meglio un lavoro teatrale di matrice metastasiana nel quale il belcanto si fonde con la sapienza di un linguaggio strumentale compiuto e meditato. Eppure, per quanto l’incisione Decca del 1998, diretta da Christophe Rousset e con un cast pressoché perfetto, che schierava, nelle parti principali, i nomi di Giuseppe Sabbatini (Mitridate), Natalie Dessay (Aspasia), Cecilia Bartoli (Sifare) e Brian Asawa (Farnace), rappresentasse in tal senso un vertice di sicuro riferimento, al quale si potrebbero aggiungere anche alcuni contributi video (fra i quali quello del Festival di Aix-en-Provence, che rivelò in Rockwell Blake un interprete pressoché inarrivabile della parte del protagonista), questa nuova registrazione Erato permette di riflettere ulteriormente sull’evoluzione dello stile esecutivo mozartiano dei nostri tempi.
Una prassi che ha ormai sdoganato definitivamente la presenza di quegli specialisti che hanno lavorato nel corso degli anni, sostenuti da orchestre con strumenti storicamente informati, per “barocchizzare” un metodo esecutivo attraverso il quale si è scoperto come questo Mozart “belcantistico” avesse qualità non solo vocali e strumentali da esporre, ma anche una teatralità cercata attraverso un suono più incisivo, meno asservito alla poetica del bello in se stesso, del suono levigato e puro, ma proiettato nel trovare compimento in un modo di trattare l’elaborato strumentale mozartiano sempre attento a non perseguire solo eleganza, bellezza, trasparenza e raffinatezza sonore, bensì individuando, nelle volute musicali spesso sublimi di talune arie, quell’incisività e quel fuoco vitale che lo rende all’ascolto più moderno e mai ingessato in un’apollinea e ideale bellezza.
Ecco perché, ascoltando da subito l’Ouverture dell’opera, diretta da Marc Minkowski, alla testa del suo storico complesso, Les Musiciens du Louvre, si comprende come il suo approccio a quest’opera risenta di tutto questo. Il taglio metastasiano del libretto, nel suo alternarsi fra recitativi e arie tripartire, molte di esse infarcite di evoluzioni belcantistiche che sono retaggio dell’estetica vocale barocca, spingono Minkowski e la sua orchestra a drammatizzare il più possibile il nucleo di una vicenda che narra, in estrema sintesi, il conflitto tra i due fratelli Sifare e Farnace, per ottenere la mano di Aspasia, promessa sposa a loro padre, Mitridate, monarca che al termine dell’opera si mostrerà, come volevano i tempi, magnanimo fino all’eccesso prima di darsi la morte per non subire l’onta della sconfitta per mano dei romani. L’iperbole di sentimenti, i contrasti affettivi e le emozioni che attraversano questa drammaturgia a schemi fissi non mettono certo in difficoltà il noto direttore francese, che incalza i tempi, presta grande attenzione ai recitativi facendo dimenticare come essi rappresentino il collante drammaturgico che mette in relazione le oasi liriche delle arie con la narrazione di conflitti e contrasti. Insomma, ci fa percepire come in questo frutto del genio operistico mozartiano ci sia, insieme alla sua sapienza strumentale, un’energia drammatica che si espleterà al massimo grado con Idomeneo, toccando i vertici del tragico. Qui tanta profondità di intenti espressivi non è ancora possibile, ma già la sua bacchetta aiuta l’ascoltatore a cogliere quel valore aggiunto dell’estetica espressiva mozartiana, assolutamente inconfondibile, colto nel carattere tragico-patetico che costituisce e costituirà il fulcro della personalità teatrale mozartiana e che, già in Mitridate, si percepisce nell’incedere di alcune arie e che questa direzione ben evidenzia, senza perdersi in inutili estetismi, anche nel sostenere le voci radunate per questa incisione.
Si è dinanzi ad alcuni dei più accrediti esponenti della nouvelle vague vocale mozartiana, attivi soprattutto in Francia. Partiamo dal protagonista, Michael Spyres, il baritenore più affermato dei nostri giorni, il tenore che ha contributo in questi anni, prima in Rossini, poi nel repertorio ottocentesco, sia italiano che francese, a inquadrare una moderna incarnazione del tenore romantico. Per certi versi oggi rappresenta il massimo approdo stilistico contemporaneo a una vocalità antica che, grazie a lui, rinasce a nuova vita. Qui avvicina il canto di sbalzo mozartiano, gli improvvisi scatti ascensionali e le discese nel registro grave con un dominio tecnico addirittura stupefacente. Lo fa con una voce che non è quella di un tenore contraltino, come lo furono, in questa parte, Rockwell Blake (di lui più svettante, incisivo e fulmineo) e Giuseppe Sabbatini (di lui più levigato e argentino), ma appunto di baritenore. Il controllo dell’emissione su tutti i registri emerge da subito nell’aria di sortita, “Se di lauri il crine adorno”, nella quale attacca in pianissimo il da capo con una morbida mezza voce e risolve con disinvoltura i salti d’ottava richiesti dalla parte; meriti confermati in “Tu, che fedel mi sei”, nella quale onora questa vocalità frastagliata e di slancio aggiungendoci la giusta componente estatica, attraverso note attaccate in piano dal basso e poi progressivamente portate all’acuto con lunghe arcate di fiato. A questi risultati approda grazie al magistero tecnico oltre che a una voce ambrata attraversata da quel saggio utilizzo dei suoni misti in cui oggi è maestro come pochi. Quando arriva alla sua ultima aria, “Vado incontro al fato estremo”, la affronta con grinta ma con equilibrio stilistico supremo nel carpire la note senza dare l’effetto di sbranarle per eccesso di trasporto. Affermare che il suo contributo vocale sia il più interessante all’interno del cast di questa nuova incisione è abbastanza prevedibile, anche se gli altri cantanti si impegnano con risultati più che persuasivi rendendo onore a una linea di canto sempre sorvegliata seppur espressivamente non illuminante.
Ad esempio il soprano Julie Fuchs, nei panni di Aspasia, inizia gorgheggiando a dovere gli acrobatismi della sua aria di sortita, “Al destin, che la minaccia”, ma al di là del puntuale virtuosismo qui ben sfoggiato per quanto privo della sfrontatezza richiesta, non coglie la vena di tenerezza che si insinua nelle arie di Aspasia; vena che è invece colta mirabilmente da Sabine Devieilhe, Ismene, che canta “In faccia all’oggetto” con squisita purezza e leggerezza nelle agilità. Quando poi ad Aspasia, nella bellissima cavatina “Pallid’ombre”, preceduta e seguita da un recitativo accompagnato, viene chiesto di caratterizzare un lirismo intimo e commosso (si è nel momento in cui Aspasia sta per bere dalla coppa avvelenata mandatale da Mitridate e invoca le ombre dei Campi Elisi perché le concedano pace), il patetismo stenta a mettersi in luce. Glielo impedisce forse il timbro, che non è immacolato neanche nel Sifare di Elsa Dreisig, soprano pure lei molto apprezzata in Francia ma con un colore di voce poco distinguibile da quello della collega, tanto che il bellissimo duetto fra Sifare e Aspasia che conclude il secondo atto, “Se viver non degg’io”, non le differenzia per colore e personalità timbrica. Timbro scuro interessante quello del mezzosoprano Adriana Bignagni Lesca nei panni di Arbate, anche se la tecnica precaria le “insacca” la voce in gola e la dizione non la sostiene, mentre Cyrille Dubois, raffinato tenore francese nei panni di Marzio, esegue la sua aria, “Se di regnar sei vago”, con stile, agilità pulite e fluide, seppur la voce appaia, anche in disco, piuttosto leggera.
Resta da riferire del controtenore Paul-Antoine Bénos-Djian, al quale viene affidata la magnifica parte di Farnace. Le sue arie, per lo più improntate su un certa aggressività espressiva, ben evidente nella nota “Venga pur, minacci e frema”, hanno un’oasi distensiva nella magnifica aria di conversione di Farnace, “Già dagli occhi il velo è tolto”, pagina di sublime bellezza, attraversata da una patina di sincera sospensione emotiva che si era ascoltata eseguita da Bejun Mehta in maniera forse non più eguagliata, con quel soffice legato brunito che il controtenore francese che canta invece in questa incisione, formatosi al Centro di Musica Barocca di Versailles, mostra di possedere in buona proporzione, senza tuttavia trasmetterne in eguale proporzione, a causa di un timbro un po’ opaco, l’incanto emotivo richiesto, realizzando quel teatro d’affetti che dal barocco passa al genio mozartiano caricandosi di levigata intimità. Registrazione di altissimo livello, effettuata a Parigi alla fine del 2020. Un Mozart, a conti fatti, da ascoltare.
MITRIDATE, RE DI PONTO
Opera seria in tre atti
Libretto di Vittorio Amedeo Cigna-Santi
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Mitridate Michael Spyres
Aspasia Julie Fuchs
Ismene Sabine Devieilhe
Sifare Elsa Dreisig
Farnace Paul-Antoine Bénos-Djian
Arbate Adriana Bignagni Lesca
Marzio Cyrille Dubois
Direttore Marc Minkowski
Les Musiciens du Louvre
Etichetta: Erato
Formato: CD
Registrazione effettuata dal 19 al 23 dicembre 2020
Philharmonie de Paris