La storia di un teatro si scrive anche facendo ciò che nessuno aveva pensato di fare prima. Ed è così che, fra i tanti meriti di Jean-Louis Grinda alla guida dell’Opéra di Monte-Carlo, c’è quello di aver dato negli anni molta attenzione a Verdi, in particolare alla produzione degli “anni di galera”. Diversi titoli, come Stiffelio, Attila, I masnadieri e Luisa Miller, non erano neanche mai stati eseguiti sul palcoscenico della Salle Garnier o e negli altri spazi dedicati alla musica del Principato. Fra questi c’è I Lombardi alla prima crociata, il cui allestimento si è incastonato all’interno di un anello di appuntamenti davvero preziosi che hanno dato alla stagione lirica in corso, sulla via di concludersi con la prossima andata in scena di Boris Godunov di Musorgskij, il sigillo dell’eccezionalità, se non del miracolo vista la regolare andata in scena di tutte le opere in programma, nonostante il dilagare della pandemia. Mentre i teatri di mezza Europa sono chiusi, o aperti solo a metà, con presenza ridottissima di pubblico in sala e spettacoli costretti a scendere a compromessi per garantire agli artisti sulla scena le richieste distanze di sicurezza e l’utilizzo di mascherine per coro e figuranti, a Monte-Carlo, invece, si va in scena come se niente fosse. Non si è incoscienti, semplicemente si monitorizzano in continuazione artisti e lavoratori con protocolli rigidissimi per garantire la massima sicurezza, ma soprattutto – e questo è un merito indubbio del Principato – con la volontà, chiara ed evidente, di non voler rinunciare alla cultura.
I Lombardi alla prima crociata sono stati così proposti per quattro recite pomeridiane (con inizio alle 14) nell’allestimento che Lamberto Puggelli firmò per il Teatro Regio di Parma nel 2003, poi ripreso nel 2009. È uno spettacolo che intende essere un omaggio alla sua memoria (Puggelli è mancato nel 2013) ed è rimontato da Grazia Pulvirenti, regista e intellettuale di altissimo profilo che lavorò al suo fianco e oggi ne è custode della memoria artistica a capo della Fondazione Lamberto Puggelli. Tutto, nello spettacolo, sembra prendere le mosse da quel “No, Dio no’l vuole, ei sol di pace scese a parlar!” intonato da Giselda contro lo sparger di sangue della Crociata e, simbolicamente, come subito si nota, contro tutte le guerre, causa solo di rovina e sofferenza. Ecco perché le scene di Paolo Bregni e i costumi di Santuzza Calì non storicizzano lo scontro religioso fra cristiani e musulmani come episodio riferito alle sole Crociate, ma qua e là lo caricano di riferimenti alla contemporaneità che mostrano richiami alla situazione ebraica o agli orrori delle guerre civili (esplicita la citazione al celebre dipinto Guernica di Picasso). Si attualizza così il tema del difficile dialogo fra civiltà ambientandolo dinanzi al Muro del Pianto di Gerusalemme. Il merito dello spettacolo è di non incorrere mai in forzature nel lanciare un messaggio fortemente voluto, ma rispettoso della drammaturgia, svelando nel finale quella speranza che, dinanzi a tanti massacri in nome della religione (splendida la pantomima della battaglia gestita dal maestro d’armi Renzo Musumeci Greco), si apre con la gigantesca parete in pietra che si scompone per svelare la luce della città, Gerusalemme, ideale luogo di pace, visibile in miniatura come simulacro di agognata concordia fra popoli di religione opposte. Questo “muro del pianto” è l’elemento portante di uno spettacolo che utilizza pareti laterali a specchio e tulle trasparenti sovrapposti dove si proiettano elementi architettonici che servono a rendere percepibili i diversi ambienti dell’opera: dalla Basilica di Sant’Ambrogio di Milano alla città di Antiochia con le sue cupole arabeggianti immerse nelle dune del deserto. La scrupolosa fedeltà al pensiero originario con cui lo spettacolo viene curato, lascia il segno grazie al lavoro meticoloso di Pulvirenti e fa da cornice visiva ancora preziosa – nonostante la messa in scena abbia diversi anni ma non abbia perso il suo obiettivo evocativo – a un rendimento musicale e vocale davvero sorprendente.
Già si sapeva che Daniele Callegari fosse nel repertorio verdiano un punto di riferimento, e per di più lo aveva dimostrato in diversi appuntamenti passati sulle scene monegasche. Oggi, alla guida dell’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, come sempre eccellente, regala una esecuzione agile e incalzante in ritmi, dinamiche e agogiche che sanno entrare nelle pieghe dello spirito verdiano, gli danno il giusto rilievo e, soprattutto, il vigore “risorgimentale” che mai cede al tranello dell’eccesso perché appare lucido e concreto. Inoltre la sua bacchetta ha il merito, non indifferente, di proporre l’opera nella versione integrale. Il Coro del teatro monegasco, istruito come sempre da Stefano Visconti, è allo zenit della forma e regala un “O Signore, dal tetto natio” da incorniciare.
Nel cast vocale si passa da conferme a sorprese. Una conferma, direi delle più splendide, viene dal Pagano di Michele Pertusi, in grande forma vocale. La voce è un mantello di suono morbido ed elegante, che nell’aria “Sciagurata! Hai tu creduto” sfoggia un legato signorile, rotondità di suono e quell’attenzione alle parole e all’espressione che da subito si colgono. Anche la successiva cabaletta (“O speranza di vendetta”), eseguita con tanto di capo variato, lo vede sicuro in acuto, senza smarrire la vellutata patina sonora che si ritrova nel solenne profetizzare donato al quadro della caverna (il cantabile “Ma quando un suon terribile”) e a una scena della morte finale davvero toccante, di levatura artistica superiore; e questo perché Pertusi canta respirando con la frase verdiana cogliendone l’intimo segreto, fatto non solo di voce e nobiltà nel porgerla, ma soprattutto di profonda umanità espressiva, applicata al canto e alla recitazione.
Altra piacevole conferma viene dal tenore messicano Arturo Chacón-Cruz (Oronte), dalla voce latina assolata nel timbro e capace di emergere pure nel canto legato (come nella cabaletta “Come poteva un angelo”). Talvolta – non gli sarebbe necessario farlo perché la voce corre assai bene e conquista appena apre bocca – tende a spingere lievemente i suoni acuti, ma questo non rovina certo la bella linea e il garbo schietto e sincero con cui intona “La mia letizia infondere”, con piglio generoso, comunicativo e tanto di puntatura acuta, ma anche con buona dose di gusto che si apprezza nel duetto con Giselda e nell’attacco di “Qual voluttà trascorrere”. Davvero un’ottima prova.
La sorpresa viene da Nino Machaidze, che debutta la parte di Giselda. Non è né la prima né l’ultima belcantista ad avvicinarvisi; gli esempi passati, lo sappiamo, sono molti. Ma non c’era da aspettarsi che i risultati fossero così persuasivi, conosciuto il suo passato percorso di carriera. La voce appare luminosa, sorvegliata nell’emissione e di bel timbro, sa caricarsi di slancio quando occorre e non teme l’ostica tessitura. Comincia coll’imporsi nella preghiera “Salve, Maria!”, intonata con lirismo privo di svenevolezze. Prosegue in crescendo con “Se vano è il pregare” ben controllato nell’involo lirico, momento che chiede alla voce di piegarsi con flessibilità ben evidenziata dal soprano georgiano, poi accenta con slancio la successiva cabaletta, “No!…Giusta causa”. Nell’ultimo atto, scatena gli applausi del pubblico (invero meritati) con la cabaletta “Non fu sogno!”, dove il bagaglio della virtuosa non tarda a mettersi in evidenza, unito a un ammirevole temperamento. Si metta in conto, per finire, la bella presenza scenica di questa fascinosa cantante, così che la sorpresa si tramuta in desiderio di sentirla ancora toccare traguardi significativi come questo.
Nei ruoli di contorno, che nei Lombardi sono per nulla facili, si apprezza il bel timbro e l’incisività del tenore Antonio Corianò, un ottimo Arvino, e l’altrettanto valido baritono Daniel Giulianini (Pirro). Davvero bravi anche Eugenio Di Lieto (Acciano), Rémy Mathieu (Un priore della città di Milano), Cristina Giannelli (Viclinda) e Michelle Canniccioni (Sofia). Successo finale festosissimo, poi tutti a casa. Nel Principato, il coprifuoco scatta alle 19.
Salle Garnier, Opéra di Monte-Carlo – Stagione 2020-2021
I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Arvino Antonio Corianò
Pagano Michele Pertusi
Viclinda Cristina Giannelli
Giselda Nino Machaidze
Pirro Daniel Giulianini
Un priore della città di Milano Rémy Mathieu
Acciano Eugenio Di Lieto
Oronte Arturo Chacón-Cruz
Sofia Michelle Canniccioni
Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Choeur de l’Opéra de Monte-Carlo
Direttore Daniele Callegari
Direttore del coro Stefano Visconti
Studi musicali David Zobel
Regia Lamberto Puggelli
ripresa da Grazia Pulvirenti
Scene Paolo Bregni
Costumi Santuzza Calì
Luci Andrea Borelli
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Assistente alla messa in scena Pier Paolo Zoni
Assistente ai costumi Paola Tosti
Allestimento del Teatro Regio di Parma
Salle Garnier di Monte-Carlo, 25 marzo 2021