Un tempo, non molto lontano dal nostro, parlare di un’opera come Il corsaro significava per molti mettere in dubbio il valore di un lavoro appartenente al Verdi ascritto a cosiddetti “anni di galera” e all’attività che lo costringeva a una pressante produttività. Eppure, oggi che si è ormai capito come non esista una produzione verdiana minore, ma che tutto contribuisca, anche in opere giovanile come questa, al formarsi del suo inconfondibile stile, non stupisce che dietro alla sommarietà drammaturgica del libretto di Francesco Maria Piave, tratto da un poemetto di Lord Byron che grande diffusione ebbe nell’Italia risorgimentale, si mettano in evidenza la tempra stringata e incalzante della sua musica. Non importa che i personaggi siano sbalzati senza troppe sfumature caratteriali; a colpire è il gioco di contrasti, la forza scatenante di quel cabalettismo sfrenato e concitato che veste un soggetto in cui le vicende del capitano dei corsari Corrado – tormentato e inquieto esule romantico poi suicida, diviso dall’amore per Medora e le mire di Gulnara in mezzo a battaglie fra corsari e musulmani capitanati dal pascià Seid – passano in secondo piano rispetto all’immediatezza di una musica che travolge per inventiva e comunicativa. Lo ha ben compreso Jean-Louis Grinda, da sempre attento, nel corso del suo quindicinale mandato alla guida dell’Opéra di Monte-Carlo, a proporre, accanto ai titoli più celebri, opere mai fino a oggi eseguite nel Principato di Monaco, la maggior parte di esse appartenenti agli anni della giovinezza creativa verdiana. Una consuetudine perseguita con successo nell’arco del tempo, come attestano gli allestimenti di Attila, Stiffelio, I masnadieri, I Lombardi alla prima crociata e le esecuzioni in forma di concerto di Luisa Miller, I due Foscari e oggi, appunto, Il corsaro.
Ancora una volta, a ospitare l’applauditissimo pomeriggio di musica in una tiepida e assolata giornata invernale monegasca, è l’Auditorium Ranieri III, sede ideale per acustica e capacità di rendere godibile un’opera come questa anche senza il supporto della parte visiva. La proposta monegasca è vincente a partire dalle solide basi musicali garantite dalla bacchetta di Massimo Zanetti. Alla testa di una Orchestre Philharmonique di Monte-Carlo in forma splendente e di un Coro parimenti ottimo, istruito al meglio da Stefano Visconti, il direttore italiano infiamma la miccia di una verdianità sferzante e ritmicamente carica di mordente. Eppure non calca la mano al punto da non permettere alle voci di trovare il loro giusto respiro e, per di più, regala una esecuzione integrale della partitura, con tutti i da capo delle cabalette.
È da subito evidente che le sfumature e gli impasti sonori carichi di tinte e colori adeguati stiano a cuore alla sua bacchetta, soprattutto al momento in cui Corrado canta la sua aria d’ingresso, “Tutto pareva sorridere”, che il tenore Giorgio Berrugi intona alle prese con una vocalità plasmata sulle qualità di Gaetano Fraschini, tenore romantico al quale Verdi regalò la sublime parte di Riccardo in Un ballo in maschera e prima ancora elesse fra gli interpreti preferiti dei primi anni perché sapeva infuocare gli animi nelle cabalette, ma anche fraseggiare e cantar d’amore. Così sa fare Berrugi, che offre una linea di canto quasi bergonziana, legando i suoni, cantando con morbidezza nei centri e fraseggiando ad arte. Poi, fin dalla cabaletta “Sì: de’ corsari il fulmine”, si avverte una tendenza a chiudere i suoni in acuto, ma lo stile e l’eleganza nel porgere vengono messe in luce anche nella scena della torre del terzo atto, “Eccomi prigioniero!”, in cui Corrado è tenuto in carcere da Seid, e nel finale, sempre con attenta cura espressiva.
Ancor più bravo è il baritono polacco Artur Rucinski, anche lui, nei panni di Seid, alle prese con una parte composta per un altro grande interprete verdiano, Achille De Bassini, per il quale Verdi aveva già composto la parte del Doge ne I due Foscari e, dopo quella di Seid nel Corsaro, Miller in Luisa Miller. Rucinski sfoggia una voce baritonale piena e timbrata, di colore argenteo in acuto, svettante e imperiosa nel canto di slancio. Subito si mette in luce nella cavatina “O prodi miei, sorgete…Salve Allah! Tutta quanta la terra”, dove si mostra sprezzante e altero. Ma è soprattutto nell’aria che apre il terzo atto, “Cento leggiadre vergini”, dove al canto fiero del pascià ottomano si accosta il sentimento amoroso proclamato per Gulnara che Rucinski plasma con quelle caratteristiche vocali già palesi nelle sue passate prove monegasche: il legato, i lunghissimi fiati e la solida sicurezza in acuto, come nell’ardita puntatura della cadenza. Per non parlare della successiva cabaletta “S’avvicina il tuo momento”, attaccata con vibrante trasporto in orchestra da Zanetti e vocalmente risolta con quell’inebriante vigore riproposto nell’ira di “Sia l’istante maledetto”, stretta cabalettistica del duetto con Gulnara, concluso con un protervo “Trema, trema!”, che inchioda l’ascoltatore alla poltrona.
A queste due prove di alto livello si affiancano quelle non meno significative dei due soprani. Irina Lungu, alle prese con la magnifica aria di Medora “Non so le tetre immagini”, è corretta nella linea lirica pastosa della melodia, forse non accarezzandola di malia e incanto, ma gestendola con risultati degni di venire a capo di una pagina tanto difficile come questa. Anche nel finale dell’opera appare sensibile e musicale, così come lo è Roberta Mantegna, che dinanzi alla corrusca parte di Gulnara, da vero soprano drammatico di agilità, spesso nervosa e scattante, mostra, soprattutto nella cabaletta del secondo atto “Ah conforto è sol la speme”, una voce talvolta tagliente in acuto e qualche comprensibile squilibrio d’emissione se rapportato alla complessità della parte. Ma rispetto alla prestazione donata nello stesso ruolo a Piacenza nel 2018, sembra oggi maggiormente padrona dei suoi mezzi e di un temperamento che la cantante riesce a far apprezzare anche in un’esecuzione concertante come questa. Il pubblico la applaude molto, come ammira le prove del basso In-Sung Sim (Giovanni) e dei tenori Maurizio Pace (Selimo), Lorenzo Caltagirone (Un eunuco) e Domenico Cappuccio (Uno schiavo), tutti a lungo festeggiati al termine di un pomeriggio di musica verdiana davvero mirabile.
Auditorium Ranieri III, Opéra di Monte Carlo – Stagione 2021/22
IL CORSARO
Melodramma tragico in tre atti di Francesco Maria Piave
dal poema di Lord Byron Il corsaro
Musica di Giuseppe Verdi
Corrado Giorgio Berrugi
Medora Irina Lungu
Seid Artur Rucinski
Gulnara Roberta Mantegna
Giovanni In-Sung Sim
Selimo Maurizio Pace
Un eunuco Lorenzo Caltagirone
Uno schiavo Domenico Cappuccio
Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Choeur de l’Opéra de Monte-Carlo
Direttore Massimo Zanetti
Direttore del coro Stefano Visconti
Studi musicali Kira Parfeevets
Auditorium Ranieri III – Salle Yakov Kreizberg di Monte-Carlo, 12 dicembre 2021